Costume

La marcia di Esculapio

30 Marzo 2020

Qualcuno sostiene che il coronavirus possa divenire endemico: insediarsi nel nostro organismo, rimanere silente ma, quando se ne presenti l’occasione, rifarsi prepotentemente vivo. Non sono un esperto ma sovrapponendo questo comportamento a quello che tiene il virus del fascismo in Italia l’ipotesi mi sembra sensata. Ho sperimentato personalmente, in questi giorni, in che misura forme di autoritarismo che qualche ottimista immaginava debellate siano invece vitali e in grado di propagarsi a velocità epidemica, manifestandosi in soggetti che ne apparivano indenni, portatori sani. Avanzare un dubbio, una critica, un commento ironico, nei confronti degli EROI di turno (medici, infermieri, poliziotti, soldati, forse perfino pompieri) viene immediatamente giudicato DISFATTISTA e meritevole di essere messo a tacere. All’olio di ricino si è, in linea coi tempi, sostituito l’insulto, il discredito e la gogna mediatica ma il risultato è lo stesso: il silenziamento di qualsiasi atteggiamento critico. La metafora della guerra diventa pervasiva, si ipostatizza e reclama lo stato di eccezione. I soldati che andavano a morire in Russia nel corso della seconda guerra mondiale erano stati mandati cinicamente allo sbaraglio proprio dai fascisti, ovvero dalle stesse persone che, a chi osava avanzare un critica su quella campagna, rispondevano con il manganello, la tortura e la galera. Che in “PRIMA LINEA”, in questo caso, non ci sia ancora un esercito in armi non è decisivo. Sollevare un dubbio qualsiasi sul comportamento di un ANGELO, in camice o in divisa, è comunque un atto di alto tradimento. Non si può e non si deve fare. Per adesso siamo nei limiti della sanzione verbale: ti si insulta, ti si banna, ti si qualifica cacadubbi e disfattista, ti si addita come untore. Già però si battono i pugni sul tavolo: “Cazzo! Devi stare a casa!” “Te ne stai col culo al caldo, RISPETTA chi sta in prima linea o vacci tu, stronzo!”: si tratta, insomma, del repertorio classico riveduto in relazione ai tempi. Accanto alla posa militaresca emerge però anche una prosopopea fatta di sentimentalismo, buon senso, accortezza nei comportamenti, autocensura – o vera e propria censura, attuata con i mezzi più ipocriti e meschini- e di luoghi comuni spacciati per saggezza eterna.

Ieri sera per esempio, in una delle innumerevoli interviste quotidiane a medici e operatori sanitari che i mass media diffondono con la solerzia con cui l’ E.I.A.R. diffondeva i bollettini di guerra, un medico ci ha donato questa perla di saggezza: “Ce la faremo se saremo fortunati. Il mio vecchio primario ripeteva sempre: è meglio essere fortunati che ricchi!”. Ecco. Questo è un pensiero che, nell’immediato futuro, dovremo abituarci a metabolizzare. Saranno proprio i ricchi a imbandircelo come un manicaretto. Noi, se andrà bene, saremo stati fortunati. Loro si accolleranno il crudele destino di continuare ad essere ricchi.

In compenso, vedrete, i monumenti agli eroi, agli “Angeli in prima linea”, fioriranno come quelli a Garibaldi e al milite ignoto.

 

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