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Dalla Svizzera al Kenya, ecco il fintech che cambia il mondo

29 Giugno 2016

Apparentemente la Svizzera e il Kenya non sembrano avere molte cose in comune. La prima è una prospera democrazia dell’Europa centrale, famosa per la sua antica tradizione bancaria, mentre il secondo è una giovane e vitalissima repubblica dell’Africa orientale, con un reddito pro capite annuo di circa mille euro. Eppure entrambi i paesi si stanno trasformando, un po’ per caso un po’ per scelta, in una fucina dell’innovazione a trazione fintech. Scommettendo (spesso, ma non sempre) sul bitcoin, e sulle tecnologie legate alla criptovaluta più famosa del mondo.

Prendiamo il caso di Zugo, capoluogo dell’omonimo cantone. Dal 1° luglio, che ormai è alle porte, i cittadini potranno usare i bitcoin. O meglio: con la criptovaluta sarà possibile pagare alcuni servizi pubblici, fino a un massimo di duecento franchi (pari a circa 184 euro, o trenta bitcoin). La notizia è stata accolta con interesse dai media di tutto il mondo, contribuendo ad alimentare la fama di Zugo. Che non è affatto un sonnacchioso cantone periferico, ma una roccaforte del fintech mondiale. «È la prima volta al mondo che i bitcoin vengono accettati come valuta a livello statale» è stato ad esempio il commento di Niklas Nikolajsen, CEO di Bitcoin Suisse, una borsa di bitcoin con sede a Baar, sempre nel canton Zugo.

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fotografo: Baikonur 2014; fonte: Wikipedia

In realtà Zugo è già molto nota nel mondo del business e della finanza, ma per un’altra motivo: la tassazione sui redditi delle persone fisiche più bassa di tutta la Confederazione (22,86% contro il 39,76% di Zurigo e il 40,72% del Ticino). Anche le aziende con sede legale a Zugo non se la passano male, dato che pagano al massimo il 15% sui loro profitti. Ecco perché nel cantone vivono imprenditori e trader milionari, sportivi di successo, avvocati, e hanno la loro sede legale migliaia di imprese, in un clima di laissez-faire ottocentesco che ha pochi eguali nel resto d’Europa.

Ma alla gente di Zugo piace osare. Secondo i beninformati, il gettito fiscale alquanto basso obbliga i locali a cercare dei modi per abbattere i costi di transazione, e soprattutto ad attirare nuovi investitori. Come spiega agli Stati Generali un professionista legale svizzero, «nuovi fenomeni tecnologici come il bitcoin e la blockchain spaventano un gran numero di operatori; a Zugo si corre ai ripari, all’insegna della filosofia machiavellica: se non puoi distruggerteli, unisciti a loro». E così tra le colline del piccolo cantone, specie a nordovest del lago di Zugo sta crescendo quella che i giornali hanno già ribattezzato la “CriptoValley Zug”: un arcipelago di startup che puntano proprio sul bitcoin e sulle tecnologie di criptaggio.

Una delle startup della CriptoValley è Monetas, che sviluppa nuove tecnologie per connettere chiunque abbia uno smartphone ai servizi finanziari di tutto il mondo. La tecnologia alla base della startup è una piattaforma di criptofinanza che, dicono, rende i trasferimenti di valuta estremamente sicuri, veloci e a basso costo, «ovunque nel mondo, e in qualsiasi momento». Il business va molto bene, come si deduce pure dalla pagina del sito dell’azienda dedicata alle nuove assunzioni: si cercano front-end team lead, system administrator, golang developer, web developer e così via.

Agli Stati Generali Vitus Ammann, CMO dell’azienda, dice: «Ogni giorno sempre più esperti capiscono che le tecnologie di criptofinanza, come il blockchain e la nostra piattaforma di contrattazione digitale, saranno i fattori con un impatto maggiore per l’industria finanziaria. Anziché migliorare gli antiquati sistemi esistenti, la criptofinanza trasformerà radicalmente il business. Le strutture organizzative e i processi che forniscono fiducia saranno sostituiti da algoritmi crittografici che lavorano (quasi) in tempo reale. Le micro-transazioni diventeranno profittevoli e gli smart contract sostituiranno i vecchi sistemi gravati dalla compliance».

Ammann è molto fiducioso sul potenziale di Monetas in particolare, e della criptofinanza in generale. «La nostra piattaforma darà una spinta eccezionale all’inclusione finanziaria. Oggi 2 miliardi di persone senza conto bancario non hanno accesso al commercio globale e alla finanza. La diffusione sempre più rapida di smartphone e di tecnologie criptofinanziarie alimenteranno l’inclusione finanziaria di chiunque, moltiplicando i partecipanti all’economia globale».

