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The crown diaries / 5
Non se n’era reso conto immediatamente, ma quel cane, quella femmina di labrador che Jonas aveva accidentalmente trovato nel suo giardino, sua prigione coronata da più di un mese, stava poco a poco cambiandogli la vita. Mia, il sarcastico diminutivo di “pandemia” con cui l’aveva chiamata, lungi dall’essere soltanto una semplice distrazione, contro l’immensa solitudine di quel periodo, era entrata con prepotenza nella sua esistenza: un punto di riferimento.
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Come Melampo per Marcello Mastroianni ne La cagna di Ferreri, Mia era divenuta una partner, per Jonas. Le solitarie serate dei giorni precedenti, l’attesa per il bollettino di guerra, qualche film visto e rivisto, qualche deludente serie Tv, qualche buon libro che riusciva a scovare nell’immensa libreria della sua casa al mare, qualche cenetta che riusciva a confezionarsi, un po’ di pianoforte. Tutto finito, tutto alle spalle.
Ora intavolava lunghe discussioni con Mia, che lo guardava rapita dalle sue sagge parole, o dalle sue noiose elucubrazioni sul senso della vita in quarantena, novello Monty Python. Lo invitava poi, quando era un po’ stufa di sentirlo parlare, a giocare in giardino, a fare passeggiate (non troppo distanti, eh!) intorno alla casa, a farsi lanciare i consueti legnetti che poi riportava intrisi di saliva, abbaiando per sollecitarlo a continuare quel gioco, quasi strizzandogli l’occhio. O così almeno Jonas si immaginava.
Una nuova esistenza, che si poteva (ora sì) protrarre per settimane e settimane. Sentiva meno, ora, la mancanza degli amici più cari rimasti in città a resistere, perfino della sua nuova fidanzata, della vita di un tempo che gli aveva dato tanto, ma tanti sogni gli aveva tolto, o negato. Non aveva più tempo per i suoi antichi dubbi, uptown o downtown? sposarsi o non sposarsi? cambiare lavoro oppure no? Non doveva più scegliere, non doveva più decidere. Bastava lasciarsi andare alle cose della vita, come su una barca a vela, senza motore, trasportato dal vento e dalle onde.
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Che fosse questa la felicità?
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