Diritti
Omicidio stradale con l’aggravante rom
In un paese normale l’ennesima morte di una persona investita da un’auto riaccenderebbe i riflettori sulla legge sull’omicidio stradale, che in questi giorni dovrebbe arrivare in Senato. Magari si parlerebbe della marcia indietro del governo rispetto alla revoca della patente a vita nei casi più gravi. O si rifletterebbe sul fatto che in 10 anni in Italia sono morte 7000 persone perché falciate in strada. L’equivalente degli abitanti di un piccolo paese. Secondo siamotuttipedoni.it «Gli ultimi due anni hanno fatto registrare una drammatica inversione di tendenza nel numero di bambini travolti e uccisi sulle strade italiane. Dopo anni di forte calo, nel 2013 il numero di giovani vittime (da 0 a 13 anni, dati ASAPS) è balzato a quota 48 rispetto alle 11 del 2012».
Nell’Italia in campagna elettorale, invece, questi dati interessano poco, sanno di già sentito e la gente cambia canale o clicca oltre dopo avere dedicato un pensiero distratto all’ennesima vittima. Ciò che invece non annoia mai e appassiona trasversalmente l’elettore di destra e quello di sinistra, il primo senza peli sulla lingua, il secondo con un po’ di vergogna, è l’attacco ai rom. Da noi la morte di una donna investita e di 8 feriti è la scusa per fomentare, come se ce ne fosse bisogno, l’odio nei confronti di un popolo intero. Anche di quelli che oggi sono andati a lavorare, a scuola, al cinema, a fare la spesa. Cioè la maggioranza di coloro che vivono in Italia, i circa 100mila che abitano in mezzo a noi, mimetizzati per paura che rivelare la loro origine possa farli licenziare o cacciare via di casa. Come è successo a Marinela allontanata dal pub in cui lavorava dopo avere svelato la sua origine. Quelli che reagiscono e decidono di lottare contro stereotipi e pregiudizi devono andare in giro per l’Italia e raccontare ai cittadini per bene che esistono, che sono rom, ma lavorano, hanno una casa, un mutuo, dei figli che vanno a scuola. E che sono la maggioranza, non delle mosche bianche. Sead Dobreva e Luigi Bevilacqua da mesi prendono le ferie per presentare “Fuori Campo”, il documentario di Sergio Panariello che con la telecamera segue quattro rom nella loro straordinaria quotidianità. Straordinaria agli occhi dei più, ordinaria se si sceglie di guardare i dati.
A coloro che oggi hanno colto al balzo una tragedia per opportunità o frustrazione non importa di Sead e Luigi. Preferiscono pensare che tutti i loro problemi dipendano dal campo nomadi al di là della strada e dai suoi abitanti con la faccia scura che parlano una lingua strana e incomprensibile. Quei circa 40mila rom che vivono segregati in periferia, in non luoghi, in alcuni casi senza nessun collegamento con le città. Si ripete il ritornello che non vogliono integrarsi, come se l’incapacità di diventare bravi cittadini fosse parte del loro patrimonio genetico. Come se il degrado, la stigmatizzazione, il rifiuto non fossero terreno fertile per la delinquenza. Dovrebbe stupire, al contrario, che nonostante ciò molti rom dei campi, nella Capitale e in altre città, riescano a immaginare e costruire una vita “normale”, a studiare, a trovare un lavoro.
Non si crea un immaginario collettivo così forte senza un disegno preciso. E lo stereotipo del rom ladro, truffatore e assassino è talmente radicato che anche con i numeri alla mano resta la convinzione che la maggioranza dei rom viva nell’illegalità. In questo politici e giornalisti giocano un ruolo fondamentale. Le violazioni della Carta di Roma sono all’ordine del giorno. “Saluti da Rom”, titola oggi Il Tempo. Qualche mese fa su La7 l’eurodeputato della Lega Nord Gianluca Buonanno dichiarava che «i rom sono la feccia della società», mentre Salvini a giorni alterni suggerisce di asfaltare i campi nomadi. L’insulto ai rom è ormai talmente sdoganato che persino un prete in Toscana, a febbraio scorso, ha commentato su Facebook un post in cui si paventava l’arrivo di due o tre famiglie rom scrivendo “Avete un fiammifero?” dando il via a una serie di insulti e minacce. Il sacerdote poi si giustificò dicendo che mancavano i fiammiferi nei candelieri. Secondo l’osservatorio dell’Associazione 2 1 luglio che monitora giornali locali e nazionali, blog e siti, nel 2014 si sono verificati 443 episodi di condotte discriminatorie e incitanti all’odio verso i rom.
Dopo i titoloni, i talk show, i video dei cittadini arrabbiati si torna a parlare di “emergenza rom”. Nel 2008 per risolverla il collega di partito di Salvini, Roberto Maroni stanziò 30 milioni di euro che non è ancora chiaro come siano stati spesi (l’inchiesta Mafia Capitale sta svelando in parte il mistero), ora la domanda è: i riflettori puntati sui rom serviranno a dirottare altri soldi pubblici nelle tasche degli amici o soltanto a distogliere l’attenzione dallo smantellamento della scuola pubblica, dai candidati impresentabili, dalla disoccupazione e…
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