Religione
L’ossessione del pericolo protestante e l’incerta libertà religiosa in Italia
“Ora, diletti Parroci, Noi domandiamo alle vostre coscienze di pastori, designati ad essere, sotto l’autorità dei vostri Superiori, tutela, guida, sostegno dei romani, di considerare se non faccia parte del vostro ufficio il dovere d’invigilare sul buon nome di Roma, e d’impedire, per quanto è da voi, che un’esigua porzione di denigratori prosegua impunemente nella sua opera di devastazione, con la speranza di tramutare il sacro volto dell’Urbe in un aspetto, com’essi dicono, « laico » e quasi pagano, sforzandosi di cancellare dai sentimenti e dai costumi del popolo le gloriose tradizioni religiose dei padri?
Ecco, dunque, il campo del nostro ordinario ministero e della imminente straordinaria Missione: Roma, coi circa due milioni di anime, alle quali si deve assicurare un più saldo ed operante possesso di Dio, mediante la professione della fede cattolica liberamente, ma senza compromessi, accettata; Roma, il cui provvidenziale destino, fondamento della sua presente e futura grandezza, può essere garantito soltanto dalla condotta di vita apertamente cristiana dei suoi cittadini”.
È l’attacco del discorso che Pio XII tiene il 18 febbraio 1958 alla vigilia della Quaresima, quando, parlando ai parroci di Roma alla vigilia della Quaresima, li esorta all’azione. Roma come terra di Missione – una città e per esteso una nazione – che fino tempi molto ravvicinati si era pensato di ricattolicizzare integralmente, si presenta nelle parole del vecchio pontefice come “terra di Missione” come luogo, una volta amico, e ora divenuto straniero.
Quella visione pessimistica ha un’origine. È l’Italia degli anni ’50.un paese che affrontata lo scontro sulla legge maggioritaria nel 1953 e uscita sconfitta quell’ipotesi, più che gioire dell’dea di non avere il maggioritario è concentrata sull’improvvisa remissione di un paese fortemente controllato dalla cattolicità. E che ora in una nuova stagione ha la laicità, ora contrassegnata anche dall’avvio di esperienze politiche, anche d’avanguardia, che proprio sulla laicità insistono (è di quegli anni l’avvio del Partito radicale, e, soprattutto, sono quelli gli anni fondamentali che segnano per un’egemonia culturale nei temi neanche negli intellettuali pubblici del circo largo de “il Mondo” di Mario Pannunzio).
Ma quella stagione non è solo la sconfitta dell’ipotesi centrista e tecnicamente la sconfitta del maggioritario. Gli effetti di quella sconfitta, prima ancora che sul piano politico, sono soprattutto su quello culturale. In questo la vicenda della lenta crisi dell’anti protestantesimo che Paolo Zanini (Il «pericolo protestante». Chiesa e cattolici italiani di fronte alla questione della libertà religiosa (1922-1955), Le Monnier) ricostruisce dettagliatamente consente anche di mettere la lente di ingrandimento su un fenomeno spesso taciuto e tuttavia essenziale, del processo di modernizzazione italiana nel secondo dopoguerra.
L’esito mediato di quel voto (7 giugno 1953) significa abolizione della circolare Buffarini Guidi la circolare con cui il sottosegretario agli interni, Il 9 aprile 1935, vietava il culto pentecostale in tutto il Regno d’Italia in quanto “esso si estrinseca e concreta in pratiche religiose contrarie all’ordine sociale e nocive all’integrità fisica e psichica della razza”. Disposizione che si mantiene anche oltre il 25 aprile 1945 (una delle tante verifiche della “continuità dello Stato” tra fascismo e Italia repubblicana)
Ma disposizione e circolare che non solo uno dei segni del totalitarismo all’italiana segnato dall’esperienza storica del fascismo in Italia, ma anche delle cointeressanze che la Chiesa italiana ha avuto nella storia italiana nel periodo spesso inquieto dell’Unità in poi, ovvero dalla fine del potere temporale in avanti.
Tre sono i temi che affronta Zanini. Rispettivamente:
1. la presenza delle Chiese evangeliche in Italia, per come si consolidò durante il primo Novecento;
2. la reazione cattolica contro la diffusione e il proselitismo delle confessioni protestanti;
3. il comportamento, dello Stato italiano, alla luce dei cambiamenti legislativi e delle politiche concretamente messe in atto nei confronti delle comunità ‘acattoliche’, come si era allora soliti definire le confessioni evangeliche da parte cattolica e nel linguaggio della burocrazia italiana.
