Consumi
L’età dell’ansia, egloga contemporanea
I tempi di profonda disillusione che stiamo vivendo, in cui non ci si fida più della politica, un tempo considerata una passione al pari dello sport o della musica o di altro, si ripercuotono inevitabilmente sui rapporti tra le persone. Nel Novecento la passione politica, in Italia, coinvolgeva tutti ed era presente nella vita quotidiana assai più di quanto non lo sia adesso. Nelle Case del Popolo e della Cultura si discuteva dei libri, dei film di Pasolini, o delle manifestazioni per il disarmo, o di altre cose molto importanti o che ci sembravano tali. Del destino del mondo, del ruolo di ognuno di noi per far progredire il paese, dell’importanza dell’onestà. L’afflusso alle urne era parecchio più alto, tutti volevano esprimere i propri diritti col voto. Oggi è esattamente il contrario.
Si fanno i confronti, per quanto possibile, coi comportamenti di un tempo e quelli che, oggi, molti sussumono da quelli dei politici, sentendosi autorizzati ad agire come loro: se lo fanno loro, che sono lì al potere, pure pagati da noi, perché non posso comportarmi così pure io? Tanto, in questo paese, non mi succederà niente, nessun politico paga per le sue truffe, e poi, di tutti i processi che ci sono, quanti vanno in prescrizione? Diceva, Berlusconi, che era giusto evadere le tasse, proprio mentre era lui il Presidente del Consiglio dei Ministri. E che Daniela Santanchè, indagata per truffa, sia ancora lì, significa che al potere, dell’onestà di cui si parlava prima non gliene frega niente, così come sembra non fregare niente agli elettori i quali, anziché penalizzare un partito che si tiene ancora dentro una persona così, addirittura una ministra, che ha rivendicato più volte con orgoglio di essere fascista, lo premiano alle elezioni europee. Forse pensano, come gli elettori di Trump, che sia tutta un macchinazione dei comunisti, come avrebbe detto l’ex-cavaliere, e che la Santanchè è uno stinco di santo, una povera perseguitata. Di certo, se ti indagano, qualcosa ci dev’essere, e l’unica cosa che colei avrebbe dovuto fare, per avere un pochettino di credibilità, sarebbe stato sparire fino al momento della sentenza della giustizia.
L’esempio della politica è il più eclatante, oggi, anche perché siamo continuamente bombardati da tik tok di questo o quel politico che mostrano l’ultima pisciatina d’autore in tutti i momenti della giornata e, non consapevoli del nulla che esprimono, lo spalmano nell’etere, inquinando le menti di chi riceve i messaggi.
È questo il ragionamento che molta gente fa e la sicurezza di un’impunibilità, la possibilità di comportarsi male e farla franca è una grande tentazione, tanto, chi se ne frega.
Così, in un crescendo di arroganza, di egocentrismo, di egoismo, ci si trova a lottare contro l’aggressività gratuita, anche del vicino di casa che si è alienato e che è molto diverso dalla persona che conoscevamo.
Come se fosse stato zombizzato, come se fosse invasato da un demone sconosciuto che si diverte a fare esperimenti sulle menti e sui corpi umani.
È più evidente che mai negli USA, dove l’elezione di un presidente condannato e spregiudicato è vista con paura dal mondo intero e dove c’è un’atmosfera da guerra civile, che sicuramente si verificherà chiunque dei due sia eletto, dove ognuno accuserà l’altro di brogli e così via. Si è visto, per la prima volta nella Storia, l’assalto al Campidoglio da parte dei fan di Trump, istigati da lui stesso, e meno male che non è successo niente di veramente grave. Il trionfo della democrazia, talmente forte da esportarla. Ma il popolo americano è in buona parte infantile, forse uno dei più infantili del mondo, crede di vivere in un film western.
Una televisione sempre più ansiogena, dove deve emergere l’aggressività sempre e comunque, ha fatto quasi perdere il momento della satira e di trasmissioni come quelle di Serena Dandini, dove si prendeva in giro il mondo intero con garbo e con dei tempi che oggi appaiono assolutamente lenti. La velocità delle app degli smartphone ha drogato tutti. La soglia di attenzione di giovani e meno giovani si riduce ai primi venti secondi, forse meno, poi si cambia video, così come si cambia discorso, se mai si riesca ad affrontarne uno.
Impossibile poter ascoltare per intero un film, un brano musicale, leggere un libro o un articolo. Molte persone che, un tempo, erano abituate a leggere brani anche lunghi, mi dicono che alcuni miei (o di altri) articoli sono troppo estesi e che non hanno tempo per concentrarvisi. Poi, avrebbero anche il difetto di essere densi. Io rispondo che forse non hanno mai letto articoli di riviste scientifiche o letterarie e, comunque, se ho delle cose da dire e da raccontare, mi piace andare a fondo, non tralasciando aspetti che potrebbero essere importanti per comprendere meglio ciò di cui si parla.
