Società
Musulmani: la fatica di vivere (e di morire) in Italia
«Quanti sono i cimiteri islamici in Italia? Beh, uno spera sempre che siano pochi, perché questo vuol dire che si muore meno…», dice con buona dose di ironia Izzedin Elzir. Poi Elzir – palestinese di Hebron, da cinque anni alla guida della Unione Comunità Islamiche Italiane (UCOII) – torna a farsi serio. E snocciola due dati.
Primo dato, il numero dei musulmani in Italia: circa un milione e seicentomila persone. Secondo dato: il numero di cimiteri islamici, che, secondo l’UCOII, sarebbero solo una ventina. Dati che disegnano chiaramente un problema, perché un posto per tutti i defunti di fede islamica – anche a voler essere ottimisti come il presidente dell’UCOII – evidentemente non c’è.
Elzir, che è anche Imam di Firenze, dice di augurarsi, ovviamente, che tutti i Comuni mettano presto mano al problema. Ma per il momento anche i musulmani hanno dovuto imparare l’arte italiana per eccellenza: quella di arrangiarsi.
Come? Il presidente dell’Unione Albanesi Mussulmani Italiani (UAMI), Kajashi Arian, lo spiega senza tanti giri di parole: «Il più delle volte rimpatriamo i corpi con l’aereo», dice.
In passato, ammette il presidente della UAMI, poteva anche avere un senso. Gran parte degli immigrati musulmani non puntavano a fermarsi stabilmente in Italia e, spesso, desideravano anche e soprattutto da morti, tornare a casa. Ma ora non è più così: «Le famiglie che vedono il loro futuro in Italia – dice sempre Arian – sono sempre di più. Parliamo di persone che sono in Italia da molti anni o addirittura sono nate in Italia da genitori immigrati. E loro vogliono avere i loro defunti vicino».
E poi rimpatriare tutti i defunti sta diventando, anche economicamente, insostenibile. Il presidente della UAMI spiega che solo nella città in cui vive, la piccola Piacenza, all’incirca una trentina di morti viene rispedita a casa ogni anno. «E per ogni corpo – precisa Arian – si spende da un minimo di 2mila euro, se si tratta dell’Albania a 4mila euro per l’Africa; e ancora di più per l’Asia. Noi come comunità cerchiamo di aiutare le famiglie facendo delle collette, ma non sempre si trovano i soldi».
Il centro islamico di Piacenza
Già, e se non ci sono i soldi? E se non ci sono, occorre arrangiarsi ancora di più. E trovare, se possibile, posto in uno dei pochi cimiteri islamici che ci sono in Italia. A Milano, per esempio; oppure a Bologna; o a Roma. “Ma quando ti muore una persona cara – lamenta il presidente della UAMI – vorresti pensare al tuo lutto, non a dove mettere il suo corpo. È una cosa penosa”.
Cimiteri islamici: una necessità, un diritto
A Piacenza, la città dover vive il presidente dell’Unione Albanesi Mussulmani Italiani, la comunità islamica ha, per l’appunto, appena sollevato la questione: i musulmani piacentini chiedono non un proprio cimitero, ma una porzione di terreno all’interno del cimitero della città. Ma per una persona di fede islamica, è davvero così necessario essere seppellito in uno spazio ad hoc?
Assolutamente sì, risponde Rosario Pasquini. Pasquini è italianissimo, è un ex avvocato e si è convertito all’Islam nel lontano 1973. Ora, a 81 anni, è teologo e una delle massime autorità della moschea di Al-Rahman a Milano. E la mette in questi termini: “Non è una esigenza sentita solo dai musulman – dice Pasquini -. Anche gli ebrei hanno una loro area all’interno dei cimiteri. E comunque una ragione religiosa c’è”.
Mosche Al-Rahman a Milano
Pasquini, il cui nome islamico è Shakyh Abdu-R-Rahman, spiega che, secondo la tradizione coranica, i morti non devono andare nei “forni”, ma vanno seppelliti sotto terra. La testa del defunto, poi, deve essere rivolta verso la Mecca e quindi le fosse per le bare devono essere orientate tutte nello stesso modo.
