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Il consumo voluttuario e la catena delle ingiustizie. “Il Mondano” di Voltaire
La catena delle ingiustizie è infinita, non sappiamo come uscirne se non con un arrendevole cinismo, una occlusione momentanea del nostro senso di equità, umanità, solidarietà. Ma c’è gradualità anche in questo cinismo. Al divo che viene colto con i sacchi della spesa la domenica si rimprovera l’adesione consapevole alla catena dello sfruttamento dei lavoratori del supermercato costretti a turni festivi massacranti, ma si sottace il fatto che in genere i suoi pari si avvalgono di stuoli di servi per queste incombenze. Est modus in rebus anche in questo.
In ogni caso vivere nel nostro mondo con agio, il che vuol dire consumando anche moderatamente da vigliacchi filistei, non ci mette al riparo dai sensi di colpa e da un doloroso e pervasivo senso di ingiustizia verso molti, non solo le cassiere dei supermercati. Solo alzare la tazzina di caffè ci dovrebbe mettere in condizioni permanenti di angoscia ove si pensi a quanti sfruttati nella filiera del caffè tra terzo e primo mondo sono stati messi in azione: da chi ha raccolto la preziosa bacca a chi ha trasportato il chicco, a chi lo ha tostato, a chi lo ha immagazzinato nel supermercato o al bar lo ha somministrato.
Perché tutto ciò finisca drasticamente, dall’oggi al domani, occorrerebbe che anche il più “equo e solidale” si dimettesse immediatamente da occidentale e desse tutto il suo patrimonio al mondo degli sfruttati, perché ogni suo gesto, ogni suo atto quotidiano, anche il più innocente, anche il più sorvegliato e sostenibile – dal guidare l’auto spegnendo il motore ai semafori se non si possiede una di quelle auto che lo fanno automaticamente, all’uso moderato della carta igienica – sarebbe sotto il segno della schiavitù inferta ad altri o un colpo durissimo dato all’ecosistema.
Una catena di azioni che storicamente ha portato un pezzo di aristocrazia francese sotto la lama della ghigliottina com’è noto. In attesa che essa si poggi anche sulla nostra nuca, qualche considerazione.
Il nostro livello di consumi, ampiamente desiderato da tutti gli abitanti del pianeta (per questa ragione tutti accorrono qui, non perché amano la povertà pasoliniana che noi amiamo in loro) è altrettanto ampiamente insostenibile. Quando tutti consumeranno come noi, il pianeta probabilmente sprofonderà sotto il peso dei rifiuti o sparirà per mancanza di risorse alimentari. Potremmo anche ridurre della metà i consumi, ma se le bocche nel frattempo raddoppiano non ce ne sarà per nessuno ugualmente. Proprio la crescita della popolazione segnerà la vittoria di Malthus su Marx: la natalità (“composizione demografica irrazionale” la chiamava Gramsci nella sua riflessione sulla questione meridionale), non la lotta di classe e la dittatura del proletariato, sarà a dare il colpo di grazia al capitalismo.
Il consumo voluttuario (Conspicuous consumption lo definiva Veblen nel suo celebre saggio “Teoria della classe agiata”) conobbe nella Francia dell’Ancien régime uno scontro tra intellettuali, anche illuministi, molto duro. Fu la disputa sul “lusso”. Non è questo il luogo per riassumerla, solo dire che ai due poli estremi si porranno, anche come stili di vita personale, Rousseau e Voltaire. Il primo viveva come un eremita, era parco nei consumi come Diogene il cinico che quando scorse un ragazzino bere con le mani buttò via da sé la ciotola ritenendola un bene superfluo, affermando così implicitamente che se applichi rigorosamente la ghigliottina alla catena dei bisogni necessari non resta che vivere come i cinici, ossia come i cani randagi, perché soddisfatta la semplice sopravvivenza tutto diventa superfluo. Rousseau amava vivere da eremita e con lo sguardo rivolto all’indietro, rimpiangendo uno stato di natura dove gli uomini, al grado zero dei rapporti societari, erano se stessi, non corrotti né dai consumi, né dai romanzi, né dalle arti, né dagli spettacoli, asserendo che il lusso « corrompe tutto, sia il ricco che ne gode, come il miserabile che lo brama ». Voltaire, al polo opposto, riteneva, proprio nel “Mondain”, «il lusso questa cosa così necessaria», ed era invece felicemente insediato in questo mondo (e il suo Mondain ne reca ampia testimonianza), giocava in borsa, amava il lusso come un sibarita, e rimproverava a Rousseau, in una lettera, di voler far vivere gli uomini ancora a quattro zampe.
