Partiti e politici
Ma la generazione degli anni di piombo ha fatto anche cose buone
“Caro professor Cherubini, su Repubblica di ieri scrivi che nel ‘ 77 i ragazzi della Fgci avevano poltrone e se ne stavano chiusi nelle sezioni. In quegli anni però i cortei spesso non venivano autorizzati (dalle questure, non dalla Fgci) perché qualche allegro buontempone ci andava con la pistola e talvolta la usava, col consenso malcelato dei più.” Questo “ieri” era circa dieci anni fa e chi mi scriveva era un esponente del PD, ala sinistra, oggi in parlamento.
Il nome non è importante, perché la questione non è personale, e soprattutto perché l’associazione tra movimento del 77 e “buontemponi con la pistola” appare ancora come un’opinione comune, soprattutto nel personale politico della sinistra: quegli eredi dei “rivoluzionari di professione” trasformati in poltronari di professione. Oggi siedono insieme a quello che allora faceva il portavoce di Cossiga, e tutti insieme gioiscono senza eccezione perché gli ultimi “buontemponi” stanno per tornare nelle patrie galere. Gioiscano, ma non si permettano di archiviare quella stagione e quella generazione come anni di piombo, perché quelli che oggi riportano in Italia hanno salvato le loro poltrone di allora e di oggi da noi.
E’ il momento di chiarire cos’è stata la generazione degli anni di piombo e chi è stato per anni il piombo delle generazioni di questo paese. Innanzitutto, in questa celebrazione collettiva si sono mischiate due generazioni diverse. Pietrostefani ha vent’anni più di me. Non fa parte della generazione degli anni di piombo, e non ha niente a che fare con il terrorismo. Ha ricordato Sofri in un articolo di qualche giorno fa sul Foglio che: “i titoli ne sono così inebriati da dimenticare ancora una volta che i giudici nel nostro processo, pur temerari, rinunciarono a invocare nei nostri confronti l’aggravante del terrorismo”.
Sono due generazioni diverse: il 68 è la ribellione di una scuola di classe, mentre il 77 è stata la ribellione di una scuola di massa. Noi siamo meno raffinati e meno colti dei nostri predecessori, e non mi vergogno a dire che a me è servito il vocabolario per capire la battuta “ergastolo ottativo” al centro dell’articolo di Sofri. Siamo riconoscenti ai nostri predecessori di aver combattuto la scuola di classe, ma siamo diversi. Comunque, siamo stati bambini alla fine degli anni 60, ricordiamo com’era la società italiana di quegli anni, e ognuno di noi la sa descrivere e sa identificare da quando e da cosa provenne la sua rabbia.
Cominciamo dalla musica. Noi non ci potevamo permettere di comprare un disco. Noi, non solo io. La miseria era tale che c’erano due categorie di dischi. Quando c’era Sanremo, i nostri compravano il disco del momento cantato da un cantante sconosciuto, perché costava la metà di quello del cantante vero e non potevano permetterselo. Quel mercato parallelo, completamente legale (i dischi “tarocchi” erano venduti nei negozi di dischi insieme a quelli originali) mi viene sempre in mente come la prova principe del fatto che la miseria non era solo in casa mia, ma era così vasta da discriminare il mercato. A noi Sanremo non interessava, ma gli LP costavano ancora più cari, li sentivamo da amici dell’altra parte della società, che avevamo grazie alla scuola, e stavamo attaccati a mezz’ora di programma alla radio, “Per voi giovani”, di Massarini e Cascone. Per il resto: una cappa di musica di regime che ti entrava nelle orecchie dalla mattina alla sera, e che vi potrei ricantare a memoria ancora oggi, e un odio viscerale, che non potrà mai finire, per Sanremo (anche se oggi risento e apprezzo Modugno come prima o poi rileggerò Manzoni).
Anche la malattia e la morte non erano uguali per tutti alla fine degli anni 60. Non parliamo di morti pubbliche che non sono trattate alla pari, come Pinelli e Calabresi, che per me non possono essere citati separatamente. Un ferroviere e un commissario sono entrambi servitori dello stato. Parlo di un morto del 69 come Pinelli, ma sconosciuto. Io non posso dimenticare che mio padre venne licenziato, a malincuore, perché malato, e a Firenze non c’era posto per lui nella dialisi, e doveva fare due viaggi la settimana a Lucca. E la storia era che a Firenze non ci poteva essere posto per lui, un po’ come nella piscina in centro non ci poteva essere posto per me. Questione di classe e questione di soldi. E allora quando mio padre è morto tre giorni dopo quando l’uomo è andato sulla luna io ho smesso il mio abito da chierichetto, ho dimenticato come si porge l’ampolla, e ho smesso di farmi il segno della croce. Poi crescendo ho sentito crescere la rabbia, che è diventata scientifica, educata sui testi del marxismo. Materialismo dialettico e musica libera per tutti.
Volevo il paradiso in terra, e volevo anche il giorno del giudizio qui in terra. E’ vero che in questo ero simile ai brigatisti che si fanno il segno della croce nel film di Marco Bellocchio su Aldo Moro. Ma il loro era terrorismo, non rivoluzione. Per noi la rivoluzione era un fiume di popolo, uno sbocco necessario di una catena di contraddizioni e di scontri all’interno del sistema. I terroristi erano settari, e sono stati la gramigna che ha avvelenato il movimento. Lo ha annientato a tal punto che ci ha cancellati anche dalla storia. Da un lato noi siamo la generazione degli anni di piombo. Dall’altro, a mano a mano che la storia si dipana vengono fuori gladiatori, piduisti, mandanti e esecutori della strategia della tensione senza che l’immagine di nessuno di quelli che era al potere allora ne esca scalfita. E i loro assistenti sono ancora oggi in parlamento.
C’è una spiegazione semplice di questa damnatio memoriae asimmetrica che per il movimento del 77 riguarda noi, mentre per gli statisti del 77 riguarda i gladiatori. Noi non abbiamo voce oggi come non l’avevamo allora, e oggi non ci interessa averla. Oggi noi siamo lavoratori, commercianti, imprenditori, professionisti, professori, ricercatori. Noi facciamo, e la nostra esistenza e il nostro futuro dipende da quello che facciamo e non da chi ci mette in lista per una poltrona. E oggi ho la conferma di quello che scrivevo 10 anni fa per ricevere la risposta riportata sopra. Il 77 ha segnato la separazione della sinistra nella società civile da quella delle sezioni dei partiti. Se il livello dello scontro non fosse stato alzato dai terroristi e la nostra onda fosse cresciuta, ci sarebbe stat un ricambio di classe politica nella sinistra. E oggi saremmo sinistra civile e politica. E noi davvero avremmo avuto la qualità invocata da Letta quando si è insediato: saremmo stati quelli sempre pronti a lasciare la politica, perché avremmo avuto un posto nella società civile a cui tornare.
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