Innovazione
Pandemia e sex toys, l’onda lunga che continua a crescere
Mentre le polemiche sulle deliziose affissioni a Milano della terza serie di Netflix Sex Education scemano rapidamente – polemiche che hanno trovato poca sponda, avendo la città meneghina una postura seria e industriosa ma, in fondo, essendo da sempre poco incline al bigottismo – l’azienda del sex tech di lusso inglese LoveHoney ha realizzato il primo evento in Italia per sancire la fusione con l’altro grande big brand del settore, la tedesca Wow Tech, dando vita a LoveHoney Group. Notizia che di per sé non farebbe così rumore se non si trattasse dei due più grandi produttori di oggetti per il piacere femminile, che riuniscono alcuni tra i brand più noti del mercato come Fifty Shades of Grey, Womanizer, We-Vibe e Arcwave, e se la fusione non fosse un’operazione da 1 miliardo di dollari, con un fatturato stimato per il 2021 di 400 milioni di dollari. Praticamente la più grande sexual wellness company mondiale.
Se Madonna, in un momento felice della sua carriera, incoronò gli italiani amanti ideali con una t-shirt che recitava “Italians do it better”, regalandoci una fama da spendere nelle nostre avventure oltre confine, non si può dire che il mercato nazionale sia tra i più vivaci per quanto riguarda i cosiddetti sex toys. Forse Milano non è bigotta, ma dai dati il Paese sconta ancora un ritardo che si spiega solo con una visione ancora piuttosto “vintage” di quello che è il benessere sessuale.
I numeri li snocciola Johanna Rief, Head of Sexual Empowerment dei brand del gruppo, giovane e preparatissima portavoce dei brand del gruppo, con un job title da invidia istantanea. Nel 2020, l’anno della pandemia, il mercato è cresciuto ben del 26%, arrivando a 34 miliardi di dollari, e che crescerà dell’8% annuo dal 2021 al 2028, superando quota 52 miliardi entro il 2028.
Il gruppo scommette anche su un’ulteriore crescita legata alla diffusione dei vaccini, che permetterà alle persone di tornare a socializzare ma senza abbandonare l’utilizzo dei toys, cresciuto durante l’isolamento dovuto alla pandemia.
LoveHoney e Wow Tech, con il loro bouquet di brand, offrono una vasta gamma di “modulatori di piacere” (quelli che abbiamo imparato a conoscere con il nome più generico di vibratori) espressamente pensati per un uso individuale o di coppia, etero o omo che sia e di qualunque età (il cosiddetto sesso nella “silver – age” è un tema a cui il gruppo è molto attento), per alcuni modelli con tanto di app che ne permette il controllo da remoto (soprattutto in momento in cui la distanza è spesso una scelta non voluta, facciamo di necessità virtù). Tra i brand raccolti nella fusione citiamo Womanizer, nome che forse oggi meriterebbe una riconsiderazione ma che immaginiamo sia nato in tempi di differente sensibilità in merito a patriarcato e sessismo; in ogni caso, Womanizer nei fatti ha decisamente a cuore (e al core business) il benessere sessuale delle donne, e si avvale di un team di medici, terapisti, ingegneri e designer provenienti dai settori più disparati per sviluppare i propri prodotti, tanto da aver brevettato la Pleasure Air Technology e realizzato nel 2014 il primo modulatore di piacere che utilizza la pressione dell’aria – non la vibrazione a contatto diretto – per stimolare le terminazioni nervose del clitoride. Efficace? Basta vedere il numero di brand che a seguire hanno adottato la stessa soluzione, replicandone il concetto alla base, e il successo di vendite, sostenuto spesso dal passaparola delle amiche ancor più che dalle recensioni.
Se da un lato della faccenda c’è il business, dall’altra c’è la mission, e in questo caso sul piatto della bilancia sembra pesare molto: l’obiettivo secondo Rief è “destigmatizzare la masturbazione”, aiutando le persone ad avere una vita sessuale felice e a sentirsi a proprio agio con la sessualità. Per esempio, Womanizer ha commissionato il Menstrubation Study (Menstruation + Masturbation), il primo studio clinico al mondo mirato a scoprire gli orgasmi possono aiutare a ridurre i dolori mestruali. Lo studio, interessante perché mira anche a colmare quel “gender health gap” a causa del quale le donne sono state storicamente trascurate dalla medicina ufficiale, con danni incalcolabili per la salute, ha dimostrato un comprovato effetto antidolorifico dopo tre mesi di attività regolare.
