Società

Montanelli imbrattato, un fortuito capolavoro postmoderno

15 Giugno 2020

La statua dedicata a Indro Montanelli, collocata nell’omonimo giardino, a Milano, è stata imbrattata con della sostanza colorante. Sull’opera, si fa per dire, sono stati versati, pare, quattro barattoli di vernice rossa, lasciati sul luogo come dichiarazione del materiale usato per la composizione della “nouvelle création”. Eh, sì, francamente, a me la statua tanto chiacchierata sarebbe piaciuta più così, con il rosso vermiglio a coprirne parzialmente l’indecenza artistica, aggiungendo finalmente un motivo interessante a ciò che in origine resta un blocco senz’anima, ancorato a un gusto estetico privo di qualsiasi slancio creativo.

Imbrattata, invece, la statua, che sarebbe stato meglio non erigere mai, tanto più che è priva di qualsiasi appeal, avrebbe avuto un suo perché e assunto finalmente un motivo artistico idoneo a giustificarne la presenza. La pigmentazione rossa avrebbe testimoniato idealmente, come solo l’arte sa fare, le responsabilità e le mancanze dell’uomo Montanelli, che non possono e non devono essere dissociate dalla sua attività giornalistica, poiché, in qualche modo, avranno certamente condizionato la sua maniera di scrivere e pensare. In quest’ottica, la statua rende perfettamente conto del personaggio celebrato dalla scultura: è brutta perché affine all’animo del soggetto, che reca in sé una macchia impossibile da lavare. Ed è, dunque, un bene, prima ancora che giusto e sacrosanto che la statua resti lì dov’è.

Certo, cosparsa di vernice rossa avrebbe di colpo presentato una lettura moderna, assunto una postura attuale, offerto la possibilità di essere percepita in una sfera concettualmente pertinente. Insomma, è stato involontariamente e inconsapevolmente molto più bravo l’autore che ha riversato a sfregio la vernice sulla statua che lo scultore che l’ha plasmata. Che peccato, bisognava lasciarla imbrattata. Ripulirla è stato un vero oltraggio all’arte! Quella vernice, così casualmente armonica e lineare nel suo percorso sullo scolpito, rappresentava uno straordinario linguaggio postmoderno, proiettato espressivamente a rendere visibile lo sconfinamento della finalità artistica, l’eclettismo che lo veicola, l’ironia del tutto accidentale emersa in superficie e finanche la compiutezza sintomatica e tutta intellettiva del collage storico. Sì, che vedendo la statua venissero in mente le parole di Montanelli: “Aveva 12 anni, ma non mi prendete per un bruto: a 12 anni quelle lì sono già donne. Avevo bisogno di una donna a quell’età. Me la comprò il mio sottufficiale insieme a un cavallo e un fucile, in tutto 500 lire. Lei era un animalino docile; ogni 15 giorni mi raggiungeva ovunque fossi insieme alle mogli degli altri”.

 

 

 

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