Società
Perchè la sinistra non deve avere paura del Pride
Chi ha partecipato al Pride di Milano ha condiviso reazioni molto simili. Impressionanti il numero dei partecipanti, la giovanissima età media, l’ aver incontrato pochissime persone di propria conoscenza (stupore legittimo per frequentatori abituali delle piazze, e che vanno in piazza anche “per incontrarsi”), l’eccezionale buon umore e la forte e palpabile empatia fra i partecipanti, la sfida decisa e sarcastica nei confronti di avversari ben identificati (fra i quali, ma non esclusivamente, il Ministro dell’Interno). Insomma è stata una bella giornata e devo dire che chi scrive, che ai Pride partecipa dalla fine degli anni novanta, si è emozionato come mai prima (solo al World Pride del 2000 a Roma l’emozione fu simile).
Si, dice: la crisi della sinistra in Europa (negli Usa non c’è alcuna traccia di una crisi della sinistra, tutt’altro) anche dal fatto che nella sua agenda i cosiddetti “diritti civili” – che interessano ai ceti medio-superiori urbani – hanno preso il posto dei cosiddetti “diritti sociali” – che interessano i ceti medi-inferiori e non necessariamente urbani .
Questa tesi ha diversi limiti: il primo è che in molti casi confonde i liberali con la sinistra (è vero che per i liberali sono più importanti i secondi dei primi, ma il fatto che esista ancora chi rivendica entrambi – la sinistra, sebbene indebolita come mai prima – segnala che il problema in questi termini è sostanzialmente mal-formulato); il secondo è che prescinde dai contesti nazionali concreti dove, ad esempio il caso dell’Italia, il ritardo nell’affermazione di determinati istituti (le unioni civili, ad esempio) crea l’effetto ottico di una sinistra che si occuperebbe solo di quello (semplicemente, a causa dello sconfortante ritardo culturale della nostra classe politica la questione ha avuto grande centralità recentemente e questo determina quell’effetto ottico); il terzo è che travisa il ruolo che i “diritti civili” hanno per i gruppi sociali che quei diritti non li hanno o non li avevano caratterizzandoli come “questioni di opinione” rilevanti per l’ansia di distinzione dei ceti superiori e non, viceversa, quali questioni vitali, direi esistenziali, per quei gruppi sociali.
I “diritti civili” sono infatti assolutamente “civili” per i gruppi che tali diritti li hanno (e se ne interessano per così dire dall’esterno) e sono invece assolutamente “sociali” per chi quei diritti non li ha o li ha in parte (e se ne interessano perchè, viceversa, hanno a che fare concretamente con la propria condizione sociale, con il proprio potere sociale). Questo ultimo punto, secondo me essenziale, serve a chiarire il motivo per cui, al contrario, i Pride (che ad oggi, lo ricordo, sono gli appuntamenti di piazza più partecipati nel nostro paese) sono eccezionali occasioni di apprendimento per la sinistra. Ovvero per chi crede che dalla crisi attuale si esca con una radicale democratizzazione del potere (più democrazia, non meno) e una forte riduzione delle diseguaglianze (più universalità della cittadinanza sociale, non meno).