Il poemetto di Voltaire “Le mondain”, che ho tradotto con “L’uomo di questo mondo”, è un documento di questa ideologia, un inno alle gioie del consumo nell’epoca delle prime globalizzazioni (che non sono certo iniziate oggi), un poema del tutto privo del “singhiozzo dell’uomo bianco”, come scriverà Pascal Bruckner in suo aspro volumetto. Tutt’altro. Certo a questo Mondain da lì a poco sarà tagliata la testa. Ma lui non lo sa, e forse anche sapendolo avrebbe deciso ugualmente di correre i suoi rischi.
La gioia del consumo è l’estasi del gentiluomo davanti ai beni che dal mondo intero affluiscono a Parigi, per lui, per il suo diletto, e che fa esclamare al Mondain infine: “Il paradiso è dove io sono”. Egli non ha rimpianti, come tanti poeti con il singhiozzo incorporato e con il collo volto all’indietro verso l’epoca dell’Età dell’oro, ritiene invece che questa Età del ferro in cui viviamo, le è superiore.
Come la penso io? Non sono d’accordo con questa ideologia “mondana”, la avverso per fatti concludenti nel mio piccolo, ma non so che risposta darle sotto il profilo intellettuale. Gli economisti, anche quelli del ‘700, avanzano l’obiezione, contro i criticoni come me, che il consumo voluttuario alimenta diverse catene di manifattura, dai menuisier (lavoratori del legno: dal consumo voluttuario dei nobili milanesi del ‘700 è nata l’industria dei mobilieri in Brianza), ai pasticcieri, ai valletti (“Ah no basta valletto!”, esclamò orgogliosamente Rousseau che lo era stato, rivolto a Madame de Vercelli nelle “Confessioni”), ossia detto volgarmente uno sciame infinito di mosche che campano delle deiezioni nobiliari. Vita e … posti di lavoro, direbbe qualcun altro. Tutta la catena del lusso di oggi, dalla moda ai profumi degli Armani & Versace (che personalmente mi sono estranei) ripropone negli stessi termini il dibattito del ‘700. Non sono un economista per dare risposte a problemi di tal sorta, e neanche mi azzardo, posso solo dire che da filisteo talora mi beo, da semplice lurker, di questo mondo della moda e del lusso. Lo contemplo senza parteciparvi attivamente, perché non posso, non voglio e forse non debbo vivere come un Mondain di oggi, e penso infine che i consumatori disposti a pagare una borsa anche ventimila euro sono degli spostati, ma non ho alcuna voglia, contro le loro follie, di far camminare la gente a quattro zampe. Vivo come Rousseau, ma la penso come Voltaire. A denti stretti anch’io dico in fondo con lui: “Le paradis terrestre est où je suis”.
LE MONDAIN (1736) – L’uomo di questo mondo
Rimpiangerà chi vuole il bel tempo andato
e l’Età dell’oro e il regno di Astrea,
e i bei giorni di Saturno e di Rea,
e il paradiso di Adamo e di Eva,
io ringrazio la saggia natura
che nascer benevolmente mi fece nell’evo
tanto denigrato dai mesti criticoni.
Questo tempo profano mi si addice,
adoro il lusso e anche la mollezza,
le arti d’ogni specie, ogni piacevolezza,
il decoro, il gusto, gli ornamenti:
il gentiluomo si nutre di tali sentimenti.
Dolce è pel mio cuore immondo
veder tutt’ intorno l’abbondanza
madre dell’Arti e dell’Opere benfatte,
arrecarci dalla sua doviziosa fonte
nuovi bisogni e nuovi piaceri.
L’oro della terra e i tesori dei mari,
gli esseri che abitano nel vento,
tutto serve al lusso, alla voluttà del mondo.
Ah quant’è felice quest’Età del ferro!
Il superfluo, cosa molto necessaria,
ha congiunto l’uno e l’altro Emisfero.
Non vedete gli agili velieri
che da Texel, da Londra, da Bordeaux,
partono in cerca, per un felice scambio,
di nuovi beni alle fonti del Gange nati,
mentre in lontananza, vindici dei musulmani,
i vini di Francia ubriacano i sultani?
Quando la natura era nella sua puerizia,
gli Avi nostri vivevan nell’ignoranza,
e il tuo dal mio non distinguevano.
Cos’altro potevan fare, se nulla avevano?
Nudi erano, e quest’è cosa evidente:
nulla può condividere chi non ha niente.