Ma è così per qualsiasi cosa. Ho notato che molte persone non hanno più la pazienza di ascoltare e sbuffano, come se già sapessero il seguito. Cosa che invece non è.
Io suppongo che questa impazienza molesta provenga dalla velocità a cui ci ha abituato la tecnologia: dopo aver digitato due o tre dati chiave con un motore di ricerca, in pochi secondi puoi trovare la risposta che cerchi. Ed ecco l’illusione, che stava lì, in agguato. Anche lì, il motore di ricerca non ti dà dei risultati, ti dà dei siti o degli articoli in cui si parla di quell’argomento. Poi bisogna dedicare tempo e meningi (ove ci siano) per leggere e comprendere il contenuto di quegli articoli e la riflessione, inevitabilmente, comporta tempi di analisi e di sedimentazione dell’informazione diversi da persona a persona.
L’illusione che il telefono o un qualsiasi schermo fornisca la ricetta in pochi secondi e che, quindi, se qualcuno parla un po’ più riccamente di un argomento diventa automaticamente prolisso e noioso e, in pratica, fa perdere tempo per cose che invece il web risolverebbe in breve, molte volte determina codesti comportamenti assai incivili e superficiali.
Non c’è il tempo, come se il tempo fuggisse e si perdesse senza speranza, bisogna sfruttare ogni minuto secondo altrimenti si resta indietro. E così, invece, paradossalmente, si resta indietro perché non si vuol dedicare tempo a capire le cose, approfondendo.
Il ritmo della velocità, dal Futurismo in poi, figlio dell’epoca della tecnologia, della cifra e del clamore, come diceva Guido Gozzano, diventa sempre più incalzante.
Comparati a oggi, i criteri di velocità dei Futuristi apparirebbero una scala di valori di tartarughe o lumache, per quanto la tartaruga sarebbe sempre in vantaggio su Achille piè veloce, secondo Zenone di Elea, raccontato da Aristotele. Poi sappiamo che Achille ha raggiunto e superato la tartaruga e probabilmente l’ha pure spolpata per dare il carapace in regalo a Orfeo per farci una cetra.
Per raggiungere un continente diverso, ai tempi, un cantante lirico che aveva appena debuttato a Milano ed era stato scritturato a Buenos Aires, doveva affrontare almeno quindici giorni di viaggio in nave, dove, nel frattempo, si riposava e studiava. E aveva tempo di adattarsi alle stagioni speculari dell’altro emisfero.
Oggi l’aereo permette un viaggio assai più rapido e un artista può sostituirne un altro nel giro di una giornata. Con effetti devastanti sul corpo, soprattutto dopo una certa età, perché comunque tra jet lag e stress la giornata del corpo è sempre fatta di luce e buio, sonno e veglia, con bioritmi e cicli stagionali stratificati da millenni.
Parlare e vedersi sullo schermo con qualcuno in un altro continente in tempo reale è, in effetti, una cosa spettacolare. Però, spesso, fa illudere che tutti siano alla portata di tutti mentre c’è uno spazio fisico di migliaia di chilometri che divide.
Quest’illusione, io credo, è uno dei molteplici ingredienti dello spaesamento moderno, in parte proveniente dalla tecnologia e da un suo uso improprio basato sulla velocità ingovernabile a cui ci sottopone. Non c’è il tempo di far propria un’informazione che già il giorno dopo, qualora non il giorno stesso, essa diventa obsoleta o passibile di falsità.
In un’atmosfera così incerta è chiaro che la maggior parte delle persone, non strutturata solidamente, si affida a ciò che le dà più sicurezza ed è per questo che le destre, anche quelle più estreme, stanno avendo tanto successo. I nostalgici mondi all’antica e basati su antiche tradizioni patriottiche, razziali e religiose, assolutamente impossibili da proporre proprio perché ormai anacronistici e senza una motivazione proveniente da una necessità intrinseca, in realtà rassicurano le persone disinformate e disorientate da un mondo che va a velocità supersonica e ingoia ed espelle tutto e tutti con una facilità che sfugge alla comprensione. Riscrivendo la Storia coll’IA, mistificando tutto. Ovviamente, sempre se la Storia viene studiata e conosciuta.
Questo rifiorire delle destre, non conoscendo ciò che le destre hanno prodotto nel Novecento in Europa, è dovuto principalmente all’ignoranza della Storia e dal fascino che una visione passatista, come dicevo prima, facendo passare i fascismi come un’età dell’oro, suscita nei più sprovveduti. Succede anche negli U.S.A., l’età dei pionieri che sforacchiavano e decimavano i pellirosse, dove ognuno tiene un fucile in casa perché fuori c’è sempre un nemico. Succede ovunque, nelle Repubbliche Islamiche, dove la purezza del Corano esclude tutti gli infedeli, o nel fondamentalismo indù di Nerendra, appena rieletto, sebbene senza i trionfi che si aspettava, e si potrebbe continuare all’infinito. Il passato acriticamente rievocato torna ad affacciarsi come la soluzione di quest’epoca confusa e cinica. Illusione, appunto.
