Legislazione
Morti sul lavoro: è necessario intervenire nella cultura aziendale
Domenica, 13 ottobre, Giornata Nazionale per le Vittime del Lavoro.
I morti sul lavoro continuano ad esserci sempre e dovremmo chiederci perché non diminuiscono, è una strage ogni giorno:
– in Italia il lavoro uccide una persona ogni otto ore, ne ferisce una ogni 50 secondi.
Ormai è certo che è inutile aumentare le pene, che peraltro si applicherebbero solo per il futuro. Basterebbe consentire l’applicazione delle normative in vigore da oltre 11 anni per prevenire prima che reprimere.
Sono diminuiti gli ispettori delle Asl, si attendono gli ispettori del lavoro, sono troppi gli organi di vigilanza che non riescono a coordinarsi, e ogni Regione ha una propria politica di prevenzione, con diverse sensibilità rispetto alle imprese.
Venti diverse politiche, oltre quella statale articolata a sua volta in diversi enti.
Dovrebbe esserci “coordinamento”, ma nessuno lo fa, e questo non evita disordine.
Basterebbe realizzare un’unica strategia preventiva invece di confinare la tutela della sicurezza all’ambito del sistema sanitario e concentrare le competenze in un organo di vigilanza, che con gli strumenti tecnologici, riuscirebbe a gestire le banche dati, in modo analogo a quello che è avvenuto in campo ambientale con Arpa e Sistema nazionale della prevenzione ambientale.
Di questa si avvantaggerebbero soprattutto le imprese sane, che altrimenti subiscono la concorrenza sleale di chi opera nell’illegalità del lavoro. Anche l’apparato giudiziario ha responsabilità: molti processi iniziano male e finiscono peggio, per l’errata identificazione dei soggetti realmente responsabili e per l’individuazione delle cause.
La disapplicazione del decreto 231 del 2001 sulla responsabilità delle imprese, che in caso di giudizio per un infortunio o una malattia professionale, aiuterebbe sia chi indaga ma anche l’indagato.
Qualora l’ente adotti il modello previsto dalla legge si potrà ragionevolmente invocare la clausola di esonero dalla responsabilità prevista dall’art. 6 sempre che siano rispettati i requisiti in esso indicati.
Una volta costruito il sistema di organizzazione e controllo la società dovrà provare, nell’ambito del procedimento instaurato di fronte al giudice penale, l’adeguatezza e l’idoneità del modello a prevenire il reato commesso dall’autore materiale del fatto illecito.
Con l’introduzione dell’art. 25-septies nel D.lgs. 231/01 ad opera della legge 3 agosto 2007 n. 123 (poi modificato dal D.lgs 9 aprile 2008 n. 81) sono stati inseriti nel novero dei reati presupposto previsti dal D.Lgs. 231/01 le fattispecie di cui agli articoli 589 (omicidio colposo) e 590 (lesioni personali colpose) del codice penale commesse in violazione della normativa a tutela dell’igiene e della sicurezza sul lavoro.
Tale modifica rappresenta un’effettiva rivoluzione sia sotto il profilo giuridico, in quanto per la prima volta fanno ingresso nel decreto 231 reati di natura colposa, sia sotto l’aspetto più operativo in quanto è evidente la necessità di coniugare il sistema di regole poste a fondamento della responsabilità amministrativa dell’ente con la complessa disciplina prevista nel settore antinfortunistico ed in materia di igiene e salute sul lavoro.
L’estensione alle ipotesi colpose suindicate ha posto un problema rilevante di adozione del modello organizzativo sostanzialmente in tutte le realtà aziendali ove si possa verificare un infortunio sul lavoro o una malattia professionale.
L’attenzione del legislatore nei confronti dei reati commessi con violazione della normativa antinfortunistica ha trovato conferma con la previsione, nell’ambito del testo unico sulla sicurezza, dell’art. 30 il quale ad oggi è un imprescindibile norma di riferimento per qualunque Società che intenda dotarsi di un modello organizzativo idoneo a proteggere la società in caso di infortunio.
Ma principalmente dovremmo chiederci non solo perché, ma anche chi muore di lavoro.
Il lavoro uccide e ferisce più uomini che donne, più al Sud che al Nord, più in agricoltura ed edilizia che in fabbrica; chi è addetto a macchine e impianti più che in uffici; colpisce i lavoratori in nero e quelli in grigio, fittiziamente regolari, chi ha un datore di lavoro attento più al profitto che alla persona, chi ha paura a rivendicare il proprio diritto alla salute, alla vita, alla dignità.
Quindi i più deboli.
Gli incidenti sul lavoro non sono il prezzo della crescita o il frutto della decrescita economica.
Ogni infortunio pesa sul Pil, grava sul sistema sanitario, previdenziale, assicurativo, amministrativo e giudiziario, ferisce l’economia sana, lo stato sociale, tutti noi. La legalità è il potere dei senza potere, la legalità del lavoro è l’unico potere dei più deboli.
Da gennaio ad agosto 2019 si sono registrati:
- 685 infortuni mortali (di cui 493 durante il lavoro e 192 in itinere
- tra le vittime di questi primi mesi del 2019, ci sono 58 donne e 627 uomini; 58 avevano fino a 34 anni, 443 dai 35 ai 59 anni, 119 dai 60 anni in su; 559 erano italiani e 126 stranieri
- 174 vittime erano del Nord-Ovest, 159 del Nord-Est, 141 del Centro, 151 del Sud e 60 delle Isole, mentre per settori di attività 73 appartenevano all’industria manifatturiera, 63 alle costruzioni, 56 ai trasporti, 29 al commercio, 20 ai servizi alle imprese.