Ecco le quattro ragioni principali che ovviamente non sono esaurienti e che, altrettanto ovviamente, non intendono rimuovere gli aspetti problematici che pure ci sono:
1 – I pride per chi vi partecipa quale membro della comunità GLBT+ sono manifestazioni che come noto mettono in scena l’ “orgoglio”. Cosa molto contestata da destra, e non solo da destra per la verità. Ma cosa è l’orgoglio se non la manifestazione profonda del radicamento in una condizione sociale, che è fonte di solidarietà nei confronti di altre persone – anche molto diverse – che condividono quella medesima condizione sociale (l’essere parte di una minoranza sessuale9 e che, di conseguenza, fronteggiano gli stessi avversari? Direi che se tutto questo è vero il problema non è l’esistenza di un tale processo che porta poi al successo del Pride – e prima ancora all’esistenza di un attore sociale e politico definito comunità GLBT+ – ma il fatto che di tali processi non se ne vedano altrove, o meglio se ne vedano pochi e di misura forse più ridotta, perché tali processi sono l’indispensabile matrice, fatemelo dire, di una qualsiasi politica socialista (radicamento in una condizione sociale, azione collettiva, solidarietà, identificazione di un avversario);
2 – I Pride poi, al di là del nucleo di partecipanti che nell’accezione di cui sopra possiamo definire “sociali” perché radicati in una determinata condizione, hanno mostrato una straordinaria capacità di includere attori e settori dell’opinione pubblica che non vivono direttamente quella condizione. E’ questo è uno dei successi strategici del movimento GLBT+: la sua capacità di offrire un credibile orizzonte di liberazione – in relazione, ovviamente, ai temi della sessualità ma più in generale della concezione della vita personale (il personale è politico!) – a vasti settori sociali e con una forza straordinaria in particolare alle nuove generazioni. I Pride hanno ormai tantissimi compagni di strada: compagni di prossimità – ovvero persone che partecipano in concreta, diretta solidarietà nei confronti di persone GLBT+ – e alleati – persone che vi partecipano in virtù di solidarietà più astratte ma non meno significative. Vi fermo subito: il fatto che questa forma di solidarietà avvenga nella forma della partecipazione a un evento festivo non toglie nulla, assolutamente nulla, del carattere politico di tale solidarietà. La politica è ovunque e può stare ovunque, e una delle componenti strategiche dell’azione della sinistra è stata storicamente la costruzione di un’inedita pervasività della politica e dell’articolazione delle sue forme di espressione.
3 – I pride sono grandi eventi nazionali, nel senso che la comunità GLBT+ è una comunità che pratica sicuramente l’internazionalismo, ma che costruisce forti legami di solidarietà e di integrazione nazionale non solo per via della mobilità territoriale dei suoi membri (il ruolo delle città, ed in particolare di Milano e Roma, è decisivo) che ibridano fortemente le diverse provenienze territoriali, ma anche perché in una paese in cui le organizzazioni nazionali declinano (ed è uno dei motivi della crescente disarticolazione del paese) quella del movimento GLBT+ si è invece consolidata. Questo aspetto può sembrare poco rilevante, ma si tenga conto che allo stato attuale uno dei deficit della sinistra in Italia e in Europa risiede nella risignificazione della dimensione nazionale, che è tornata ad essere rilevante e contesa. Un appuntamento che ogni anno ha luogo, anche attraverso forme di coordinamento e organizzazione nazionali, da Bolzano a Palermo è del tutto significativo in questa prospettiva (ed è un processo di “nazionalizzazione” dal basso, e non dall’alto come quello prodotto dai partiti di estrema destra).
4 -I Pride sono grandi eventi inter-classisti, inter-generazionali, inter-comunitari, nel senso che sono eventi che rappresentano da una parte la diversità sociale della comunità GLBT+ (che ha le sue componenti operaie come le sue componenti alto-borghesi, per usare un lessico tradizionale) mentre dall’altra testimoniano anche dell’esistenza di una capacità di integrare membri di comunità di origine migratoria (a Milano se ne vedevano tanti sabato scorso) nelle quali peraltro la sessualità è un campo fortemente contestato. Ovviamente nella comunità GLBT+, come ovunque, ci sono fortissimi processi di differenziazione e distanziamento sociale, ma il Pride rappresenta un momento di fortissima identificazione di questa pluralità in una condizione comune. E per queste ragioni i Pride sono grandi manifestazioni popolari.
Tutto questo mi pare sia di assoluto rilievo per chi vuole ricostruire la sinistra in Italia e in Europa. Apprendere dal Pride significa riflettere su come si forgiano identità, si costruiscono solidarietà, si identificano avversari, si costituiscono alleanze, ci si rende desiderabili e rilevanti per vasti settori della società. E anche su come ci si emoziona, facendolo insieme. Che poi è la matrice davvero indispensabile di qualsiasi politica di trasformazione della società.
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