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Allungamento dell’età pensionabile e i dubbi politicamente scorretti

9 Novembre 2017

Assisto in questi giorni, sinceramente sconcertato, al dibattito, ahimè tipicamente elettorale, in cui sono impegnate le cosiddette parti sociali. Già la questione di fondo mi lascia molto dubbioso: se l’allineamento automatico dell’età pensionabile è una legge approvata dal parlamento per quale ragione, diversa dal raccattare un po’ di voti, dovremmo mai modificarla, visto che, credo nessun, possa negare che le aspettative di vita si sono allungate? Come ahimè continua a succedere nessuno pare rendersi conto – come ampiamente illustrato da Corte dei Conti, INPS, e la stessa Banca d’Italia (in questo momento non particolarmente in auge) – che, non adeguare la pensione alle aspettative di vita rappresenta l’ennesimo prelievo di soldi dalle tasche dei nostri figli e nipoti, a maggior ragione in una situazione in cui le finanze pubbliche non se la passano benissimo.

Avete presente la storia della Cicala e della Formica? Ecco che come sempre accaduto in questi ultimi 30 anni, indipendentemente dal colore politico di chi è al governo, ci risiamo: spendiamo oggi i soldi che qualcuno dovrà pagare domani. Tutto ciò premesso, la cosa che mi lascia ancor più perplesso è la sola idea che possano essere identificate delle categorie che potrebbero essere esentate dall’allungamento. Non ho alcuna base numerica ed oggettiva per contestare le scelte, ma mi pare una logica in generale profondamente errata, oltre che priva di fondamento scientifico (e forse anche discriminante, quindi, di possibile incostituzionalità).

Allora chiedo: Se proprio si volesse perseguire la logica di discriminare, perché, tra le categorie oggetto di discussione, non siano incluse alcune come, solo per fare qualche esempio, i chirurghi? Salvano la vita delle persone in alcuni casi con interventi che possono richiedere anche venti ore consecutive di lavoro per essere completati. Da molti anni ed ancora oggi, alla non più tenera età di quasi 60 anni, la mia giornata di lavoro inizia alle 7.00 e si conclude, se sono fortunato alle 22.30, spesso compresi sabati e domeniche e , solo lo scorso anno, ho passato oltre 150 notti fuori da casa. Questo, naturalmente non mi ha mai fatto pensare di chiedere di essere parte di una categoria che meritasse un trattamento preferenziale ai fini pensionistici. Non ho evidenze numeriche o fattuali ma temo che, se dovessimo approfondire lo studio in maniera medico/scientifica, dovremmo considerare allora anche lo stress che sopporta un amministratore delegato di un’azienda, un manager o un chirurgo.

Se è vero che il guadagno è più elevato di queste categorie, così come peraltro e giustamente sono le tasse sui compensi,  è altrettanto vero che, per tali soggetti, questo maggior guadagno non rappresenta un fattore di riduzione del rischio. Dunque dovremmo stare qui a chiederci se è più stressato il Ceo del muratore, l’assicuratore o il macchinista, se lavora di più una maestra d’asilo o un operaio in fonderia? Perché non si finisce di discutere di temi che non hanno alcuna connessione con la realtà ed invece focalizzarci su un uso delle (poche) risorse disponibili per investimenti (la ricerca, la scuola, le infrastrutture, la competitività) che possano rendere il nostro paese un po’ più moderno ed integrato?

 

 

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