Lifestyle
L’insopportabile umanità di Emporio Armani
Arrivare alla stazione Termini è sempre faticoso, ma arrivarci in un giorno di sciopero dei mezzi pubblici è qualcosa di epico. Viene fuori il peggio e il meglio di ciascuno. Così, confusi, frastornati, incazzati, vibranti come supereroi ci precipitiamo, sgomitando e imprecando, verso il tabellone con gli orari, alziamo gli occhi e li vediamo.
Sono là, enormi, uno accanto all’altro: i cartelloni della nuova campagna pubblicitaria di Emporio Armani. Una umanità rarefatta, bellissima, elegante, emaciata. Di una tenerezza languida, tutti giusti, perfetti, giovani, perfettamente allineati nei loro mirabili sorrisi.
Una umanità insopportabile. Etnie diverse, come è giusto che sia, con colori diversi: ma tutti accomunati da un senso di benessere diffuso, di fragilità, di armonia incontenibile. Abbacinati da tanto candore, con un lieve giramento di testa prodotto dallo scarto tra quel mondo ideale e la realtà che ci circonda, leggiamo i claim, gli slogan inventati dai creativi dell’azienda. E là scatta inesorabile un giramento di balle che nemmeno quando sei in fila da equitalia.
Sono frasette di due righe, modello status di facebook, che affermano e negano, indicano e smentiscono, e soprattutto sono – penso che vorrebbero essere – un sottile gioco di provocazione. Seducono, ecco: vogliono sedurre, quei soggetti là, tutti un po’ “genderfluid” un po’ no.
Provo a scorrerle tutte, con gli occhi, ormai deciso a capire fino a dove vogliono arrivare. Cose tipo: “non le piace essere definita influencer/Le piace influenzare la gente”; “Ha lasciato il lavoro in banca per fare il panettiere/Non si è mai pentito” (con quella faccia lì?). Oppure “Non crede negli oroscopi/è un tipico sagittario”; “commercialista di giorno/ballerino di tango di notte”. O ancora “A volte lo scambiano per un attore/preferisce stare dietro le quinte”; “ama New York/ha nostalgia di casa”; “Si ripromette di andare a letto presto/Dall’anno prossimo”; “designer di interni a San Paolo/scala montagne a nord di Rio”. Fino all’apoteosi: “ha ereditato l’attività di suo padre/non il guardaroba”.
La domanda, come si dice, nasce spontanea: ma chi sono questi qua? Che mondo è? Dove vivono? Così garbati, puri, ariani anche quando non lo sono, così ben vestiti, così equilibrati, così “comunicativi”. Così teneri ma pronti a graffiare proprio come gattini. E soprattutto viene da chiedersi: ma a chi si rivolge questa pubblicità?
Questi codici di seduzione sono melliflui, sottilmente istiganti a una certa invidia. E in un paese che si muove principalmente sui binari dell’invidia sociale – il voto lo conferma – e sulla selezione su basi economiche e non di merito, proporre quei volti, quello “stile”, quelle frasi di disinvolta e superficiale “libertà”, di egocentrismo narcisista e capitalista, certo non migliora la situazione.
Così, specchiandomi mestamente in una vetrina, ho pensato a quale abissale distanza ci sia tra reale e immaginario, tra moda e (super)mercato, tra poveri e ricchi. Loro, là, giganti, guardano distanti e bellissimi, con un eterno sorriso di perdono alle nostre meschine vicende, ai nostri ritardi, ai treni che dobbiamo prendere…
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