Società

Pandemia o economia, questo è il dilemma

1 Maggio 2020

Non c’è bisogno di frequentare i social o guardare i talk show, per constatare come in poco più di un mese si sia completamente ribaltato l’orientamento delle persone in merito al lockdown. A marzo volevamo chiudere tutto, e perfino rimproveravamo al governo di averlo fatto troppo tardi; oggi vogliamo riaprire il prima possibile. Siamo sempre noi, semplicemente noi. E siamo perfettamente comprensibili a noi stessi: combattiamo – gli psicologi direbbero “siamo programmati per combattere” – quello che ci fa più paura. Un mese fa, a spaventarci di più era il contagio, con le notizie delle terapie intensive che scoppiavano e i medici costretti a scegliere chi salvare e chi no. Oggi, il terrore è la crisi economica, e l’immagine del dramma sono le saracinesche chiuse, molte delle quali non riapriranno più. La memoria dei giorni del dolore pare, se non rimossa, sicuramente già lontana.

A prima vista può sembrare una situazione speculare: ubi maior, minor cessat, sia nella testa che nella pancia. Lockdown versus virus, riapertura versus crisi. Purtroppo, non è così. Il virus è “elastico”, potrebbe ripartire esponenzialmente domani mattina se non trovasse un contenimento, esattamente come è scoppiato a febbraio. Il nostro portafoglio, invece, non è per nulla “elastico”, e ogni singolo giorno di mancato incasso o stipendio si fa sentire su tutti i giorni successivi, e non permette di tornare indietro. Questa banale verità rischia di tramutarsi nel medio-lungo termine, e fino a quando non sarà scoperto un vaccino, in un vantaggio per il virus. Nella malaugurata ipotesi che vi sia una seconda ondata di contagi, non è detto che la propensione al rischio degli italiani sia bassa come durante la prima ondata. Se dovesse rendersi necessaria una nuova quarantena, regionale o nazionale, lo stress non solo psicologico della popolazione sarebbe ben più pesante e considerazioni economiche potrebbero acquisire sempre maggiore peso nelle future decisioni del governo. Rischieremmo tutti un po’ di più, per nostra stessa scelta. Rischieremmo col rischio di pentircene successivamente.

Foto Claudio Furlan – LaPresse
29 Febbraio 2020 Cremona (Italia)

Ecco perché, forse, il governo si muove così cautamente sulla cosiddetta fase 2. Da una parte, è sempre più forte la richiesta da parte nostra di uscire di casa, di riaprire i negozi, di tornare il prima possibile a lavorare (in sicurezza). Dall’altra, è ben presente la paura del governo che una ripresa troppo rapida faccia nuovamente aumentare i contagi, rendendo non solo vani i sacrifici già compiuti, ma anche sempre più difficili e dolorosi i nuovi sacrifici che sarebbero necessari.

Questo è il dilemma che rende la situazione così complicata sotto tutti i profili e in particolare sotto quelli della gestione sanitaria, del diritto, dell’economia e dell’etica. L’unica risposta al momento approntata è quella della gradualità. Non possiamo riaprire tutto subito, ma non possiamo neppure tenere tutto chiuso. Quindi riapriremo con lentezza, centellinando gli sblocchi e misurando soprattutto nelle prime due settimane di allentamento come varia il maledetto indice R-con-zero. Il tassello ancora molto debole sembra invece quello di una strategia che vada oltre il calendario. Piani di test, tracciamenti, trattamenti che in altri Paesi sembrano facili ed efficienti, in Italia sono ancora tutti sulla carta.

E così, in attesa di questa strategia, non ci resta che tornare al dilemma iniziale. Riaprire o non riaprire? Virus o economia? Una dicotomia purtroppo sbagliata, ingiusta, cattiva, perché salute e lavoro non sono e non devono essere in competizione; ma naturale come naturale è scappare dal pericolo che sembra, qui e ora, più grande e vicino.

 

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