Privacy

App Immuni tra privacy sicurezza e comunità: come la vedono gli under 30?

7 Maggio 2020

La nuova app di contact tracing Immuni arriverà a fine maggio e funzionerà così: il dispositivo sul quale viene installata l’applicazione genera un codice identificativo casuale e anonimo e, nel momento in cui due dispositivi si “incontrano” ad una distanza epidemiologicamente rilevante, si scambiano i rispettivi identificativi tramite Bluetooth, e se li salvano in memoria. Quando qualcuno risulta positivo al test, la lista degli identificativi con cui è entrato in contatto viene inviata a tutti i cellulari in rete. Nel momento in cui il dispositivo su cui è presente l’app si riconosce in uno dei codici rilasciati, viene inviata all’utente una notifica che lo avvisa di aver avuto un contatto. Stop. Questo modello di funzionamento si chiama DP3T ed è un protocollo europeo sul quale si baseranno anche gli aggiornamenti dei sistemi operativi di Apple e Google, insieme per l’occasione.

In questi giorni se ne parla sempre, così ho colto l’occasione per raccogliere un po’ di pareri e sondare gli umori di chi, come me, convive da anni con un universo digitale e al quale affida gran parte del proprio quotidiano. Come affronteremo noi under 30 l’arrivo dell’app anti-covid?

Tra le voci che ho ascoltato, sono tre i concetti che ricorrono nelle parole di quasi tutti: privacy, sicurezza, comunità. E soprattutto, aleggia un dubbio: sarà davvero efficace? Sul funzionamento di Immuni infatti c’è ancora molta confusione. Una cosa che sappiamo, questo sì, è che per essere uno strumento efficace dovrà essere installata almeno dal 60% degli italiani, cioè da 36 milioni di cittadini. In Italia però, solo 44 milioni di persone possiedono uno smartphone (secondo il 53° Rapporto Censis). Facendo due conti il dato è che questo strumento funzionerà davvero se verrà utilizzato almeno dal 80% dei possessori di smartphone. La perplessità più comune è che non si riuscirà a farla installare a un numero così alto di persone. C’è anche chi, avendo un telefono poco aggiornato e un po’ vecchiotto, teme che «l’app non giri» o chi, banalmente, non ha lo spazio sufficiente.

Alcuni ragazzi con cui ho parlato hanno sottolineato che Immuni potrà funzionare solo se verranno garantite altre misure sanitarie, come la possibilità di fare tamponi a tappeto, o di effettuare test sierologici su larga scala, e questo chiaramente non appare realistico.

Il vero tormentone però, è la privacy. Quasi tutti pensano che sarebbe necessaria più chiarezza, proprio su questo punto. In realtà in fatto di sicurezza dei dati, si sono quantomeno fatti dei passi avanti rispetto alla versione pilota iniziale. Questo grazie alle proposte di esperti come Stefano Zanero del Politecnico di Milano, Matteo Flora (fondatore di The Fool), e l’avvocato legal-tech Antonino Polimeni, che hanno chiesto, e ottenuto, l’adozione di un modello totalmente decentralizzato per l’acquisizione e la gestione dei dati (DP3T). Se il data set non viene creato, assicurano gli esperti, si eliminano in partenza la tentazione di utilizzare i dati per altri scopi e il pericolo di eventuali attacchi informatici.

Più che la privacy infatti, i problemi sembrano essere altri. Durante uno scambio di opinioni con un’amica via Whatsapp, è emerso un aspetto fondamentale della questione: la reperibilità dell’informazione. «Bisognerebbe far capire chiaramente a chi la utilizza come funziona. Per il momento non sono riuscita a trovare informazioni complete, ci sono domande a cui ancora non ho trovato risposta cercando nel web.» È un ostacolo con cui mi sono scontrata io stessa. Non è facile trovare informazioni chiare e complete in rete, non esiste una “guida” che riassuma e spieghi una volta per tutte il funzionamento dell’applicazione e ne metta in luce limpidamente i pro e i contro. Ciò non significa che queste informazioni non siano state rese disponibili, perché non è così. Ma la difficoltà nel reperirne di chiare e definitive sicuramente influisce sulla diffidenza che accomuna gran parte dei futuri utenti.

Forse per questo quando parliamo dell’app Immuni la maggior parte di noi ha solo una vaga idea di cosa aspettarsi. Una delle domande ancora senza risposta riguarda le conseguenze nel momento in cui veniamo notificati di aver avuto un contatto con un positivo: la paura più comune è quella che ci venga chiesto di non uscire più di casa, e isolarsi per una seconda volta per molti sarebbe insopportabile. In effetti, di quali saranno le istruzioni che l’utente “a rischio” dovrà seguire, ancora non si è parlato. Eppure si tratta di un punto fondamentale, che potrebbe influire significativamente sulla diffusione e sul successo dell’applicazione.
E le falle nel sistema? Quando chiedo al mio amico Vittorio cosa ne pensa di Immuni e se la installerà, mi risponde così: «Aspetterò un po’. Voglio aspettare che sviluppatori e altri esperti ci “smanettino” per vedere se è sicura, e poi la scaricherò».

L’idea che molti esperti possano effettivamente “smanettarci” per verificare ed implementare la sicurezza dell’app, non è lontana dalla realtà. Infatti, la seconda proposta- diventata realtà- di Zanero & co. è stata proprio quella di rendere il codice sorgente completamente open- source, permettendo così alla comunità scientifica di verificarlo e apportare eventuali miglioramenti.

Le criticità messe in luce dai giovani con cui mi è capitato di parlare, non sono affatto infondate: dal timore che la soluzione più che invasiva sia inutile, a partire dal fatto che la partecipazione dovrà essere decisamente massiccia (e molti dubitano che lo sarà), fino ad arrivare ai problemi legati agli aggiornamenti e all’obsolescenza che tutti noi possessori di smartphone conosciamo bene. Tra dubbi e perplessità però, c’è un’idea che ricorre spesso: «facciamo parte di una comunità e dobbiamo pensare a tutelarci reciprocamente».

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