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The Crown diaries / 11
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La febbre c’era, e piuttosto alta. C’era pure la tosse, forte, che ricordava a Jonas le lunghe giornate di bronchite vissute quando aveva smesso di fumare. Dunque, due dei più rilevanti sintomi del Coronavirus erano presenti. Non c’era ovviamente la certezza, come per molti dei possibili contagiati, che fosse realmente così. Andare ad un presidio medico, in quelle condizioni così debilitate, era comunque un miraggio, oltre che forse dannoso per gli altri soggetti, che avrebbero potuto venir contaminati. Jonas non sapeva che fare: aspettare qualche giorno? chiamare una guardia medica? un medico di presidio? Tentò di farlo, ma le risposte che ottenne al telefono erano le solite, quelle che già aveva sentito parecchie volte da molti altri nella sua condizione: stia a casa, prenda della tachipirina, aspetti che le passi, e se proprio non passa, ritelefoni, qualcosa ci inventeremo, più avanti, quando l’emergenza sarà superata.
Da solo, ma con un cane. Mia, la femmina di labrador sfuggita al padrone e che ora se ne stava lì con lui, un po’ immusonita per non poter uscire a giocare, a correre per i prati, come era solita fare nel recente passato. Ma ora, con un nuovo padrone febbricitante, che faticava ad alzarsi dal letto, e con il rischio che il suo antico padrone, per cui lei era ancora la vecchia Cora, potesse passare dal giardino e, rivedendola, se la riprendesse, ora doveva starsene buona buona dentro casa, in attesa di tempi migliori. Jonas le piaceva, non c’era alcun dubbio, e il cambio era stato piuttosto gradito, ma che si poteva fare per migliorare la situazione? Quando un umano sta male, di solito si chiama un medico, le diceva l’istinto, e come aveva visto in passato quando nella sua precedente casa si ammalava qualcuno, si passava al pronto soccorso, un dottore veniva a visitare il malato e poi se ne andava. Dopo un po’ di tempo, il malato guariva, e la vita riprendeva il proprio corso.
Mia osservava Jonas, disteso sul divano-letto del salotto. Jonas guardava Mia, che gli abbaiava come per comunicargli qualcosa. Non posso farti uscire, lo sai, non sto bene, e se esci da sola in giardino c’è pericolo che passi il tuo vecchio padrone, che ti prenda e ti porti via. Se potessi, se riuscissi, se ti ricordassi la strada per arrivare al pronto soccorso, forse qualcuno verrebbe a visitarmi, per capire se sono contagiato, o se questa è solo una banale influenza. Ce la faresti, Mia? Dottore, mi ci vuole un dottore. Il cane lo guardava attentamente, cogliendo qualcosa, una parola che conosceva: dottore. Abbaiò ancora un paio di volte, in modo strano, come se avesse compreso. Un dottore, sapeva dov’era, conosceva la strada per arrivare da lui. Per portarlo lì. Forse poteva riuscirci.
Mia si scosse, guardò la porta che dava sul giardino, un po’ socchiusa. Sì, Mia, vai, porta qui il dottore. Sì, un dottore. Uscì infine al galoppo. Aveva una missione da compiere. Chissà se ce l’avrebbe fatta…
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