Per questo e per avere uno spazio di preghiera che non sia un cappella cristiana, la soluzione più semplice è appunto quella di avere un’area dedicata all’interno di un cimitero. Cosa che, dice sempre Pasquini, è anche prevista dalla legge: “Le norme che regolano i cimiteri già prevedono un’area per i non cattolici. Basta farne richiesta”, ci tiene a precisare.
Cosa che, appunto, Pasquini stesso ha già fatto. Anche perché, da italiano, non aveva nessun paese di origine cui essere “rispedito”. Risultato: la comunità islamica di Milano, trattando con il Comune, ha ottenuto, negli anni, due spazi. C’è un piccolo cimitero musulmano da circa 40 posti annesso alla moschea di Al-Rahman, la prima ad essere costruita, in Italia, a fine anni Ottanta, con cupola e minareto. E c’è una area più ampia – da altri 800 posti – in un altro cimitero nell’hinterland milanese, a Bruzzano.
Parma, due lustri (o quasi) di trattative
Tutto così semplice, quindi? Non proprio. A Parma, per esempio, la comunità islamica ha dovuto affrontare una maratona di riunioni, incontri e discussioni prima con la giunta guidata dal sindaco di centrodestra Elvio Ubaldi; poi con quella sempre di centrodestra guidata da Pietro Vignali; e infine con quella del primo cittadino a cinquestelle, Federico Pizzarotti. Alla fine, “ci sono voluti quasi dieci anni, ma abbiamo ottenuto, in uno spazio adiacente al cimitero di Valera, il posto per 60 tombe”, racconta Farid Mansouri, presidente da 16 anni del centro islamico di Parma.
Ma non sono un po’ pochi 60 posti? Quanti sono i musulmani a Parma? “Siamo in circa 14mila – risponde Mansouri – e sì, sono pochi. Ma è un punto di inizio. Ed è comunque un qualcosa che si può usare in caso di necessità”. Cioè se un corpo non può essere rispedito in patria? “Sì, ancora tanti vogliono essere rimpatriati da morti – dice ancora Mansouri – Ma la nostra religione dice che il defunto va seppellito il più presto possibile e nel luogo in cui è morto. Prima questa possibilità non c’era; ora finalmente dovremmo averla”.
La gara per appaltare i lavori, secondo il presidente della comunità islamica, dovrebbe finalmente partire in autunno. Ma questo risultato lascia comunque un po’ di amaro in bocca. “Concedere qualcosa ai musulmani sembra sempre un problema”, dice Mansouri. Ma la legge non è dalla vostra parte? “Sì – dice ancora il presidente del centro islamico di Parma – la legge dice che il Comune deve trovare un’area, ma il Comune quell’area può darla quando vuole”. Anche, appunto, dieci anni dopo che è stata richiesta.
A seguire da vicino la vicenda del cimitero islamico di Parma, è stata un consigliere comunale del Partito democratico, Maurizio Vescovi. Che, negli anni, ha tallonato l’amministrazione a colpi di interrogazioni, perorando la causa della comunità musulmana.
Domanda: come si spiega Vescovi, tutto questo ritardo? “Nessuna forza politica – risponde il consigliere comunale del Partito Democratico – si è mai opposta al progetto. Ma l’iter tortuoso che si è seguitodimostra che questo cimitero non era una priorità”. E non era una priorità, secondo Vescovi, “perché un cimitero islamico non è certo un’opera di cui una amministrazione si vanta in campagna elettorale”, anche perché “c’è una difficoltà di clima; c’è un clima di scontro di civiltà in atto, sotterraneo, ma c’è”.
