Diritti

Lavoro ai rom, Danese è pazza? In Calabria si fa da dieci anni

4 Febbraio 2015

La proposta dell’assessora al Sociale di Roma Francesca Danese di includere i rom nel lavoro di raccolta differenziata ha subito scatenato un putiferio mediatico. Da tutti i fronti. Banalmente da destra con Fabrizio Santori, professionista anti rom, che attacca il “rovistaggio” nei cassonetti, o con il senatore Andrea Augello che arriva a dare alla Danese  della pazza (“non ci sta con il cervello”). Alfio Marchini si chiede se siamo su Scherzi a Parte.  E non manca il fuoco amico, seppure ammantato dalla buona educazione. La titolare dell’Ambiente Estella Marino, con un giro di parole, consiglia alla collega di dedicarsi al Sociale e di lasciar perdere la questione rifiuti.

Eppure quella della Danese non è nemmeno un’idea originale. L’hanno già sperimentata a Reggio Calabria dove la cooperativa Rom 1995 si è occupata dal 1999 al 2010 di smaltimento di rifiuti ingombranti, di gestire un’isola ecologica e di altri servizi (pulizia cantine e solai, manutenzione del verde, servizi igienici). Per 12 anni la cooperativa, sorta in un  bene confiscato alla ‘Ndrangheta, ha dato lavoro a 16 persone di cui 10 rom. «Il servizio ha avuto un grande valore sociale e culturale – spiega a Gli Stati Generali Domenico Modafferi, presidente di Rom 1995 – perché ha mostrato alla cittadinanza un nuovo volto dei rom: gli operatori si presentavano in divisa e ritiravano lavatrici usate e vecchi elettrodomestici tra lo stupore delle persone abituate a pensare il rom solo come uno che delinque». Dal 2010 poi la cooperativa ha perso l’appalto con il Comune ma è riuscita comunque a rimanere a galla riciclandosi nella raccolta dei rifiuti elettronici e nei traslochi degli uffici comunali. Il presidente Modafferi tende una mano alla Danese: «Se ha bisogno di una consulenza per avviare i rom a questo tipo di lavoro noi siamo pronti ad aiutarla».  In effetti l’assessora potrebbe prendere spunto proprio  dalla Calabria dove nel 2007 è partito anche un progetto pilota rivolto a categorie svantaggiate per “l’inserimento lavorativo dei rom in attività connesse alla gestione dei rifiuti”.

«Quello che non convince nella proposta della Danese – riflette Antonio Ardolino, ricercatore e operatore sociale – è che ancora una volta si tratta di un’idea “esclusiva” per i rom. In questo senso alcune grandi aziende sono più avanti, perché prevedono delle quote sulle nuove assunzioni per le categorie fragili, non specifiche per una o per l’altra». Secondo Ardolino andrebbe fatto un discorso di presa in carico complessiva. «Non si può parlare di lavoro senza intraprendere anche percorsi sulla casa, sui minori, sull’intero nucleo familiare, altrimenti si rischia di fare progetti che si interrompono a breve termine. Sembra banale dirlo, ma a quanto pare non lo è».

L’idea dell’assessora, quindi, va senza dubbio strutturata, sempre che le si lasci il tempo di lavorarci. Resta il fatto che a Roma chiunque provi a esprimere per i rom soluzioni alternative ai campi e al degrado viene immediatamente tacciato di follia. Ma la Danese ha dimostrato sin dal giorno dell’insediamento di andare dritta per la sua strada: «L’avversione alle politiche di accoglienza e l’attaccamento a costosi ghetti- precisa – sono più forti della solidarietà e dell’amore per questa città». Non a caso la proposta definita choc  era uscita proprio in occasione della sua visita al Best house Rom di via Visso «una struttura, priva di finestre e punti luce, in cui vivono 300 rom e per cui il Comune di Roma ha speso nel 2014 quasi 3 milioni di euro», come spiega l’associazione 21 luglio in un rapporto. Magari i tempi sono maturi per impiegare le risorse per costruire veri percorsi di inclusione.

Nota: Nella confusione post dichiarazioni della Danese i giornalisti hanno riesumato il termine “nomadi” che con fatica era stato messo in un cassetto mesi fa, quando anche il sindaco Ignazio Marino lo aveva eliminato dai documenti ufficiali. Il consiglio è di richiuderlo da qualche parte e di  buttare la chiave, dato che la maggior parte dei rom che vivono nei campi sono nati a Roma e i loro genitori ci abitano da almeno 20 anni.

(Foto di Associazione 21 luglio da Viaggio tra #rom e #sinti nell’Italia che lavora: http://www.21luglio.org/calendario-2015/)

 

 

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