Costume
Metaforicamente parlando…
La canea forcaiola è singolarmente equanime.
Si leva da ogni parte e si diffonde in tutte le direzioni.
Non ha alcuna importanza che si reclami il linciaggio di un migrante, una zingara, un cascamorto o uno stupratore seriale.
Nel mercato delle notizie un soggetto vale l’altro perché l’unica cosa che conta è il valore di scambio.
Il valore d’uso, quando c’è, è intercambiabile.
Neppure l’identità del linciatore ha importanza: il mercato la trascende.
Sia l’accademico plurititolato ad esporre pacatamente le ragioni giuridiche e costituzionali che impongono il boia oppure l’energumeno, elmo vichingo e mazza chiodata, a difendere urlante la sua roba – femmina, porco o letamaio – non fa nessuna differenza.
Conta solo l’efficacia del piazzista, spesso innegabile e dovuta a lungo apprendistato, ma reperirvi un profilo intellettuale sarebbe fantasioso.
Quando, dopo uno stupro efferato, una portavoce della GRANDE BELLEZZA – s’immagini: siciliana, poetessa, di sinistra e per soprammercato donna…il che avrebbe dovuto, secondo diffuse aspettative, garantirci dalle trivialità da retrobottega – reclama la castrazione (neppure chimica) degli stupratori, senza chiedersi altro che: ci hanno il cazzo? E’ del tutto evidente che l’intelletto ha abdicato al suo compito e quel che ne resta è pura e semplice réclame.
Ciò che da tutto questo consegue è la riduzione della malattia sociale, e perfino dei suoi sintomi, a questione di polizia e ordine pubblico o, meglio ancora, di gogna e ferocia di piazza da esercitare istituzionalmente.
Nessun dubbio, nessuna domanda che non sia retorica e non preveda risposte preconfezionate quanto l’enfasi con cui la si pone e vendute in uno col prodotto.
Si sta smerciando uno stupro?
Il bugiardino parla chiaro: il cazzo, il patriarcato, la società maschilista e, tra le cause collaterali, la “assenza di una educazione sentimentale”; nonché l’avvertenza – immancabile quanto l’intolleranza al glutine: “sui social si impara il linguaggio della violenza e della pornografia”.
Eppure quegli stupratori non sono mostri.
Tutt’altro.
Il monstrum è un prodigio. Ciò che va contro ogni convenzione e ogni aspettativa.
Ma loro?
Nessun passato che non sia quello che ci si può aspettare.
Nessun futuro che non sia ovvio.
Nessun presente che non risponda nel modo più banale alle richieste e alle attese del mercato.
Un mercato in grado di trasformare la società maschilista, il patriarcato, l’educazione sentimentale e tutti i cazzi del mondo in meravigliosi gadget ideologici pronti per essere esportati da hollywood a bollywood con il packaging del “me too”.
Un mercato che prima fa del monstrum la regola e poi rende altrettanto regolare la sua demonizzazione, perché l’una cosa e l’altra vendono e fanno profitto.
Un mercato che esalta e propone a modello, ormai indifferentemente per uomini e donne, ciò che li rende adeguati alla compravendita: ferocia, spietatezza, arrivismo, cinismo.
Un mercato che propone come soli valori reali il successo – ad ogni costo – e il profitto – comunque e a spese di chiunque.
Che le donne, in tutto questo, siano due volte vittime non comporta che i loro occasionali carnefici non lo siano almeno una volta. Né comporta che proprio tra loro non siano, ormai sempre più spesso, reclutate le aguzzine: nel nome e per conto della emancipazione femminile.
Ma è sempre confortevole rifugiarsi nella tana odorosa di piscio e di palle sudate del patriarcato e della fallocrazia. E, di tanto in tanto, “provocare” invocando pene esemplari per chi in fondo non fa altro che, quotidianamente, adeguarsi alle richieste di mercato.
Quel mercato che infine regala proprio ai “provocatori” i privilegi di cui godono e fornisce loro pulpito e megafono per proporre – metaforicamente s’intende… – di mettersi a tagliare cazzi come la vispa Teresa tagliava le margherite.
In nome di valori morali che ormai hanno corso solo nelle grandi bellezze della fantasmagoria mediatica. Ma per conto del mercato, per il quale tutto è grasso che cola.
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