Un calo nei primi otto mesi del 2019 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, non deve ingannare: fino a luglio il bilancio è peggiore per il 2019; già da settembre 2019 gli incidenti mortali sono tornati a crescere rispetto al 2018.
Per porre argine al problema, in Italia la diffusione della cultura della prevenzione, che passa per l’informazione e la formazione dei lavoratori e delle lavoratrici è l’elemento ormai fondamentale.
Tutti i lavoratori devono essere consapevoli delle condizioni del proprio ambiente di lavoro, dell’utilizzo dei dispositivi di sicurezza e hanno il diritto di partecipare alla valutazione dei rischi e alla prevenzione.
Queste attività di informazione e formazione sono spesso promosse dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e dall’Inail, con l’obiettivo di diffondere consapevolezza dei rischi che si incontrano sul luogo di lavoro e responsabilità nei comportamenti che si devono tenere negli ambienti di lavoro.
Vista la centralità della prevenzione e della sicurezza sul lavoro ricordiamo la figura professionale più importante del settore:
- il Responsabile del Servizio Prevenzione e Protezione (RSPP), l’esperto in materia di prevenzione e tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro.
In particolare, il Responsabile del Servizio Prevenzione e Protezione si occupa di:
- individuare i fattori di rischio presenti in azienda;
- collaborare nell’elaborazione del “piano di sicurezza” per la gestione dei rischi generali e specifici
- definire le azioni più opportune per eliminare i rischi emersi e rispettare le norme sulla salute e sulla sicurezza
- elaborare le misure adatte a prevenire i rischi per i lavoratori (soprattutto a prevenire: infortuni sul lavoro, malattie professionali)
- collaborare nella stesura del “Documento di Valutazione dei Rischi” – DVR – che contiene proprio l’indicazione dei rischi presenti in azienda e l’individuazione delle misure che l’impresa intende adottare per evitarli
- partecipare alle riunioni periodiche e alle consultazioni in materia di tutela della salute e sicurezza sul lavoro
- fornire ai lavoratori, in collaborazione con il datore di lavoro, le informazioni e la formazione sui rischi e sulle procedure previste a tutela della loro salute e sicurezza.
La gestione dei rischi d’impresa serve ad assicurare la sopravvivenza dell’impresa, è un’attività imprescindibile per proteggere, non solo il business, ma l’incolumità stessa dei lavoratori.
Formare il personale è importante tanto quanto mettere in sicurezza le strutture, se si pensa che il 94% delle aziende non è sottoposta a controlli preventivi. Eppure, i controlli per la sicurezza vengono vissuti da molte aziende come un fastidio e una mera interruzione dell’attività lavorativa.
Per lavoratori e datori di lavoro muoversi in questo delicato ambito in continua evoluzione risulta complesso: le tutele per la sicurezza e la salute del lavoratore si sono ampliate progressivamente negli anni, arrivando a coprire, non solo la tutela della salute fisica del lavoratore, ma anche molti aspetti inerenti la sfera psichica e i valori della persona.
La sicurezza nei luoghi di lavoro è la:- “condizione di far svolgere a tutti coloro che lavorano, la propria attività lavorativa in sicurezza, senza esporli a rischio di incidenti o malattie professionali”.
La prevenzione degli incidenti rientra a pieno titolo nella gestione dei rischi d’impresa. Per tutelare la continuità operativa e la sicurezza dei lavoratori, una buona gestione del rischio aziende.
Un primo aspetto fondamentale per evitare che l’attenzione alla sicurezza emerga solo quando è troppo tardi per salvare il business, è orientare politiche, scelte strategiche, modalità gestionali, piani d’emergenza di una organizzazione in un’ottica di prevenzione e sicurezza.
Bisogna assolutamente andare oltre gli adempimenti minimi previsti dalle norme di legge e regolamentari, favorendo un miglioramento continuo. Devono essere destinate alla sicurezza sul lavoro risorse economiche e umane sufficienti.
E’ fondamentale che un’adeguata consapevolezza dei pericoli esistenti entri a far parte della cultura aziendale, attraverso una buona comunicazione e formazione interne:
– tutta l’organizzazione deve essere cosciente dei pericoli presenti;
– occorre la consapevolezza che un lungo periodo senza eventi avversi debba considerarsi come un periodo di accresciuto rischio;
– il rafforzamento e la revisione continui dei propri sistemi di difesa;
– una soglia d’attenzione sempre alta.
Bisogna creare un sistema che preveda, oltre all’identificazione dei pericoli, la valutazione dei rischi e le conseguenti misure di prevenzione e protezione.
E tutto ciò si raggiunge con, una struttura organizzativa flessibile e adattiva, la raccolta, l’analisi, la diffusione e l’utilizzo di informazioni pertinenti, una comunicazione con contenuti adeguati,sistemi di difesa adeguati alle specificità dell’azienda, efficienti e ottimizzati, in modo da non presentare ridondanze.
In definitiva, è essenziale trattare la sicurezza come una necessità primaria e non come un processo di produzione negativo, che porta a limitare solamente la gravità degli incidenti.
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