Come ricostruisce Paolo Zanini quel processo di “cittadini inquieti” comunque di cui diffidare e dunque da tenere “sotto stretta sorveglianza”, non è il prodotto della dittatura, è uno dei tanti provvedimenti con cui la dittatura fascista acquisisce il consenso nei confronti anche di una Chiesa romana che percepisce la presenza dei protestanti come un vulnus alla cristianità italiana, ma anche del timore della perdita dell’egemonia culturale in Italia, Una egemonia in fibrillazione con l’esito del processo di unità, quando il giudizio sul processo di unità realizzato è intravisto come la vittoria della massoneria, o dei laici anticristiani (il giudizio su Cavour è emblematico) e dunque dell’antiitalianità e poi rafforzata dalla visione della Prima guerra mondiale come fine dell’egemonia dell’Europa cristiana nel momento in cui l’America arriva per la prima volta in Italia.
In quello scorcio di tempo ancora non è l’impatto che sulla vita quotidiana e nell’immaginari collettiva quale si avrà a partire dal 1943 (quello scenario a cui Malaparte darà immagine con La pelle) ma alcuni segnali sono avvertiti come un serio campanello d’allarme, per esempio l’arrivo in Italia di una struttura come l’YMCA (un dato su cui richiama l’attenzione con molta preoccupazione “Civiltà cattolica” tra 1919 e 1920) percepita come un avversario e un concorrente sia nelle politiche di sussistenza che in quella di sussidiarietà e di aiuto alla formazione.
Quell’aspetto sarà quello che frutterà un concorso di intenti tra fascismo e Chiesa. Il punto è la costruzione del protestante come il simbolo del nemico che consente di costruire l’unità sociale e allo stesso tempo rafforzare l’identità collettiva.
Il protestante diventa così l’estraneo e il nemico. Un processo che ha il fine di rafforzare l’identità nazionale e l’italianità.
Il protestante è assimilato alla figura di quello che poi sarà il comunista nell’Italia degli anni della ricostruzione. Se quel processo tra la fine degli anni ’20 e gli anni ’30 fonda una legislazione punitiva e inquisitoriale che legittima appunto la circolare Buffarini Guidi a metà degli anni ’30, quello stesso processo, proprio perché la costruzione non è fondata su un dato teologico, ma politico, è destinato a mantenersi nell’Italia dell’immediato dopoguerra e andare in crisi nel momento in cui, appunto entra in crisi il paradigma culturale dell’Italia dei comitati civici o dell’immagine della “chiesa del riscatto”, propria dell’impegno pubblico della Chiesa nel tempo duro della “Guerra fredda”.
Una crisi che inizia a decomporsi appunto con l’esito delle elezioni che bloccano il percorso del maggioritario nel 1953 e contemporaneamente apre quel processo di ridiscussione sulle confessioni ammesse (con le leggi del 1930) che implica, che l’interlocuzione delle realtà religiose non cattoliche presenti in Italia con lo Stato non siano più percepite come un problema di ordine, o di controllo di polizia, (appunto alla stregua dei sorvegliati speciali nel tempo del regime),ma che si inizi a percepirli come attori culturali con cui confrontarsi.
E tuttavia, osserva Zanini, non senza punti oscuri, anche in quel passaggio apparentemente verso una “società (finalmente) aperta” e dunque in teoria disponibile al dialogo e al confronto. Infatti, osserva Zanini come “nel caso italiano, il passaggio dalle campagne anti-protestanti alle iniziative ecumeniche fu particolarmente rapido, senza una reale soluzione di continuità, e vide talvolta coinvolti gli stessi protagonisti”.
Un’anomalia che segnala l’ambiguità di un problema, quale quello della libertà religiosa, che anziché essere risolto definitivamente in un’Italia che si accredita come laica, appare ancora molto vischioso e innervato di forti le nostalgie per una società religiosamente omogenea.
Insomma, al di là delle parole ci sono ancora molte resistenze presenti in settori non marginali della società italiana ad accettare pienamente il pluralismo religioso.
Un altro aspetto che i flussi migratori degli ultimi anni non hanno mancato da far emergere in tutta la sua problematicità e, talvolta, anche nella sua drammaticità.
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