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Bridge ed educazione, connubio indissolubile per rilanciare l’intrigante gioco
Ci ho pensato tutta la notte al dibattito che mette sul banco degli imputati il gioco del bridge. Il bridge sta scomparendo, dicono ormai tutti, e a giocare sono rimasti solo i vecchi. Mancano i giovani. Quei pochi che in questi anni ci hanno provato, sono spariti nel giro di breve tempo. Un gap che sta assassinando un gioco bellissimo e molto intrigante.
D’altronde come potrebbe essere diversamente se i ragazzi, che iniziano a giocare nelle scuole, poi per continuare a giocare si devono misurare nelle Associazioni con ultrasessantenni che molto spesso sono arroganti e troppo competitivi?
Ovvio che piano, piano scompaiano. Ovvio che con gli orari incompatibili con il prosieguo degli studi, scelgano quest’ultimi dando un definitivo addio ad atout e chicane.
Ovvio che alla prima ombra di chi ti mette in difficoltà perché non hai seguito alla lettera una regola, mandi a quel paese tutto.
Poiché a molti sfugge il declino, o se non sfugge fa finta di niente, il dibattito che si è avviato è: si può resistere a questa moria? E come?
Il commento più bello che ho letto sui social è quello di Donatella Buzzati. “La situazione del bridge mi fa pensare a un parente amatissimo e molto malato, che i figli curano con camomilla e vitamine confortandosi per il più piccolo segno di miglioramento (ha mangiato un biscotto!) mentre i nipoti ne vedono il declino continuo e vorrebbero consultare specialisti e provare medicine innovative. Ma siete pazzi! Possono far male, la camomilla non uccide nessuno!”.
Camomilla e biscotti, come dice anche lei, sono degli insignificanti palliativi. Qui servono cure radicali per fare proselitismo e colpire i cuori dei giovani e dei meno giovani. Quella che manca è un’idea di futuro.
Futuro che non si può delegare a numeri e curve e neanche delegare a un gruppo che governerà una federazione o un’associazione locale. Il futuro siamo noi. Siamo noi con i nostri comportamenti di accettazione e di accoglienza. Siamo noi con la nostra educazione ed empatia.
Siamo noi e basta.
E infatti….
Ho iniziato tardi a frequentare il corso di bridge, perché lavoravo a Roma e il lavoro mi assorbiva e gratificava molto. Quando andò in pensione un mio amico e collega, direttore di un giornale nazionale, lo sollecitai a iscriversi a una scuola di bridge. La risposta fu lapidaria….”che sei matta? Mi sono informato e me lo hanno sconsigliato. E’ un gioco molto duro e competitivo. Non ti danno spazio. Non è per me”.
Aveva torto? So di altri che ci hanno provato e hanno smesso subito. E’ bastato sedersi ai tavoli e incassare a muso duro un giudizio di incompetenza e l’amore è finito prima che sbocciasse. Altri hanno abbandonato i tavoli verdi per il troppo stress, ambientale e di gioco. Altri perché non hanno mai trovato un compagno e nessuno li ha mai aiutati.
Al motto di “nessuno resti indietro” del presidente della scuola dell’Arcadia di Roma, Mario Guarino, spesso si contrappone menefreghismo e arroganza.
Tanti gli esempi da raccontare che fanno fuggire a gambe levate le belle anime che pensano di potersi divertire e socializzare tra un board e l’altro. Che illusi. Ci vuole tanta forza e tanta energia, la trappola e lì e sempre a portata di mano. Basta un niente. Basta che rifiuti un Undo e ti tacciano di provincialismo. Basta che non allerti una licita e ti fanno punire dall’arbitro.
Già, già. E’ capitato anche questo. Non si giocava all’America’s Cup e neanche al Bermuda Bowl, ma a un torneo Real Bridge diciamo pure a… Roccacannuccia. Certo. Le regole sono le regole e valgono dappertutto, ma soprattutto per gli avversari.
Non ci credete? Vi racconto com’è andata.
Apre la mia compagna di 1 cuori. Segue contro degli avversari. Io dico 2 fiori. Chiudiamo a 4 cuori. Prima di iniziare il gioco della carta, la signora del contro chiede cosa significhi quel 2 fiori. Forcing manche, rispondiamo. Ah no. Non è giusto. Dopo un contro quel 2 fiori è naturale e andava allertato. Ok, giusto. Comunque sia, lei attacca sapendo cosa significhi quel 2 fiori. Fatte le 4 cuori, lei chiama l’arbitro, omette la nostra spiegazione a licita finita e ci fa penalizzare. Al board successivo il suo compagno mi chiede l’Undo e io glielo concedo. Nessuno mi obbligava a farlo, soprattutto dopo quella penalità imposta, ma l’ho fatto e ho sottolineato che per me il bridge è anche gentilezza. E sportività.
Perché vi ho raccontato questo? Per dirvi che se è giusto attribuire alle federazione e alle associazioni, una parte di onere se la gente scappa dal bridge, la responsabilità maggiore però è di chi adotta nei confronti degli avversati comportamenti “tranchant”. Io penso che siano loro, più di altri, ad uccidere il bridge. Su di loro bisognerà che lavori la vecchia o nuova Federazione o le vecchie e nuove associazioni. La gente gioca e rimane solo se si diverte. E’ assodato. E’ troppo allora pretendere educazione e grazia? I veri campioni lo fanno. Facciamolo tutti, allontanando… chi allontana.
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