Erano sobri. Ma lo credo ognor!
Martialo* non visse nell’Età dell’or.
La schiuma e il nerbo di un vin nuovo
non raschiava la gola alla triste Eva
e la seta e l’oro non lucevano da loro:
i nostri Avi ammirereste per questo?
Gli mancavan l’industria e le comodità:
è forse virtù? Ma no, è solo ignoranza.
Quale idiota se avesse avuto allora
un buon letto avrebbe dormito fuori?
Adamo mio, caro papà, caro ghiottone,
cosa facevi nel Paradiso Terrestre?
Lavoravi per questo sciocco genere umano?
Carezzavi la signora mammina Eva?
Ditemi piuttosto se tutt’e due non avevate
le unghie lunghe, un po’ sudicie e nere,
alla sperandio i capelli,
addosso una brutta cera, stinta e smorta la pelle.
L’amore più grande se non c’è decenza
non è amore, è solo una turpe urgenza.
Allor che lassi delle belle avventure,
sotto una quercia sai che cena elegante
con l’acqua, il miglio e le ghiande.
A pasto finito dormono alla radura:
ecco signori lo stato di natura.Or volete amici miei
saper un po’ nella epoca nostra così maledetta,
sia a Londra, a Roma, o a Parigi
come un uomo civile si conduce?
Venite da lui: una quantità di belle arti,
figlie del gusto, a voi si mostra.
Con mille mani la sfavillante industria ,
gli ambienti riduce a simmetria.
Il felice pennello, il superbo disegno
del dolce Correggio e del dotto Poussin
sono inquadrati nell’oro d’una cornice;
fu Bouchardon a fare questa figura,
lucidato fu questo argento da Germain,
l’ago e la tessitura dei Gobelins,
e questi oggetti sono mille volte
in lucidi pannelli riflessi.
Per la finestra del vasto salone vedo
laggiù nei giardini il mirto intrecciarsi,
e d’acque vedo zampilli e getti.
Dal palazzo odo il padrone sortir:
ed eccolo su una comoda carrozza, d’ornamenti fine,
da due scattanti cavalli trainata,
che una rullante casa pare,
tanto dorata quanto lucida,
e già lo vedo andare a spasso con scioltezza;
le sospensioni salde ed elastiche,
sul pavè lo portano con mollezza.
Corre ai bagni: i più dolci profumi
renderanno più netta e più fresca la sua pelle.
Preme il piacere, egli vola al convegno
da Camargo, da Gaussin, da Jiulie,
colmato è d’amore e di favori.
Occorre andare in questo magico palazzo
dove le belle rime, le musiche, le danze,
l’arte d’ingannare gli occhi coi colori,
la più riuscita arte che seduce i cuori,
di cento piaceri uno solo ne fa.
%0In attesa che essa si poggi anchova,
o, malgrado lui, Rameau un po’ applaudire.
È l’ora di cena. Oh gli smaltati servizi,
quali intingoli, quali delizie!
Ah un cuoco non e che un divino mortale!
Chloris, Églé, mi versano con le loro mani,
un vino d’Aï la cui spuma compressa,
dalla bottiglia con forza scoppia,
e come un baleno il tappo sbotta;
salta, si ride, il soffitto tocca.
Di questo fresco vino la spuma frizzante
di noi Francesi è l’immagine brillante.
Arreca il domani altri desideri,
altri desinari, altri piaceri.
E adesso caro signor** del “Telemaco” ,
lodateci pure la vostra piccola Itaca,
il vostro Salento dai tristi muri,
o i vostri Cretesi virtuosi e afflitti,
d’astinenza ricchi e poveri d’affetti,
d’ abbondanza e di tutto privi:
molto ammiro il vostro carezzevole stile,
e la vostra prosa ancorché un po’ strascicata;
ma io, caro amico, acconsento di gran cuore,
d’esser fustigato ai muri del Salento,
a patto di trovarvi la mia felicità.
E tu Giardino del primo Uomo,
famoso per il diavolo e il pomo,
invano dal loro orgoglio sedotti,
Houet e Calmet nella loro dotta audacia,
del paradiso sono andati a cercare il posto:
il paradiso terrestre è quì piuttosto.^^^
*Autore del “Cusinier français”.
**Allusione a Fénelon auando scorse un ragazzino bere coiaggi di Telemaco” dove si narravano i viaggi a scopo istruttivo del giovane Telemaco, seguito da un pedagogo in zone esotiche del profondo Sud (anche il Salento) e vi veniva presa di mira la corte del re di Francia.
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