Insomma: secondo Vescovi, la politica teme che gli elettori italiani – vista anche la situazione in Medio Oriente e gli attentati di matrice islamica – possano non apprezzare. Anche se i musulmani di Parma non hanno nulla da rimproverarsi a riguardo. Ma questo progetto del cimitero, dice ancora Vescovi, è davvero meritorio: “Si tratta di riconoscere quelli che sono diritti fondamentali delle persone. E poi pensi: nell’area dove sorgerà questo pezzo di cimitero ora c’è una discarica”. Una discarica? Sul serio? “Sì, una piccola discarica abusiva. Quindi andremo anche a riqualificare quell’area”, conclude Vescovi.
L’area della discarica/cimitero (da un comunicato stampa di Maurizio Vescovi)
Bergamo: il cimitero c’è, le autorizzazioni no
Ancora più intricata è la vicenda in landa bergamasca. Qui, solo a Bergamo città, secondo i dati dell’Ufficio migranti della Diocesi, vivono circa 10mila musulmani (su un totale di poco più di 100mila abitanti). E sempre qui il primo progetto di cimitero islamico risale al 1998.
Due lustri dopo, nel 2008, la giunta di centrosinistra guidata dall’allora sindaco di Bergamo, Roberto Bruni sigla una convenzione con la comunità musulmana. L’accordo prevede che il cimitero sorga su un’area di proprietà del Comune, a ridosso dell’autostrada; e che la costruzione sia interamente a carico di chi ne ha fatto richiesta, ovvero il centro islamico di Bergamo che spende quasi 370mila euro. Tutti di tasca propria.
Nel 2011, il cimitero è finito. Però rimane chiuso. Nel frattempo, infatti, è cambiata amministrazione. Il nuovo sindaco è Franco Tentorio che guida una coalizione formata da Forza Italia e Lega Nord. Insomma: adesso governa il centrodestra. Centrodestra che da sempre è contrario al progetto per motivi politici ed economici. I motivi politici: meglio sarebbe stato, per FI e Lega, concedere uno spazio per gli islamici all’interno di un cimitero comunale (proprio per far stare tutti assieme e “favorire l’integrazione” pur se post mortem). I motivi economici: i musulmani pagherebbero al Comune un canone troppo basso per il terreno su cui sorge il loro cimitero.
I cancelli del cimitero continuano così a rimanere chiusi fino al novembre del 2012, quando muore Giovanni Yassin. Giovanni, ha solo dieci anni e una rara sindrome genetica. I genitori – papà turco e mamma italiana – vogliono che sia seppellito in un cimitero musulmano e lo vogliono vicino a casa. Monta una polemica. E il sindaco Tentorio cede: concede una autorizzazione speciale per quella che lui stesso, sulla stampa, definisce “una questione di civiltà”.
Autorizzazione speciale, dunque, ma non unica. Di lì a poco, infatti, muore anche Dario Cortinovis, 77 anni, musulmano italiano, della Provincia di Bergamo. Anche lui chiede di essere sepolto vicino a casa. E anche lui viene accontentato. Insomma: deroga dopo deroga, anno dopo anno, ad oggi sono già state inumate una decina di persone.
Ma ancora adesso il cimitero manca dei permessi necessari per funzionare normalmente. A spiegarlo è il capogruppo della Lega Nord nel consiglio comunale di Bergamo, Alberto Ribolla: “Il consiglio comunale – precisa Ribolla – deve ancora approvare la convenzione tra Comune e comunità islamica. Anche perché i conti non tornano”. Secondo l’accordo stipulato nel 2008, infatti, i musulmani di Bergamo dovrebbero pagare 60mila euro per avere in concessione il terreno su cui sorge il loro cimitero. Troppo poco: “Questa cifra – precisa Ribolla – è molto più bassa rispetto a quella pattuita, ad esempio, con gli ebrei ortodossi per la loro parte di terreno nel cimitero monumentale”.
Ora c’è un’altra amministrazione (la terza) ad occuparsi del problema: una nuova giunta di centrosinistra, guidata dal sindaco Giorgio Gori. Ma la Lega minaccia, se non cambiano le cifre, di portare la questione davanti alla Corte dei Conti. E l’empasse continua.
