Innovazione
L’ultimo miglio della trasformazione digitale
Ha un titolo che evoca una sconfinata e acritica fiducia nelle meraviglie della trasformazione digitale, «100 Cose in cui il digitale ci ha migliorato la vita», ma è solo un’impressione di facciata.
Il suo sottotitolo potrebbe essere «perché all’Italia serve una mobilitazione di massa per coprire l’ultimo miglio della trasformazione digitale» e al suo interno ci sono quattro sezioni (la vita personale e familiare, il lavoro e le esperienze professionali, le relazioni sociali, il rapporto con la Pubblica Amministrazione) ciascuna con 25 Cose.
È stato presentato alla conferenza stampa di lancio del DIGITALmeet 2019 in Sala Caduti Nassirya del Senato a Palazzo Madama.
Nella scelta delle 100 Cose, la fatica maggiore è stata trovare quelle che coinvolgono (già adesso o nel prossimo futuro) gran parte della popolazione e rispetto alle quali poche persone potessero dire «non mi riguarda» (o «non mi riguarderà»).
Insomma, è un pamphlet nazional-popolare.
C’è una intima e (non per tutti) cordiale confidenza con la digitalizzazione che ci chiede di fare in modo diverso un numero crescente di attività quotidiane.
Ed è proprio questo il punto: questo cambiamento e alla portata di tutte le persone?
Per molto tempo, la trasformazione digitale è stata vista come una Questione Economica centrata:
- sulle reti infrastrutturali di cui è necessario disporre;
- sulle politiche fiscali per incentivare gli investimenti privati in tecnologie e impianti; e
- sull’impatto che tutto ciò può avere sull’aumento della competitività di territori e delle imprese.
In altri termini, per un certo periodo la domanda a cui rispondere è stata: «La digitalizzazione aumenta il PIL?».
Più di recente, l’accento si è spostato sulla Questione Sociale.
La ragione è presto detta. La trasformazione digitale, ci piaccia o no:
- è democratica: coinvolge tutti i ceti sociali senza alcuna distinzione per genere, etnia, età, titolo di studio;
- è pervasiva: entra in tutti gli ambiti della vita, da quella familiare, alla sociale, alla lavorativa, alla politica e nessun aspetto della vita può dirsi al riparo dagli effetti della trasformazione digitale;
- è impaziente e sbrigativa: ha tempi veloci e compressi, che spesso mettono in difficoltà chi deve cambiare rapidamente i suoi comportamenti e le modalità di fare le cose;
- è abilitante: include chi la conosce e la sa usare, dando a queste persone un vantaggio rispetto alle altre;
- è tranchant: esclude chi non la conosce o non riesce ad utilizzarla, spingendo queste persone ai margini della società.
In altri termini, la nuova domanda a cui rispondere è: «La digitalizzazione aumenta il benessere sociale e promuove processi di inclusione?».
Per (sperare di) rispondere positivamente a questa domanda bisogna portare l’attenzione sull’ultimo miglio della trasformazione digitale, permettendo a tutte le persone di accedere per davvero ai vantaggi di questa trasformazione.
Per riuscirci, accanto all’introduzione dell’«alfabetizzazione digitale a scuola come materia scolastica» proposta dal senatore Antonio De Poli e da Gianni Potti (fouder DIGITALmeet), si deve fare un passo ulteriore: elevare la formazione digitale di base di ogni persona a livello di diritto di cittadinanza, per scongiurare il rischio di polarizzazione e la conseguente balcanizzazione della società.
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