Partiti e politici

L’illusione che il paternalismo abbia colore politico e i casi Romano e Botteri

13 Maggio 2020

Silvia Aisha Romano è musulmana. Lo ha affermato lei stessa al suo rientro in Italia. Le circostanze nelle quali la conversione è avvenuta costituiscono una notizia, dunque è giusto discuterne. La differenza la fanno i toni e gli argomenti che si scelgono, soprattutto quando a parlare sono politica e informazione. Mai come in questo caso sarebbe stato meglio attendere almeno un po’ prima di giungere a conclusioni basate su un’improbabile analisi psicologica sviluppata in assenza dell’analizzato. E invece non ci si è dati neppure il tempo di un pensiero. A volte si è fatto anche ricorso a insulti e volgarità. Ecco allora che Silvia Romano non sa quello che dice, Silvia Romano va difesa da Aisha, Silvia Romano va difesa perfino da se stessa.

In realtà, a emergere chiaramente – e sarebbe stato interessante ascoltare un dibattito soprattutto su questo – è stato lo shock provato da una parte del paese nel ritrovare Aisha invece di Silvia Romano. È accaduto in modo trasversale, forse con una prevalenza di toni insinuanti a destra e di condiscendenza a sinistra. In ogni caso, spogliato ogni ragionamento da quei toni, è emerso ovunque un fondo di paternalismo che appare piuttosto radicato nella cultura che esprime questa società.

Ce lo conferma anche un’altra circostanza recente: la polemica per un servizio di Striscia la notizia sull’aspetto della giornalista Giovanna Botteri. A molti è parso che gli argomenti utilizzati dalla trasmissione di Canale 5 fossero venati di maschilismo. C’è stata una forte reazione sui social network che ha costretto in difesa Striscia la notizia, tanto da farle chiedere ospitalità anche a Dagospia. Infine, è stata la stessa Giovanna Botteri a chiudere la questione intervenendo in trasmissione. Il paradosso è che molti tra coloro che sono intervenuti per sostenere la giornalista lo hanno fatto attingendo argomenti proprio da quella cultura che avrebbero voluto confutare.

È il caso, al di là degli insulti sessisti rivolti alla conduttrice Michelle Hunziker, di chi ha difeso Giovanna Botteri affermando il suo essere una brava giornalista. Eppure, dovrebbe essere evidente che la sua capacità professionale sia del tutto ininfluente rispetto al contenuto del servizio di Striscia la notizia. Se si ritiene che i toni di quel servizio siano offensivi, lo sono comunque, brava o meno che lei sia. Sentire il bisogno di discolparla per qualcosa che non ha fatto – «Comunque Botteri è brava» – tradisce la latente colpevolizzazione che colpisce sempre le donne, persino quando sono vittime di una ingiustizia. Si tratta, come nel caso di Silvia Romano, di un atteggiamento debitore di una cultura paternalista, a ulteriore conferma di quanto questa sia profondamente radicata nella società.

D’altra parte, è vero che è difficile riconoscere certi meccanismi mentre agiscono. È molto più facile prendersela con i titoli di certi giornali. Ma prendersela con Libero o il Giornale senza accorgersi che quella stessa cultura maschilista e paternalista che si intende contrastare agisce un po’ ovunque, seppure usando toni diversi, è decisamente velleitario. In un certo senso, è un po’ come quando si criticava Emilio Fede per il suo notiziario senza vedere che, in realtà, la propaganda berlusconiana era altrove – ad esempio, nella programmazione televisiva pomeridiana – che macinava consensi per la costruzione di un orizzonte culturale nuovo. E a quell’orizzonte persino gli avversari politici che si inalberavano contro Emilio Fede si adattarono in fretta, pagando dazio senza neppure rendersi conto.

Proprio all’inizio degli anni Novanta del Novecento, infatti, sulle macerie di partiti e divisioni che non esistevano più iniziò la costruzione di un bipolarismo politico rigido che presto si volle addirittura etico. Anche il linguaggio della politica dovette adeguarsi. Del resto, se mancano le idee e le identità politiche vengono modellate contro gli avversari, l’unico argomento che resta risiede nella differenza tra sé e l’avversario. Ecco allora che l’indignazione aprioristica per il comportamento altrui iniziò ad essere l’unica azione politica possibile. In un mondo sempre più affollato da fondamentalisti dell’inutile, si definì così una separazione tra buoni e cattivi che nella realtà non esiste. E questo iniziò a causare molti danni, impedendo infine ogni possibilità di un ragionamento laico.

Come è andata a finire ce lo racconta la cronaca di ogni giorno come, ad esempio, la recente polemica sulla richiesta di regolarizzare un certo numero di immigrati stranieri. Questi moderni braccianti sono entrati nel dibattito pubblico come un problema di ordine pubblico o come una mera utilità economica. L’unica voce che li ha considerati prima di tutto come persone è stata quella del papa. E non è un caso.

Per sopravvivere e mantenersi al potere, questo sistema politico radicalmente polarizzato non può fare a meno di un linguaggio rissoso e manicheo poiché è oramai soltanto nella contrapposizione che le forze politiche riescono a giustificare la necessità della propria stessa esistenza. Questo atteggiamento non considera le persone, come nell’esempio dei moderni braccianti, ma fa entrare nel discorso pubblico tutti gli stereotipi culturali che affermano e confermano i ruoli all’interno della società – a partire da quello subordinato delle donne – poiché sono anch’essi strumento del potere e servono a confermare una cultura che attraversa l’intera società. Avendo il potere ancora natura patriarcale, quella cultura non potrà che esprimersi in termini paternalistici, come si è visto nei casi di Silvia Romano e di Giovanna Botteri.

Quando si utilizzano questi strumenti, anche inconsapevolmente e con le migliori intenzioni, si dovrebbe allora riflettere sulle conseguenze poiché le parole non sono una scelta neutra e possono concorrere alla costruzione di una società ingiusta. Comunque sia, che si tratti di politica o di informazione, il modo nel quale si sceglie di definire il mondo finisce anche per raccontare se stessi.

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