Costume
Peristalsi
“Una sera erano tutti intorno a un tavolo delle riunioni, verso le sei del pomeriggio, arriva Feltrinelli fresco di doccia, appoggia il suo bellissimo cappotto di cammello di fianco a quello di mio padre, logoro e voltato e rivoltato tre, quattrocento volte, e comincia a parlare di giustizia sociale e lotta di classe, per due ore. Mio padre non ne può più, alla fine si alza – gelo, perché non ci si poteva alzare quando parlava il padrone – guarda quel suo cappotto liso, batte la mano sul tavolo, prende il cappotto di Feltrinelli, se lo infila, si pavoneggia un attimo, si volta, poi alza il pugno e dice: “Viva la lotta di classe”, ed esce.”
Aneddoto di Luciana Bianciardi su suo padre Luciano
La peristalsi del sistema sospinge inesorabilmente ciò che ne entra a far parte verso l’omologazione. L’annientamento di ogni differenza sostanziale tra gli attori viene però rappresentato con un copione e una scenografia che raccontano esattamente il contrario: trionfo del pluralismo e libera manifestazione della diversità.
L’identità sostanziale è offerta in una fantasmagoria che ne rende quasi impossibile il riconoscimento. In nessuna altra epoca l’uguale si è manifestato con tanti e tanto colorati travestimenti. A prendersi la scena è il luccichio dei lustrini delle diversità ufficiali che mascherano l’uniformità. L’utente è reso perfettamente in grado di rilevare le differenze che passano tra una Gruber e un Giordano ma gli risulta proibitivo rilevarne l’inconsistenza e rendersi conto che in realtà essi sono identici. A renderli tali non è ovviamente ciò che dicono di essere né ciò che si dice, o appare, che siano, ma è solo quello che realmente sono. Due personaggi televisivi pagati oltre ogni decenza che devono le loro fortune solo ai meccanismi del mercato. Ambedue esistono unicamente per fare audience e, nel momento in cui smetteranno di farlo, saranno sostituiti con altri gemelli diversi assunti allo stesso scopo. Su questo scoglio identitario ogni colorata e chiassosa differenza s’infrange rovinosamente e si rivela quel che è: folklore per turisti mediatici.
Per capire di cosa parlo quando parlo di mercato è interessante dare un’occhiata rapida alla riforma fiscale appena sfornata dal governo, quanto mai progressista, del banchiere:
“1) i redditi fino a 15mila euro restano a una aliquota di tassazione del 23%
2) lo scaglione compreso tra 15mila e 28mila euro passa dal 27% al 25%
3) la fascia 28-50mila cambia aliquota dal 38% al 35%
4) le detrazioni vengono “profilate” per portare un vantaggio anche per i redditi sopra i 50 mila euro
5) la tassazione per i redditi ancora superiori rimane invariata
6) abolizione dell’Irap per aziende e autonomi”
Cosa voglia dire “profilate per portare un vantaggio anche ai redditi oltre i 50 mila euro”, ovviamente non lo so ma qualsiasi cosa significhi non ci vuole molto per capire chi, dalla riforma, non ci guadagna nulla: proprio quelli che avrebbero più necessità di guadagnarci.
Serve forse un politologo per spiegare com’è possibile che tutto l’arco parlamentare sia in estasi per questa riforma?
No, basta il mercato: a consumare non sono i poveracci ma chi se lo può permettere.
Pensate che uno con 15.000 euro di reddito, se gli togliessero un poco di tasse, penserebbe alla settimana bianca e al venerdì nero? Al massimo comprerebbe un’altra stufa a gas contribuendo malvagiamente all’inquinamento globale. Ma il mercato pretende che i consumi vadano incentivati ad ogni costo, così lo si fa tranquillamente sulla pelle di chi consumare non può. E tutto questo mentre si manifesta quotidianamente solidarietà ai reietti d’ogni dove, si saltella allegramente dalla giornata contro la desinenza maschile a quella a favore dei cuccioli di foca e ci si estasia con Zerocalcare facendone circolare i gadget a cura della Netflix con tanto di copyright a pagamento.
Perché satira e irriverenza fanno ormai istituzionalmente parte del gioco del mercato.
Medium e messaggio sono rotelle di un unico meccano che porta acqua al mulino del presente che si perpetua e diventa eterno.
Una denuncia di “Report”, una battuta irriverente di Crozza non rendono la realtà che le ha prodotte più odiosa ma più accettabile e si fanno strumento della sua conservazione.
Sono lavacri rituali periodici, ormai istituzionalizzati, miranti alla redenzione dell’esistente. Esistono per attestare ciò che esiste e li fa esistere.
Se così non fosse verrebbero eliminati non da un qualche malvagio dittatore (mediatico oppure sanitario…) ma semplicemente dal mercato di cui sopra, le cui leggi provvedono benissimo da sole alla bisogna.
Difficile, certo, stabilire se sia maggiore il danno sociale causato da “Fuori dal coro” o da “Propagandalive”. Le fasce di utenza pur essendo sostanzialmente omologhe ci tengono a proclamarsi differenti. Personalmente sono però propenso a credere, lo confesso, che la devastazione culturale provocata da quelle trasmissioni che si muovono tra l’ironia “intelligente e mai volgare” la compassione e la solidarietà (al reietto che non può nuocere al benessere di chi le conduce, alla donna, all’omosessuale come feticcio di una diversità inoffensiva ecc.) sia incomparabilmente maggiore. Sventolando bandiere arcobaleno, intervistando ribelli da operetta, tenendo alto il vessillo dei diritti umani esse mettono infatti a tacere il privilegio di cui godono i loro tenutari. Un’occhiata al reddito dei vari Fazio, Gruber, Berlinguer, ecc. basterebbe a rendere evidente la loro vera identità sociale e a far capire cosa, ciascuno di loro, condivide fraternamente coi tanto vituperati Feltri, Sallusti o Giordano. Ma nessuno bada più a queste quisquilie e chi, malauguratamente, lo fa incorre subito nella più infamante delle accuse, quella di “invidia sociale”.
Spero di non essere frainteso: non ho alcun preconcetto nei confronti del mezzo televisivo. Anzi trovo decisamente stucchevoli quei tipi che affermano di non possedere neppure una tv per nobilissime ed altissime ragioni di ordine culturale…leggono, loro, ascoltano musica e vanno a teatro…insomma mi sembrano apologeti della loro stessa stupidità.
Ma, si capisce, anch’io ho le mie idiosincrasie.
Perciò tra tutti i programmi televisivi, evito con cura quelli intelligenti. Dovendo scegliere tra Antonella Clerici e Zoro, tra Paolo Fox e Zerocalcare scelgo la Clerici e Paolo Fox. Trovo preferibile, in generale, avere a che fare con chi non è in contraddizione con il suo conto in banca.
Con i migliori auguri ai compagnucci della parrocchietta.
p.s.
Nel caso qualcuno mi domandasse se ho visto “Strappare lungo i bordi” la risposta è: no e non intendo porre rimedio alla mia ignoranza.
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