Basti vedere com’è cambiato il mondo del lavoro. Molti restano ancorati all’idea del lavoro fisico come zappare la terra o avvitare bulloni in una qualsiasi fabbrica mentre ormai la maggior parte del lavoro la fanno le macchine. E queste macchine sono sempre più sofisticate e non si fa in tempo a capire come funzionano che già la tecnologia ne ha inventato di nuove per sostituirle. Lavori che non esistevano hanno preso il sopravvento su lavori manuali che, per buona parte, sono scomparsi o in via di estinzione.
Basti pensare all’evoluzione della conservazione dei dati: in principio fu il floppy disc, poi il compact disc, poi il dvd, poi le pennette, poi iCloud, poi chissà che ci sarà. Probabilmente, accade già, avremo una banca dati installata sottopelle. E, coll’evoluzione dei supporti, anche le macchine per leggerli sono cambiate. Fai un corso di aggiornamento e alla fine del corso sono già state inventate altre macchine e nuovi supporti e il parco macchine di un ente è già superato.
Molti degli impiegati più anziani degli enti pubblici non sono in grado di usare la tecnologia, perché quando hanno cominciato a lavorare i computer erano assai più semplici e, soprattutto, non c’era internet. E non è raro imbattersi in problemi telematici perché il personale commette errori o si blocca davanti a un ostacolo tecnico e non sa come proseguire. Certo, c’è sempre il pericolo di un blackout e di una disconnessione e allora addio dati. Forse, un giorno, metteremo le dita in una presa e scaricheremo o caricheremo dati, così, come fosse la cosa più normale del mondo.
La tecnologia genera, comunque, ansietà anche per chi la sa usare.
Io diciamo che me la cavo ma quando ci sono dei siti web fatti male e difettosi e non ti consentono di effettuare determinate operazioni che pur prometterebbero, resto in stallo perché non posso fare più nulla. Né posso protestare con un numero verde perché ormai sono quasi tutti senza operatore e le mie domande non sono contemplate nella loro lista, spiacente non posso rispondere alla tua domanda, eccetera. E quando si riesce a parlare con un operatore può accadere di sentirsi dire: mi spiace signore non è mia competenza e non saprei a chi indirizzarla. E ciò procura ansia.
L’ansietà, altro che le ecoansie delle ultime generazioni che si fermano alla superficie senza conoscere altro!
Esiste una terribile ma sublime opera poetica di Wystan Hugh Auden, uno dei massimi poeti del Novecento, che s’intitola The Age of Anxiety, L’età dell’ansia, 1947, per la quale Auden ottenne anche il Premio Pulitzer nel 1948. Ha un sottotitolo, Egloga barocca. Ispirandosi a questo poema, Leonard Bernstein compose la sua Sinfonia n. 2, intitolandola proprio The Age of Anxiety, nel 1949, la cui musica fu usata anche per dei balletti da Jerome Robbins l’anno successivo.
Auden articola quest’ansia attraverso vari personaggi che pensano e ragionano, in un bar di un mondo post apocalittico, appena dopo la seconda guerra mondiale, e cercano di ritrovare la propria identità in un ambiente sempre più veloce, mutevole e industrializzato.
Quasi ottant’anni dopo è come se ci ritrovassimo al bar a pensare cose simili a quelle dei personaggi del poema, nelle proprie solitudini, nelle proprie idiosincrasie, nelle proprie disillusioni. E le ansie moderne non sono più solamente delle persone di una certa età ma hanno conquistato anche i giovani e i giovanissimi. Consiglio la lettura o la rilettura di Auden. I poeti hanno sempre la vista più lunga e riescono a trarre dalla realtà ciò che è meno evidente o che lo è ma non viene filtrato perché lo sguardo dei più è superficiale.
Le ansie si sono quindi moltiplicate e sono anche gestite dal potere per mantenere le masse in un perenne stato ansiogeno perché così sono più facilmente dominabili, più inclini a credere a false promesse, esattamente come fanno gli imbonitori che vogliono venderti qualcosa di cui non hai veramente bisogno.
Così il cambiamento climatico, le guerre, le crisi economiche, e tutti i corollari apocalittici che si tirano dietro, esasperandoli e facendoli entrare nella vita quotidiana delle persone, amplificati dalla velocità con cui la tecnologia li diffonde e perpetua, sono armi del potere per soggiogare le masse coll’ansia. Sono, alla fine, tutte queste esasperazioni, diventate beni di consumo quotidiano: il consumismo si è fuso colla realtà che percepiamo, Pasolini l’aveva intravisto, e ha stravolto i rapporti tra le persone. E, inevitabilmente, è diventato il carburante principale dell’ansia.
Non ci resta che andare in quel bar e, davanti a un bicchiere di alcool, che ci schiarisce le idee e apre la mente alle disinibizioni, cercare qualche nostro simile per confrontare le nostre ansie, come i personaggi di Auden.
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