Internet
Deep web e diritti digitali: una questione di libertà
Nel 2014 è stata pubblicata una ricerca, il cui risultato fondamentale sembrava essere che l’80% dei contenuti del deep web fosse di carattere pedopornografico. La conclusione non faceva che confermare una visione comune, che dipinge la rete parallela come una sorta di mercato nero virtuale, dove si possono acquistare armi, sicari, droga, clonare carte di credito e svolgere con tranquillità una lunga serie di attività illecite.
Ma questa non è l’unica faccia della medaglia. L’anonimato che Tor garantisce è anche un importante strumento a servizio della libertà di informazione ed espressione. Oltre a pedofili e trafficanti di varia natura, infatti, il deep web è utilizzato dagli attivisti, dai giornalisti e dai rappresentanti di ONG, in paesi come la Cina o la Russia, per pubblicare contenuti e informazioni che altrimenti non potrebbero diffondere nei propri paesi.
Il Centro Hermes per la Trasparenza e i diritti umani digitali
In Italia a occuparsi di diritti umani digitali è il Centro Hermes, i cui sviluppatori hanno recentemente lanciato un nuovo software chiamato Tor2web. Esso funziona esattamente come un ponte tra i tradizionali browser o motori di ricerca per la navigazione e il deep web. Con quale scopo nasce? Principalmente, quello di far sì che un utente che naviga in maniera non anonima possa accedere con il proprio server a contenuti pubblicati anonimamente.
Ad esempio, tramite Tor2web, a un cittadino europeo che navighi con Google o Firefox è possibile accedere a un blog di un attivista dissidente cinese. I contenuti pubblicati nel deep web possono così trovare risonanza presso un pubblico più ampio.
Un altro progetto del centro riguarda invece un motore di ricerca, Ahmia.fi (gli sviluppatori sono finlandesi). Ahmia permette di esplorare il deep web, senza alcun filtro se non quello dei siti pedopornografici. I link sono consultabili sia tramite Tor (con dominio .onion) sia tramite browser tradizionali (sfruttando Tor2web).
Ha spiegato Davide del Vecchio, co- fondatore del centro Hermes, durante un panel da lui tenuto al Festival del Giornalismo di Perugia, che proprio grazie ad Ahmia i ricercatori del centro sono arrivati a una conclusione opposta rispetto a quella della ricerca prima citata. Ahmia analizza il contenuto dei siti fino a tre livelli di profondità e su 2791 siti analizzati ne sono stati filtrati solo 25: una percentuale circa dell’1% conteneva materiale pedopornografico.
Un punto di vista politico
Ho chiesto a Del Vecchio se il centro Hermes porti avanti una posizione in merito all’eticità dei contenuti del deep web. “Noi siamo sviluppatori di tecnologie.” mi ha spiegato “È vero che nel deep web si possono trovare anche contenuti illegali o eticamente discutibili, ma noi lasciamo al singolo utente che utilizza le nostre tecnologie – ad esempio Tor2web – la scelta in merito a cosa filtrare e cosa no.”
In prospettiva, i risvolti politici di una diffusione di massa di Tor e della navigazione in anonimo sono molto significativi. “Il deep web è un potente strumento di libertà di informazione ed espressione. Se un governo mondiale dichiarasse guerra a Tor, questo provocherebbe una reazione di tutte le ong e delle organizzazioni democratiche internazionali che si battono per le libertà digitali. Infiltrarsi palesemente nel deep web comporta degli altissimi costi politici. Per questo governi e autorità tendono a presentarlo all’opinione pubblica come un coacervo di contenuti oscuri, morbosi o pericolosi: è un modo per frenare la potenza espressiva di questa rete”.
Perfino i giganti della tecnologia, come Google, hanno una linea pubblica favorevole all’utilizzo di Tor. “Esiste addirittura un modo di accedere a Gmail, come anche a Facebook, tramite Tor – c’è anche un hidden service di Tor per utilizzare Facebook, creato da Facebook stesso… Ovvio che non possano contrastare in maniera esplicita la navigazione anonima, anche se questa – se si diffondesse a livello di massa – rischierebbe seriamente di danneggiare il loro mercato più grande, quello dei dati. Forse hanno già delle strategie di mercato alternative. O forse, anche loro fanno un calcolo politico: opporsi alla privacy significa opporsi alla libertà, a nessuno conviene farlo in modo palese.”
Devi fare login per commentare
Accedi