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L’irrinunciabile cretineria da Talk
“Detto questo …”, “Tanto per essere chiari …”, “Ma di che stiamo parlando?” Sono solo alcune delle gemme lessicali di un omologato frasario da talk, che sempre più va contagiando il linguaggio popolare. Lo “stupidario” politico della televisione, difatti, nel suo variegato campionario, offre agli italiani la possibilità di attingere a piene mani. Non c’è argomento di sorta che la moltitudine nazionale non affronti emulando i miserabili interlocutori di questa o quella melassa televisiva. E non c’è problema sociale che attiri considerazioni diverse da quelle “ufficiali” dei palinsesti, elargite con tanta abominevole cura dai fini pensatori dei salottini televisivi. Sicché, si (s)ragiona su tutto adoperando la prosopopea e finanche il piglio, solitamente aggressivo, di chi per convenienza evidentissima e pura balordaggine si adagia su posizioni accomodanti e blande, in difesa dello stato (in)naturale delle cose.
La politica come spettacolo di intrattenimento, e non come campo di confronto intellettuale, imperversa ovunque, provocando il dilatarsi di una tangibile alterazione generale, che, in via del tutto spasmodica trova sfogo principalmente sui social. Fatta eccezione per qualche versione, non vi è un talk che abbia in sé forza di attrazione, educata capacità di analisi e attinenza ai bisogni di un pubblico esigente: ognuno è la brutta copia dell’altro, e tutti sono orientati terribilmente verso il basso, privi di qualsiasi aspetto gradevole, ostili a ogni gentile forma di estetica, pregni di conversazioni fintamente pertinenti. Format del genere restano buoni solo per dare piena testimonianza della decadenza del paese, dove il contrasto tra la meraviglia del luogo e il vuoto interiore delle classi dominanti che vi operano diventa l’unica chiave di volta per interpretare l’involuzione di una nazione come la nostra.
Abbiamo un problema di frammentazione delle notizie e del racconto della realtà di una indecenza spettacolare. Problemi complessi che richiederebbero puntate monotematiche vengono affrontati in rapida successione. Veloci e chiassose discussioni, fatte di un fuoco incrociato di invettive ed esternazioni concitate, costituiscono i punti cardini di un ragionamento che non analizza alcunché, privo com’è di qualsiasi riflessione logica. E tutto risulta essere tanto più orribile in quanto si divulga in una ripetitività rituale, all’interno di una celebrazione della minchioneria sempre uguale a se stessa. Si arriva, così all’assurdo: i talk non vengono fatti per raccontare gli eventi, ma per andare contro la narrazione degli eventi.
Con una parte importante della comunicazione e dell’informazione, congegnata in questa maniera, rischiamo, così, di non essere idealmente uno Stato e men che meno un popolo. Non ci resta che osservare correttamente il congiuntivo come segno di appartenenza a una lingua.
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