Media
Le banalità del male
I giornali prendono l’epidemia per le corna ma gli intellettuali non se ne stanno certo con le mani in mano e la lavorano ai fianchi. Mentre i titoli dei quotidiani hanno già messo l’apocalisse all’ordine del giorno, l’intellettuale di riferimento ricama elzeviri sulla malattia come metafora. All’avanguardia c’è Michele Serra che dalla sua amaca riflette sull’epidemia da par suo e, dondolando, ci dona meraviglie.
Prima di tutto ci spiega che il virus “non ne fa una questione di classe, di razza, di religione e sale a bordo dell’essere umano in quanto tale…come la livella di Totò, per lui gli uomini e le donne sono tutti uguali…tutti ugualmente esposti alla fortuna e alla sventura”. Poi conclude, mirabilmente, che “Niente come un’epidemia ci fa sentire uguali”.
Certo, a volere spaccare il capello in quattro, avrebbe potuto aggiungere anche che:
1) Oggi ci sei, domani chissà
2) Sono sempre i migliori che se ne vanno
3) A tutto c’è rimedio tranne alla morte
4) Tutto il mondo è paese
5) I soldi, nella vita, non sono tutto
e infine chiudere in bellezza con l’ottimismo:
6) Nella vita, ad ogni modo, non si può mai sapere
Ma la troppa saggezza uccide i non iniziati ed è per non creare danni irreversibili al cervello di chi lo legge che Michele Serra la elargisce con parsimonia. Egli si attiene strettamente all’argomento. Dunque: la morte è una livella, siamo tutti ugualmente esposti alla fortuna e alla sventura, per la malattia gli uomini son tutti uguali. Però il danno, ormai, è fatto e la voglia di diventare untori, leggendo queste minchiate, sale alle stelle. Ma, dice, le frasi fatte, non è detto che siano falsità; Bloy e Chesterton ci hanno insegnato che la verità dei luoghi comuni non va sottovalutata perché, più spesso di quanto si creda, è innegabile e talvolta anche innegabilmente profonda. E’ vero. Dunque chiediamoci se da questa insulsa brodaglia da rivista ebdomadaria per coglioni, da questa miscela di sentimentalismo da boudoir e interclassismo da parrocchia, per quanto esteticamente stomachevole, si possa trarre almeno l’ombra di una verità. E purtroppo la risposta è negativa. Queste insulsaggini non sono solo oscene. Sono anche intollerabilmente false. Se è già una bugia che i morti siano tutti uguali (Mussolini e Che Guevara, Hitler e Rosa Luxemburg) è ancora più falso che la malattia renda gli uomini uguali. Non solo un ricco non muore come un povero ma, soprattutto non si ammala e non si cura come lui. Una epidemia in Africa è cosa un po’ diversa che in Europa o negli Stati Uniti: e se qui i morti si dovessero contare a centinaia, là si conterebbero certamente a milioni. Con buona pace della livella, di Totò, dello “essere umano in quanto tale” e della egalitè di stocazzo. Quelle di Serra non sono, perciò, solo frasi fatte. Questo sarebbe peccato veniale (anche se da un intellettuale di riferimento ci si aspetterebbe che pensasse almeno a ciò che scrive…). Sono bugie. Che è molto peggio.
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