Società
Ehi Europa, ti ricordi che sei nata per non ripetere l’orrore di Auschwitz?
A voler guardare con radicalità a ciò che avviene lungo le strade d’Europa si potrebbe dire: qualcuno ha promesso l’accoglienza per tutti, ma non può mantenere quella parola; per cui esorta propri stati confinari ad adottare politiche di contenimento.
La Germania di Angela Merkel sulla scia dell’emozione, forse, ha pronunciato una promessa, ma poi si è pentita. Altrimenti non chiederebbe a tutti di aumentare la barriera dei controlli.
Ma poi ognuno reagisce per la sensibilità che ha e anche questo è importante rilevarlo. Perché in quel caso è la memoria che fa da volano ai propri atti.
Non credo che quello che succede a Praga in queste ore, né quello che dicono, da mesi, e non ieri, le piazze di Ungheria e soprattutto ciò che fanno le forze dell’ordine, sia il risultato o l’effetto di una mancanza di memoria. Quando si reagisce così prontamente, “in automatico”, si rimettono in circuito pratiche di altri tempi, allora bisogna prendere atto che la memoria funziona e ciò a cui stiamo assistendo non è effetto di amnesia.
Non mi sorprende l’Ungheria. Più precisamente non mi sorprende la maggioranza dell’opinione pubblica in Ungheria. Da molti anni ho smesso di pensare che i “liberati”, quelli che si ribellano a una condizione di oppressione subìta, fino a raggiungere una condizione che rovescia e dissolve la macchina politica che li ha dominati e oppressi, per un processo automatico divengano liberi.
Tra liberazione e libertà c’è un abisso. L’Ungheria di oggi dimostra che quel percorso forse è stato iniziato un tempo, ma non si è mai concluso. Forse in questi anni sono stati fatti anche molti passi indietro.
Per lo stesso motivo non mi sorprende la Boemia, e nemmeno il ritorno della marchiatura numerica.
Ognuno reagisce alle condizioni eccezionali in relazione a ciò che ha vissuto, visto fare e ripropone le pratiche che hanno funzionato.
“Marcare un individuo” significa “non perderlo di vista”, ma soprattutto non avere il problema di domandarsi nulla intorno alla sua persona, alla sua identità. Un numero: cosa c’è di più rapido per certificare qualcuno e, allo stesso, tempo stabilire un rapporto di potenza tra chi è “la legge”, “la regola” e chi è “fuorilegge” e dunque non detentore di diritto?
Se c’è una memoria nella marchiatura, nel numero sull’avambraccio, questa non sta nella scrittura del numero. Sta nel codice cui quell’atto allude. Con quel codice i “liberati” di ieri dimostrano di non aver fatto molta strada sul percorso verso la libertà. Per questo non credo alla smemoratezza. Quell’atto dice che si ha perfetta memoria del passato, di come si comportavano i “padroni di prima” e che si è fatto tesoro dell’efficacia di quell’oppressione: della sua radicalità nell’opprimere e nella sua efficacia nei risultati.
È l’Europa peggiore quella che abbiamo oggi di fronte? Forse.
Tuttavia anche se forse è un’osservazione banale. Credo sia necessario essere più radicali. Europa è un progetto che per molti anni ci siamo raccontati come un “paradiso” come un mondo perfetto, come un quadro utopico, spesso non facendo i conti con il mondo che intorno a noi, oltre le frontiere, anche quelle prossime, soffriva molto. Senza condividere uno sforzo di progetto. Europa è stato spesso un sogno “egoista”.
Perché?
Il futuro era per noi europei un diritto acquisito con le sofferenze di prima, nell’età dei totalitarismi. Da quell’età siamo usciti da tempo e abbiamo pensato che ci dovesse essere riconosciuta una tregua (tendenzialmente un tempo eterno di benessere). Pensando in breve che il peggio lo avevano vissuto le generazioni che ci avevano preceduto e a noi spettasse solo il compito e la condizione di “godere”.
Non era così. Quando improvvisamente il mondo con le sue sofferenze, con le sue pene, ma anche con la sua rabbia, si è ripresentato a noi, non eravamo pronti né a rispondere né ad assumerci la nostra porzione di responsabilità di “patto per il futuro”.
Semplicemente abbiamo pensato che quel patto non riguardava altro che noi e al più gli invitati alla nostra tavola. Com’è noto gli invitati sono graditi se non prendono loro l’iniziativa di invitarsi. Se questo accade, allora bisogna prendere dei provvedimenti. Anche per questo sono ritornati in campo i numeri. Nei momenti di panico, quando si tratta di prendere velocemente delle decisioni, allora torna buona la memoria del passato.
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