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The crown diaries / 9

9 Maggio 2020

Era deciso, dunque: no a Mia, sì a Cora. Il labrador trovato in giardino, che Jonas aveva chiamato Mia in omaggio alla pandemia imperante di quei mesi, ma il cui nome originario era Cora, doveva tornare dal suo vero padrone, passato il giorno prima per reclamarlo. Non a lui, s’intende, nessuno sapeva che era ben custodito e accudito nella sua casa sul mare. Ma insomma, non poteva certo tenerla ora che la sua vita passata era riapparsa prepotente: io sono la mia storia, diceva Kamikaze a King of the road nel magnifico film Nel corso del tempo. Jonas lo ricordava fin troppo bene. La storia di Mia, pardon di Cora, non gli apparteneva e doveva riportarla dove c’era la sua vera esistenza.

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Sì, forse era una brutta storia, rinchiusa malvolentieri in casa tutto il giorno, ma io non sono il tuo Salvatore, non posso esserlo, non posso portarti in città così bellamente, togliendoti dalle tue radici, il tuo passato e il tuo presente, in nome di un futuro ancora incerto. Con il virus ancora in circolazione, poi, con una fase due che potrebbe recare nuove infelicità e nuove costrizioni, come potrei riuscire a gestire anche un animale, per quanto simpatico possa essere?

Era deciso, dunque. Giocò ancora per una mezzoretta con Mia, lanciandole per le ultime volte la palla per farsela riportare, il suo gioco preferito, come forse è per tutti i cani, in maniera inspiegabile, peraltro, quale divertimento potrebbe esserci nel correre infinite volte a raccattare una palla, riportandola velocemente a chi l’ha tirata? Lo stesso forse di quello di assistere ad una partita di calcio, guardare per delle ore ventidue persone che corrono anche loro dietro ad un pallone, entusiasmando un pubblico incattivito dalla rivalità con la squadra avversaria. Uomini e cani. Ma ora basta con questi pensieri. Ho un dovere da compiere.

Si avviò alla fine, malvolentieri, con Mia al suo fianco, verso la casa del vero padrone, dall’altro lato del paese. Triste lui e triste lei, che aveva intuito facilmente quale fosse la loro reale destinazione: back to jail! Jonas stava per suonare il campanello quando il Padrone lo scorse dal giardino, un giardino grande almeno il doppio del suo. Che spreco non lasciare che Mia, pardon Cora, potesse correre a perdifiato su quell’immenso prato verde, che ora scintillava sotto la luce accecante del sole ligure. L’ha trovata, dunque, quella maledetta girovaga. Ora saluta il signore che se ne va, e vai subito dentro nella tua cuccia, dove resterai in castigo per almeno un paio d’ore.

Jonas ritornò sui suoi passi, ancora perplesso e dubbioso sulla scelta che alla fine aveva fatto. Una scelta sbagliata, se ne rendeva conto ancor di più ora che aveva visto direttamente quale fosse il rapporto di Mia, pardon Cora, con quell’uomo. Camminò per qualche centinaio di metri, sul lungomare, togliendosi ora la mascherina di protezione per gustare l’odore dell’acqua marina. I giorni della sua fanciullezza.

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All’improvviso udì alle sue spalle un leggero borbottio, come di un cane. Si voltò lentamente. Mia era lì, scodinzolante. L’aveva seguito silenziosa per tutto il tempo. Che facciamo, ora? Dai, scappiamo!

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