Dal canto suo, il vicepresidente del Centro islamico di Bergamo, Mohamed Saleh, rimane ottimista ed evita polemiche: “Certo – dice – fin qui non è stata una cosa facile. Ma a lungo andare, un po’ dappertutto in Italia, finirà per prevalere il buon senso anche con i cimiteri islamici, come è successo con le moschee che, in pochi anni, si sono triplicate”.
UCOII: Serve una nuova legge sulla libertà religiosa
Certo: l’ottimismo aiuta. Ma i problemi ci sono e non scompaiono. Anche a Pordenone, ad esempio – dove governa una giunta di centrosinistra guidata dal sindaco Claudio Pedrotti – la comunità islamica chiede, da almeno 3 anni, di avere un proprio cimitero. Ma finora senza successo. Per cui, come spiega l’Imam Ahmed Erraji, anche lì, in Friuli, ci si arrangia rispedendo, quando possibile, le salme nei Paesi di origine. Ma, dice Errajii, “è davvero un problema, perché è una spesa non da poco, soprattutto in periodo di crisi”.
Il presidente dell’Unione delle Comunità Islamiche Italiane, Izzedin Elzir ci tiene, però, a sgombrare il campo dagli equivoci: il problema non è di Bergamo o Parma o Pordenone. “Abbiamo avuto difficoltà – dice Elzir – a Nord e a Sud; con il centrodestra o con il centrosinistra. Con tutti ci sono state delle difficoltà e con tutti abbiamo risolto dei problemi” e non solo per quello che riguarda i cimiteri. “Dipende molto dal sindaco – aggiunge il presidente dell’UCOII – che deve cercare di essere il sindaco di tutti. E non sempre c’è questa consapevolezza”.
Domanda: colpa di politiche nazionali che funzionano poco e che lasciano troppa discrezionalità agli enti locali? “No – risponde Elzir –, una vera e propria politica nazionale proprio non esiste”. Perciò occorre, secondo il presidente dell’UCOII, innanzitutto serve una “nuova legge sulla libertà religiosa” che superi quella “sui culti ammessi che risale al 1929, ovvero all’epoca fascista”. E una proposta in tal senso dell’Unione delle Comunità Islamiche Italiane potrebbe arrivare il prossimo anno a primavera.
Attenzione al malcontento
Non tutti sono diplomatici come il presidente della UCOII. Yassine Lafram, che è coordinatore della comunità islamica di Bologna e lavora come mediatore culturale, va giù molto più duro. E dice che, per i musulmani e i migranti in genere, tante sono le cose complicate in Italia. È complicato conquistare la cittadinanza. È complicato avere luoghi di culto riconosciuti dallo Stato e dignitosi: per aprire una nuova moschea in una città si incontrano spesso mille ostacoli (“parliamoci chiaro: doversi prostrare sulla ghiaia o pregare in uno scantinato come è capitato non è certo bello”, dice). Ed è appunto complicato farsi seppellire secondo il proprio credo.
Questo insieme di cose crea un disagio profondo: “Io qui mi sento a casa – dice Lafram, che è nato in Marocco, ha 29 anni ma vive in Italia da 10 – Ma, in certe situazioni, è lo Stato, che ti fa sentire diverso, che ti spinge all’emarginazione”. Perché l’integrazione si fa in due: i migranti devono imparare a conoscere e adattarsi al Paese dove si trasferiscono. Ma il Paese che ospita deve a sua volta darsi da fare per adattarsi alla presenza di persone che hanno altre culture; per punire chi si comporta male, ma anche per premiare con servizi e altro chi si comporta bene. Questo è il succo del ragionamento di Lafram.
E invece? E invece l’Italia non è che ha un modello di integrazione che non funziona, è che semplicemente “non ha un suo modello di integrazione. Punto”, lamenta Lafram. Che conclude con un monito: “Senza una politica seria, inclusiva, si rischia di assistere a quello che abbiamo visto nelle banlieux parigine”. Un rischio, dice ancora il coordinatore delle comunità islamiche di Bologna, che va scongiurato.
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