Sempre a Zug ha sede la Ethereum Foundation, una piattaforma decentralizzata che gestisce smart contracts, ossia applicazioni che funzionano proprio come da programmazione, senza alcuna possibilità di censura, sospensione del servizio e interferenze da parte di terzi. Alla base di queste applicazioni, un particolare tipo di blockchain, cioè la tecnologia alla base dei bitcoin (che alcuni mesi fa un esperto italiano, Marco Amadori, ha ben spiegato alla redazione degli Stati Generali).

A Zug c’è poi la sede della Xapo, startup che il Wall Street Journal ha descritto come il Fort Knox dell’immagazzinamento di bitcoin. Tra i consiglieri della Xapo ci sono pezzi da novanta come Larry Summers, segretario del tesoro sotto il presidente Clinton e convinto sostenitore dei bitcoin («un metodo per trasferire denaro ovunque, in tempo reale, senza intermediari. Presto si potrebbero vedere molti milioni di persone mandare bitcoin ogni giorno con la stessa facilità con cui oggi mandano un sms»).

Il vaticinio di Summers si sta realizzando (almeno in parte) già oggi, grazie a una tecnologia fintech lanciata nel 2007 e amata da molti africani: M-Pesa, considerata «la carta di credito della Tanzania, e dell’Africa orientale in generale. Lì la usano tutti, con il cellulare puoi pagare quasi ogni cosa, dall’affitto alla spesa, senza nessun bisogno di denaro cartaceo». A raccontarlo, di fronte a un cappuccino, è Elisa Grazioli, giovane volontaria trentina da quattro anni in Tanzania. A Iringa, centro industriale a 1500 metri d’altezza, la Grazioli è a capo del progetto Jacaranda Made in Tanzania, che dà lavoro a sarte locali e sforna graziosi top e gonne in stile masai, borse variopinte e altri accessori.

https://youtu.be/nEZ30K5dBWU

«M-Pesa è assai comoda, ed è diffusa in tutte le classi sociali. In Italia mandiamo un bonifico e quello arriva dopo due giorni, in Tanzania ti inviano il pagamento e nel giro di un minuto hai i tuoi soldi». Il New York Times ha definito M-Pesa «una rivoluzione bancaria»; in effetti questo sistema di trasferimento di denaro attraverso dispositivi mobile ha conquistato i cuori (e i portafogli) di milioni di kenioti in neanche dieci anni. Già nel 2013 per M-Pesa passava il 43% del PIL del paese, con quasi 240 milioni di transazioni personali; oggi la percentuale di PIL coinvolta sarebbe ancora più alta, raggiungendo (secondo alcune stime) addirittura il 60%.

Duncan Goldie-Scot è un’autorità nel settore. Britannico, imprenditore con un background da giornalista tecnologico, è un vero conoscitore dell’Africa orientale. Agli Stati Generali, che lo hanno raggiunto con Skype a New York, dice: «Un decennio fa un piccolo agricoltore keniota non aveva cellulare, non aveva mobile money, non aveva internet e non aveva immagini satellitari gratuite della sua terra. Ciò significava che non aveva accesso al sistema bancario e non poteva comprare semi o fertilizzante, né accedere ai mercati».

Il mobile money (Pesa in swahili vuol dire infatti denaro) ha riempito un vuoto. «Prima di M-Pesa la gente inviava fasci di banconote alle famiglie nei villaggi. Oggi ogni contadino ha un cellulare, mobile money, internet e immagini satellitari. Ed essere connesso gli permette di risolvere parecchi problemi». D’altra parte, non può esistere capitalismo senza capitale: come sanno bene gli storici dell’economia, anche la Rivoluzione industriale non sarebbe decollata se l’Inghilterra non avesse avuto le sue banche. «Ecco perché non sorprende l’effervescenza innovativa, tecnologica e imprenditoriale di Nairobi… e la strada è ancora lunga. Rimangono innumerevoli opportunità» giura Goldie-Scot.

BitPesa in Africa
Courtesy of Duncan Goldie-Scot

Lui stesso ha fondato Bitpesa.co: «si tratta, semplicemente, di una piattaforma di scambio che collega i pagamenti in bitcoin con i servizi di pagamento mobile in Africa. Molte persone là hanno conti mobile ma non conti correnti bancari. Non esiste quindi un modo efficiente per mandare denaro dall’estero all’Africa: le banche sono lente e costose, e i tradizionali servizi di trasferimento di denaro sono troppo dispendiosi». E aggiunge: «All’inizio con Bitpesa ci prefiggevamo di occuparci di rimesse, ora il grosso del business consiste nei pagamenti delle imprese. Per esempio, un’azienda a New York potrebbe contattare migliaia di artigiani kenioti per realizzare dei gioielli da vendere in giro per il mondo; fa un solo pagamento a BitPesa e noi portiamo avanti centinaia di micro-pagamenti su M-Pesa. Un servizio davvero utile».

 

In copertina, foto fornita da Monetas

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