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La rivincita di Gutenberg
No, Internet non sostituirà la stampa, anzi: renderà il cartaceo ancora più dignitoso ed elitario.
Un’affermazione simile, in un contesto come quello odierno dove molte testate di punta richiedono esplicitamente online finanziamenti per il giornalismo o cercano di incentivare l’acquisto rendendo la consultazione digitale degli articoli limitata, potrebbe risultare delirante; se aggiungiamo a tutto questo il boom dei Kindle, degli audiolibri e dei Podcast, siamo portati a pensare che sia inevitabile prendere la direzione della Disruption.
Eppure questa conclusione non è affatto scontata. A fornire un ottimo spunto di riflessione in questa direzione è il settore del Luxury, che trova nelle parole del CEO Bulgari Jean-Christophe Babin un interessante paradosso sulla capacità della tecnologia di aumentare il valore del tangibile a cui si contrappone per sua natura.
“Viviamo in un mondo dove tutto si muove molto velocemente, e questo è strettamente collegato alla tecnologia e alla sua accelerazione. Questo ovviamente garantisce una serie di benefici funzionali per l’umanità, ma crea anche un alto livello di ansia […] La tecnologia crea una sorta di instabilità psicologica a cui puoi far fronte attraverso le relazioni umane più strette, ma anche attraverso oggetti tangibili che rappresentano per te una realtà familiare, come un gioiello”.
Basta dare un’occhiata al trend content delle maisons su Instagram degli ultimi mesi per vedere come i dettami estetici del cartaceo stiano diventando un cimelio vintage da esporre e per rendere ancora più elitario e ricercato il Brand: Celine ad esempio ricalca in ogni singolo post l’impostazione delle vecchie campagne stampa di Vogue, Massimo Dutti si spinge anche oltre replicando interamente i layout di pagina tipici dei dossier di moda strutturati che un tempo occupavano il centro del giornale; vi sono anche casi, soprattutto nel settore Beauty (di lusso) in cui si individua da tempo, nei formati video, la classica impostazione degli spot televisivi abbreviati, fatto che solo in parte può ricollegarsi alla comparsa della IGTV di pochi mesi fa, giacché molto prima del suo avvento avevano iniziato ad essere concepiti per un formato quadrato.
Ma la rivincita del cartaceo non si ferma al tentativo di riproduzione messo in atto dall’estetica digitale: è sufficiente fare un giro in un’edicola ben strutturata per ritrovare delle autentiche meraviglie a prezzi molto differenti da quelli di un tempo, che però esulano dal possedere un valore limitato alla periodicità con cui escono: si pensi all’Esquire, che da poco ha iniziato la sua avventura analogica e che sin dalla scelta del materiale di copertina -un cartoncino vellutato al tatto, leggero e robusto – ha dichiarato tacitamente il posizionamento che intende replicare offline; stessa cosa per Rivista Studio, la cui versione cartacea presenta copertine stampate su carta similare alle pellicole ruvide degli anni ’70, o gli speciali sul ’68 de Il Manifesto, coi suoi grandi formati in bianco e nero dominante tipici dei vecchi giornali degli anni della Rivoluzione.
Non credo sia corretto anche in questo caso parlare di Marketing della Nostalgia, in quanto l’intento primario di queste scelte non sembra essere suscitare quel tipo si sensazione nell’utente finale quanto appropriarsi di quelle qualità tipiche dell’analogico che il digitale non potrà mai possedere, ma che anela quasi disperatamente per innalzare il proprio livello di credibilità: la sensazione di qualità, di limitatezza – e quindi di esclusività – e di consistenza “reale”.
Se, come diceva Cervantes, “è cosa evidente che non val ciò che poco costa o niente“, la percezione della qualità di informazioni che riceviamo gratuitamente e in abbondanza in digitale potrebbe essere molto ridotta rispetto a quella limitata (attentamente selezionata), costosa (si presenta con un valore monetario perciò ha un valore reale) e tangibile (acquisto qualcosa che possiedo e che rende visibili le mie scelte e la mia autorappresentazione) del cartaceo, che proprio per queste sue particolarità ricalca quelli che sono i cardini del lusso: limitato, costoso, mostrabile.
La sfida del digitale sarà quindi mostrare non solo che può estendersi a dismisura in termini quantitativi (più audience, più velocità, più informazioni), ma che può replicare gli standard qualitativi ricercati e necessari che il cartaceo richiedeva con attenzione.
L’eredità di Gutenberg ci insegna che la diffusione, senza qualità (reale o percepita) e senza sporcarsi le mani per conquistarla, è solo vento.
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