Altra indagine piuttosto significativa, stavolta realizzata dal brand We-Vibe (che produce accessori per la coppia), attesta che gli uomini raggiungono l’orgasmo più velocemente delle donne. In questo studio l’Italia ha uno spiacevole primato con il divario più alto (38,3%), con il 62,7% di uomini che raggiungono l’orgasmo ogni volta rispetto al 24,4% delle donne, seguita da Russia (36,6%) e Nuova Zelanda (36,2%). La ragione principale? Semplice: la maggior parte delle donne ha bisogno di una stimolazione del clitoride durante il sesso penetrativo per raggiungere l’orgasmo, cosa che, leggendo tra le righe dei dati, forse non viene tenuta nella dovuta considerazione. Anche questo racconta qualcosa di importante riguardo al rapporto tra gli italiani la sessualità, e in parte, forse, anche del successo che stanno riscontrando i toys.
Il tabù del piacere femminile
Nel 2020 Womanizer ha lanciato la “Giornata Internazionale per l’eguale masturbazione”, una giornata simbolica del divario di masturbazione tra i generi, pensata per porre l’attenzione verso il tabù della sessualità femminile e la vergogna associata ad esso. Rispetto al 2020, nel 2021 stato rilevato un trend positivo: il Masturbation gap è diminuito dal 68% al 62%. Nel sondaggio che ha interessato 14.500 partecipanti da 17 paesi, rispetto al 2020 gli uomini si sono masturbati in media meno, mentre le donne di più. Gli uomini intervistati si masturbati 140 volte all’anno (2020:154), mentre le donne intervistate in media 53 volte (2020:49). La media degli uomini è 2,6 volte a settimana, le donne una volta. Una differenza notevole ma un trend in crescita positivo per il pubblico femminile.
Infine, per i brand è fondamentale agevolare il dialogo aperto e senza pregiudizi riguardo la sessualità. In quest’ottica, i social media hanno avuto il merito di aprire alla discussione sui sex toys e su un piacere più consapevole: pensando ai vari influencer come Lily Allen, che ne 2020 si è spesa per la campagna #IMasturbate, e considerando che il divario globale rispetto alla masturbazione tra uomini e donne del 66%, possiamo dire che il tema sia in generale sia piuttosto rilevante, e ancora di più lo è se considerato in un’ottica di benessere e di emancipazione femminile. D’altro canto è evidente una mancanza di figure autorevoli che possano parlare con competenza di questi temi a un pubblico ampio, contribuendo a realizzare quell’educazione sessuale che nelle scuole italiane praticamente non esiste e che qualcuno vorrebbe blindare all’interno delle famiglie o lasciare come appannaggio di chi tutto possiede fuorché una visione laica della questione.
L’imbarazzo della scelta
Nell’enorme offerta ormai disponibile, il gruppo punta tutto sull’alta gamma: materiali di qualità, design, ergonomia, soluzioni ingegneristiche. Ecco quindi che spuntano i modelli bio, che puntano a una completa sostenibilità del prodotto per ridurre l’impatto ambientale – tema ormai centrale per ogni azienda che si rispetti – e il primo modulatore di piacere maschile, vincitore del Red Dot Design Award 2021, realizzato adattando la tecnologia ad aria già impiegata negli stimolatori femminili. A prima vista si tratta di un oggetto che ricorda un device tecnologico non meglio precisato, dalle dimensioni contenute (sta in una mano, come è facilmente immaginabile) e dal design sobrio e ricercato. Pare che offra una stimolazione straordinariamente intensa ed efficace e che sia il primo toys di questo tipo a essere commercializzato. Difficile prevedere come reagirà il mercato italiano, già piuttosto timido di per sé, se i maschi italiani si dimostreranno aperti a sperimentare un piacere robotico o se fuggiranno spaventati alla vista del gadget tecnologico, ma di certo si tratta di un pezzetto di futuro e di un’ipotesi concreta di evoluzione del nostro rapporto con il corpo attraverso le interfacce wearable. Per alcuni un futuro distopico, per altri gamificato.
E infine, tutto bello, tutto giusto, ma qualche domanda rispetto a questa tendenza del mercato globale rimane: e chi non può accedere, economicamente, culturalmente, a questi strumenti? È giusto veicolare l’idea che il benessere sessuale debba passare da un prodotto, e quindi ancora una volta rientrare in una logica di consumo anche quando si parla di sessualità, dimensione che ognuno dovrebbe poter esprimere pienamente e liberamente, indipendentemente dalla propria capacità di accedere a dei servizi a pagamento o a dei gadget più o meno di lusso? E ancora, è opportuno lasciare che il vuoto dell’educazione sessuale di cui non siamo in grado, come società, di farci carico, sia colmato da aziende private, composte certo da professionisti competenti ma mosse essenzialmente da uno scopo commerciale? Domande aperte, e una sola, piccola certezza: non siamo più sedotti dalla merce, oggi ci facciamo direttamente l’amore.
Devi fare login per commentare
Accedi