Società

Morire Social

14 Agosto 2019

«In  questo libro vi spiego come sono riuscita a trasformare quello che tutti considerano una sfiga, il cancro, in un dono, un’occasione, un’opportunità […]  perché non ho mai sospeso la vita per la malattia, per il cancro e nessuno dovrebbe farlo».

Se oggi, a qualcuno, queste parole di Nadia Toffa parranno beffarde è perché quel qualcuno non conosce o non capisce il valore polisemico della malattia. Punizione che spegne il senso della vita o dono che ne illumina il significato, la questione riguarda pur sempre il vivere e non il morire. Risulta interessante, a questo proposito, il confronto con un coetaneo della Toffa, Paul Kalanithi, che raccontando due anni fa nello splendido libro Quando il respiro si fa aria i suoi ultimi ventidue mesi col cancro, scrive:

” Una malattia grave non altera una vita, la distrugge. Non sembrava tanto un’epifania–un’esplosione di luce accecante venuta a illuminare ciò che conta davvero–quanto piuttosto un attacco di bombe incendiarie che mi aveva sbarrato il cammino.”

Quello che per Nadia Toffa è un dono, per Paul Kalanithi costituisce un attacco, ma quel che conta è che per entrambi è qualcosa su cui lavorare.

Ribaltando un destino televisivo che l’avrebbe potuta confinare giusto a qualche agghiacciante ospitata pomeridiana, Nadia Toffa ha usato i social per caricare il suo personaggio del sostegno dei followers e accollandosi anche il rischio di fare della malattia uno spettacolo, ha ottenuto di lavorare fino alla fine.

Cucendosi addosso il personaggio della guerriera, quasi più per rassicurare un pubblico un po’ infantile che per affrontare una malattia terribilmente autonoma, la Toffa ha restituito attraverso i social una dimensione pubblica della vicenda della premorienza, dimostrando che la malattia non è soltanto un ascensore per l’inferno ma, anche, un’occasione per rinascere.

Poco importa se oggi certe roboanti manifestazioni d’affetto rasentano quella schadenfreude, il sollievo provocato dall’altrui sventura, che pare anche trapelare dalle gare di post tra morti di fama; quel che conta è che finalmente il mezzo per raccontarle assomiglia alla vita, poiché vi incide con la sua simultaneità.

 

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