Religione
Hollande e quella visita mancata alla Moschea di Parigi
L’attenzione di tutti è stato e continua ad essere Parigi, ma sarà bene non distrarci da quanto sta avvenendo in Germania.
L’11 gennaio 2015 non è stato il giorno della liberazione, ma quello dell’impegno. Per questo non è l’equivalente dell’8 maggio 1945, il giorno in cui finisce la Seconda guerra mondiale. E’ sbagliato ritenere che sia stata un momento di festa. Domenica chi c’era, fisicamente e idealmente a Place de la République (è bene precisarlo, perché una parte della Francia e forse non solo di Francia era altrove, su altre piazze a proporre un’altra repubblica secondo le linee politiche, culturali, sociali del Front National) lì ha sottoscritto un patto che chiederà impegno, rinunce, forse anche nuovi dolori.
Non è l’unico punto che mi trova in disaccordo con un’atmosfera che da quella piazza molti hanno pensato nuovamente tranquilla. Ci sono tre cose che aspetti che ritengo rilevanti di della giornata di domenica e che lasciano ancora molte questioni aperte. Vanno tutti nella direzione di più cultura, meno paura. Ma non sono solo ed esclusivamente dei percorsi di approfondimento culturale.
Il primo riguarda il mondo islamico. Per giorni e comunque ormai da anni stiamo discutendo intorno a una polarità tra radicalismo e moderatismo. E’ una distinzione corretta ma non sulla base no0n delle citazioni del Corano che si possono fare, bensì su quello delle scuole d’interpretazione, dei commenti che accompagnano al testo e che connotano i gruppi culturali e politici che si muovono dentro l’Islam. E’ unaconsapevolezza, e ancor prima una conoscenza che noi abbiamo molto scarsa e che soprattutto denuncia un vuoto di conoscenza che noi abbiamo in Occidente. Conosciamo la sociologia dell’Islam, sappiamo poco o niente dei conflitti culturali trascuole, modelli interpretativi, contenuti che passano al suo interno. Radicale, moderato, tradizionale, moderno non si definiscono né solo, né prevalentemente rispetto ai comportamenti, o alle parole che si usano, si riferiscono all’interpretazione del verso, alla definizione che quella interpretazione contribuisce a dare all’identità, individuale, collettiva, di gruppo.
Non è l’unica questione che rimane aperta da domenica e che milioni di persone in piazza non hanno risolto né potevano risolvere.
A sfilata terminata François Holland è andato alla Grande Sinagoga di Parigi e lì per la prima volta da tempo si è forse iniziato a ricucire un dialogo dopo anni di paura, di timori, di diffidenze. L’episodio più noto è quello della strage alla scuola ebraica di Tolosa nel marzo 2012 (4 morti) per mano di Mohammed Merah, ma altri episodi hanno caratterizzato questi ultimi due anni, con aggressioni, uccisioni, violenze. Dunque da domenica anche lì si è stabilito un nuovo patto. Il fatto che da ieri mattina siano state rafforzate le misure di sorveglianza e di protezione alle sedi ebraiche (scuole, sinagoghe, punti e centri di ritrovo) indica che quel patto si fonda sulla dimostrazione che la Francia tiene ai “suoi ebrei”. Di nuovo dunque il problema è uscire dalla paura. Ancora è da vedere se ciò produrrà una rinnovata elaborazione culturale
Ma sarebbe stato opportuno che, in omaggio a Ahmed Marabet e MustaphaOurad, giustamente ricordati dal gran Rabbino di Francia Haim Korsia alla presenza di Hollande in sinagoga, fossero stati omaggiati alla presenza del Presidente anche in un luogo di culto islamico. Forse di nuovo la paura ha trattenuto da fare un gesto. Non solo da una parte, ma da entrambe le parti. Ciò per sottolineare come il percorso di ricomposizione in nome della libertà e della sua difesa che pure è iniziato domenica non ha ancora trovato tutti i suoi fili e per sottolineare che verso la libertà si uscirà davvero solo se usciremmo tutti e tutti insieme.
E’ un lungo percorso quello che ci aspetta: emozionale, culturale, sociale politico. Quello di domenica è solo la precondizione. Il resto, praticamente tutto, è davanti a noi.
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