Immigrazione
Neppure morti ci accorgiamo di voi
Jerry Essan Masslo era un profugo politico sudafricano. Arrivò in Italia in una stagione della nostra storia in cui davvero in pochi sapevano dare un significato alla parola “profugo”.
Il 24 agosto 1989 fu ucciso durante una rapina. Partecipava in quei giorni alla raccolta dei pomodori nella campagna di Villa Literno.
La sua morte aprì gli occhi di molti. Svelò la condizione di migliaia di immigrati “invisibili”. L’Italia che per quasi un secolo era stato un paese di emigrazione, scoprì, senza più alibi, di essere diventato (come per altro era stato per tanti secoli della sua storia preunitaria) un paese di immigrazione e di transito.
Jerry Masslo era un predicatore della chiesa evangelica battista. La vasta eco che si propagò rapidamente alla notizia della sua morte, indusse all’organizzazione di solenni funerali di stato. E questi furono celebrati con rito cattolico.
L’Italia confermava così la propria impreparazione a gestire il pluralismo religioso che avrebbe poi nel corso degli anni conosciuto una crescita tumultuosa. Claudio Martelli allora era il ministro della giustizia. A suo merito va di aver dato credito al vasto movimento di opinione che quella morte suscitò per dar vita alla prima legge organica in materia di immigrazione. A tutti è nota come la legge Martelli.
Nella sua autobiografia così descrive la vicenda del funerale: “poca gente accanto ai pochi compagni di Jerry, impauriti, desolati: qualche contestatore, qualche socialista e pochi giornalisti sotto la pioggia”.
Jerry fuggiva dall’apartheid razzista sudafricano. Il TG2 trovò una sua intervista in cui raccontava ciò che aveva trovato in Italia e la trasmise. Queste le sue parole: « […] Pensavo di trovare in Italia uno spazio di vita, una ventata di civiltà, un’accoglienza che mi permettesse di vivere in pace e di coltivare il sogno di un domani senza barriere né pregiudizi. Invece sono deluso. Avere la pelle nera in questo paese è un limite alla convivenza civile. Il razzismo è anche qui: è fatto di prepotenze, di soprusi, di violenze quotidiane con chi non chiede altro che solidarietà e rispetto. Noi del terzo mondo stiamo contribuendo allo sviluppo del vostro paese, ma sembra che ciò non abbia alcun peso. Prima o poi qualcuno di noi verrà ammazzato ed allora ci si accorgerà che esistiamo».
Sono passati 30 anni. Diciamola tutta: sono passati invano.
Un candidato alla presidenza di una regione può ancora parlare oggi in Italia di razza bianca e un medico di colore può sentirsi dire: “non mi faccio visitare da un nero”.
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