Relazioni
Le nostre relazioni
Ho avuto il piacere di conversare con Remo Lucchi, Presidente di Eumetra MR e prima Presidente di GfK Eurisko, circa l’attuale situazione pandemica, con un focus sugli aspetti socio-relazionali che questa emergenza ha modificato. Lucchi parte come sempre dall’assunto che senza relazione non c’è vita e che, in una situazione come quella che tutti noi stiamo vivendo, la relazionalità, in entrambe le forme, fisica e comunicazionale, è stata duramente messa alla prova. Le ricerche si stanno interrogando sulle conseguenze di quello che Lucchi definisce un terremoto sociale, al fine di comprendere cosa potrà permanere e cosa no, e quali nuove forme si potranno o dovranno assumere per continuare a essere soggetti relazionali.
Questo l’esito della nostra chiacchierata.
Iniziamo facendo un passo indietro. Ci racconta, Professor Lucchi, cosa è successo negli ultimi anni in riferimento alla modalità di creare e gestire relazioni?
Dopo millenni di dipendenza e di incapacità di creare vere orizzontalità relazionali, nel giro di pochissimi lustri si sono innescati progressivamente tre processi vitali che hanno cambiato la nostra esistenza. In sequenza: siamo nati e siamo diventati individui. Gli individui hanno sostituito le masse, presentandosi come soggetti sempre più critici e pensanti. Poi, grazie a relazioni costruttive con gli altri, è nata la vita sociale che, con il passare del tempo, ha investito il contesto sempre più ampio della società globale. La nostra vita, nella sua crescita positiva, è quindi fatta di tre cerchi successivi, dove ciascuno si apre solo se quello precedente si è saturato in modo soddisfacente, il tutto accompagnato da un progressivo allargamento degli interessi, delle vedute, dei modi di pensare.
Cosa succede quando qualche fatto straordinario altera questa naturale evoluzione delle dinamiche socio-relazionali?
Quando capitano guai le cose cambiano. È come se si tornasse indietro, e si abbandonassero progressivamente le attenzioni più distanti: i cerchi esterni si chiudono, e ci si restringe sull’essenziale. E tanto più i guai sono rilevanti, tanto più l’abbandono è rapido: dapprima si chiude il cerchio esterno (il contesto, dapprima quello futuro, poi quello attuale); successivamente, nell’estrema gravità, si restringe anche il secondo cerchio (gli altri), per concentrarsi su di sé (che è l’obiettivo primario della vita). Il restringimento più difficoltoso è il secondo, cioè l’abbandono della relazione; è infatti proprio la relazione, in questo momento, a essere definita come la minaccia fondamentale della nostra esistenza, e cioè: uno dei due ingredienti basici di tutte le nostre forme di vita – che è sempre fatta dall’unione tra il sé e gli altri – invece che essere considerato ingrediente di vita, è diventato potenzialmente una “minaccia alla vita”. Cioè “un ingrediente della vita” che sta minacciando “la ricetta della vita”.
In riferimento alla relazionalità fisica, cosa sta succedendo davvero in questa situazione di emergenza?
Mentre nella comunicazione sono cambiati i contenuti, nella relazione fisica per ora è cambiata la forma. Il tutto è diventato virtuale, soprattutto in ambito professionale. La sostanziale totalità di chi non fa un lavoro manuale è in smart working. E meno male che esiste questa possibilità, altrimenti la prigionia, che ora è definibile triste, sarebbe considerata inaccettabile. Ci si rende conto, dopo questa lunga esperienza, che oggettivamente qualche eredità positiva ci potrà essere lasciata. Ma per equilibri mentali, ed anche per moltissime operatività professionali – pur progettuali e non esecutive – la relazione fisica non potrà mai essere abbandonata. La vita, anche mentale, è frutto di contatti fisici, e quindi di sguardi, di emozioni, di battute accompagnate da movimenti, di odori, di contemporaneità, di scambi oggettivi, di rapidità di reazioni. Un mondo esclusivamente virtuale non avrebbe vita, o sarebbe davvero triste e depressiva, e quindi non destinata ad avere futuro. La virtualità può certamente avere un ruolo, ma non su aspetti fondativi. Lo può avere su aspetti esecutivi, o tendenzialmente secondari e di servizio. Si ribadisce: la parte centrale della vita, quella basica e fondativa del futuro, e che ci dà energie emotive per andare avanti, ha a che fare solo con la fisicità. Si pensi anche al mondo del lavoro: l’80% della gente lavora in aziende medio-piccole e piccole, che si guadagnano la vita tutti i giorni, attraverso una reattività continua a ciò che accade sui mercati. La loro vita si rigenera in continuazione. E la fisicità è la parte basica della ricetta vincente.
Cosa possiamo dire per riassumere questa situazione che ha delineato in maniera così chiara e onesta?
Veniamo da un mondo pre-crisi che si era molto allargato: la sicurezza individuale era cresciuta e il nostro raggio di azione, di pensiero e di vita era diventato molto ampio. In questa situazione di grande incertezza, invece, che purtroppo potrebbe avere una coda molto allungata, l’individuo si è indebolito di molto, ha perso certezze, e ora ha bisogno di protezione e di nuova iniezione di vita. Come si diceva, l’unica ricetta di vita è la relazione, fatta di scambi di parole e di fisicità, dove l’individuo, indebolito, deve poter godere di “ricostituenti”, che possono essere fruiti solo sentendosi al centro delle attenzioni. E ciò deve coinvolgere tutte le occasioni relazionali più importanti, sia comunicazionali, che devono essere sentite vicine, rivolte a loro stessi, in modo diretto e non solo implicito sia fisiche, con grande attenzione a evitare il pericolo di concepire una vita anche professionale dove si diventa una particella elettronica distaccata, e si abbandona il senso vero della propria vita, che è la relazionalità fisica.
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