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Nozioni di infattivologia
“Gli astronomi osservavano le stelle dagli osservatori di montagna, le menti umane lavoravano indefesse, e non una macchina si è sbagliata la notte in cui i lidi dell’Italia meridionale sono stati spazzati dalla faccia della terra”
Aleksandr Blok, Forze della natura e cultura, 1908
Con piacere espongo i prolegomeni a una nuova, utilissima, disciplina: l’infattivologia.
Ringraziando in anticipo per la gratitudine dei commentatori compulsivi.
“I “FATTI” sono, ammettiamolo, ampiamente sopravvalutati. Un “fatto”, in sé, è davvero poca cosa. Quasi nulla. Stanno lì a dimostrarlo tutti quegli innumerevoli “fatti” che ogni giorno ci sfilano sotto il naso e dei quali non riusciamo neppure a percepire l’odore, perfino quando si tratta di un odore sgradevolissimo, un fetore che dovrebbe almeno farci alzare lo sguardo fino a ciò che ne costituisce l’origine. Invece niente: i “fatti” si susseguono e noi, persuasi di avere a che fare con la realtà (dei fatti, appunto) ce ne rimpinziamo come oche all’ingrasso. Ma se noi ingoiamo i fatti, i fatti, a loro volta, ci mangiano vivi, da dentro. Tutti vogliono più fatti e meno parole. E i fatti ingoiano l’intelligenza. Il calembour, ne convengo, è scemo ma io, del fatto, me ne fotto. Il verbo “FARE” si porta dietro, come uno strascico, tutta la prosopopea del minchione che mette fine, con l’arroganza di chi è fiero di aver smesso una volta per tutte di pensare, ad ogni possibile gioco dell’intelligenza. E’ per questa ragione che “quelli che fanno” in genere mi infastidiscono e, qualche volta, facendo quel che fanno, mi fanno orrore. Non c’è “fatto” al mondo che non sia “fatto” da noi, dalle nostre parole, dal nostro pensiero e non c’è fatto, dunque, che non sia (secondo il punto di vista) assai meno o assai più di un fatto. I fatti, insomma, sono sempre fatti nostri e, come tali, fatti di parola. La parola è apertura al possibile. Per questo non c’è nessuno più concreto, più attento ai fatti di un cretino. Perché la stupidità non si dispiega tra possibilità ma tra fatti e il cretino non concepisce il possibile; per lui le cose sono o non sono. O sono fatti o sono niente. Per questo l’ex libris di tutti gli imbecilli è “fatti (o numeri) non parole”. Anneghiamo nelle statistiche, nei numeri, nelle proiezioni e negli aggiornamenti. Nulla di tutto questo ci rende migliori o più saggi. Anzi non ci rende neppure, come si crede, più informati. Al contrario. Si esce pazzi furiosi. Però con il sussiego del contabile. La bava alla bocca e, tra le mani, un aggeggio con cui far foto per testimoniare fatti e comunicarli ad altri paranoici con bava alla bocca e aggeggio in mano. Ma i fatti – che sono fatti di niente – si esauriscono come fuochi fatui e lasciano solo, negli accoliti, l’ingordigia insoddisfatta e la frenesia di affondare i denti nella mollica impalpabile di altri fatti. Così, quando non c’è altro in cui credere finisce che proprio loro credano all’incredibile. I fatti perciò riprendono a circolare in forma di stronzate e vengono consumati in quantità spaventose, tali da devastare ogni stomaco, perfino il più capiente e allenato. I diffusori di fatti (e più di tutti quelli del “facciamo parlare i numeri”) vanno dunque tenuti a distanza di sicurezza perché, anche quando sembrano innocui, sono portatori sani di contagio.”
C. Lathbury, Note sparse
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