Famiglia
Padri a 80 anni
Una ricerca scientifica cerca di sfatare il luogo comune secondo cui l’età dell’uomo non influisce con la buona riuscita della gravidanza. Del resto anche Robert De Niro, qualche giorno fa, ha annunciato di essere diventato padre per la settima volta, all’età di 79 anni. Se dal punto di vista biologico è possibile diventare padri anche in età avanzata, gli esperti sostengono che sarebbe meglio non rimandare eccessivamente l’appuntamento con la paternità. L’età giusta è indicata tra i 20 e i 30 anni ma oggi l’avventura genitoriale si è spostata in avanti sia per motivi sociali, dovuti alla difficoltà nel trovare una stabilità professionale e quindi economica, sia per l’aumento dell’età media; in passato persone di 50 anni erano considerate anziane oggi non è più così.
In questo articolo non è mia intenzione soffermarmi sulle tesi scientifiche ma voglio riflettere sul fatto che assistiamo spesso a casi di paternità di ultra ottantenni, che difendono il loro diritto di essere padri anche a quell’età. È il caso, ad esempio, del noto stilista Roberto Cavalli, diventato recentemente papà per la sesta volta a 82 anni. Non è il solo, sono numerosi i casi analoghi di persone anche meno famose.
Ci si chiede se un padre non più giovanissimo sia una risorsa per la crescita del figlio. Dietro questa scelta può celarsi una forma di egoismo di chi iniziando a pensare al proprio passato, genera un figlio per cercare nuovi stimoli, guardare avanti ed avere un nuovo futuro. Questa scelta porta sicuramente al padre la percezione di un allungamento della vita che avviene guardando il proprio figlio crescere; ma il dubbio di molti è che quel figlio, osservando il papà oramai anziano, possa sentirsi abitato dalla paura di diventarne presto orfano.
C’è poi un altro aspetto: se si vuole partecipare alla vita attiva di un figlio, la vitalità di un genitore di 60/70 o addirittura 80 anni non può più essere quella che invece alberga in un papà più giovane. In questo caso posso parlare della mia esperienza personale, diventato papà per la seconda volta a 50 anni di un figlio maschio. Posso affermare di essere felice della scelta compiuta (rifarei tutto), ma non posso negare che il percorso di crescita fatto attivamente insieme sia impegnativo dal punto di vista fisico. Oggi di anni ne sono passati dieci e la strada si fa in salita. Lui cresce e dopo i due lustri passati, ha bisogno di una fisicità che è in contrasto con la mia. Questo è inevitabile nonostante io cerchi di mantenermi in forma e lui, questo va detto, mi è di grande stimolo. Eppure la mia schiena grida ancora vendetta dopo aver tirato una cinquantina di rigori per la sua soddisfazione di averne parato qualcuno (essendo scarso gli altri li ho tirati fuori).
Fortunatamente non è il mio caso, ma esiste anche il tema del confronto con i papà degli amici di tuo figlio che hanno la metà dei tuoi anni e qui l’ampia differenza può lasciare nel genitore meno giovane un senso di inadeguatezza.
Per carità, è lecito scoprire un sentimento paterno in tarda età, un sentimento mai provato, oppure desiderato nuovamente in un’età diversa. Va però tenuto conto che, per ovvie ragioni, è possibile che non si riesca più ad accontentare il bambino attraverso il gioco e il rapporto fisico. È anche in questo modo che viene a crearsi il rapporto con il proprio figlio, sopratutto se maschio, che rischia di vedersi privato di questo aspetto significativo. Questo compito può essere assolto da fratelli maggiori, se presenti, e con il papà vivere altre emozioni, ma secondo me non è la stessa cosa. Non dimentichiamo poi che una situazione di questo tipo diventa molto impegnativa anche per le donne che devono farsi carico, se possono e se riescono, del pezzo “mancante”.
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