Scuola
La lotta di classe
“Il nostro mercato sarà l’universo”. Parole di Daniela Santanchè. Che ben riassumono l’equazione conoscenza/spendibilità insita nell’idea di scuola oggi in vigore.
L’esplorabile ha senso nella misura in cui si palesa come sfruttabile. La conoscenza ha senso nella misura in cui genera performance.
Il mondo mercificato funziona così. Esige un regime conoscitivo che ne assecondi la compattezza, che resti all’interno dei limiti prescritti, senza deviazioni di sorta o di sorti. E la lunga marcia della formazione scolastica di certo non può costituire un’anomalia. Anzi, deve farsi laboratorio di parole d’ordine e pratiche virtuose. “Didattica a distanza”, ad esempio, in un’accezione non digitale, prepandemica, in cui il contesto lavorativo educa lo scolaro all’avvicendamento scuola-lavoro attraverso l’alternanza scuola-lavoro. Meravigliosa creatura avente per scaturigine l’ideologia dei miracolati economici, imbevuta di rigogliosi conti bancari e contratti a tempo indeterminato.
Politiche di transizione dal mondo della scuola a quello del lavoro, le chiamarono all’epoca. Come se la scuola non fosse il luogo sacro della formazione di cittadini autonomi, consapevoli, avvezzi allo spirito critico, emancipati e istruiti, bensì fucina di abitudine allo sfruttamento, di abitudine al tirocinio eterno, di abitudine alla competizione sfrenata, di trasformazione dell’individuo in ingranaggio. Come se la scuola fosse il luogo di una perversa transizione egologica. Il luogo in cui sanificare l’orizzonte del pensabile e imbottirlo di frasi fatte, di ninnananne per rampolli, sul migliore dei mondi possibili, quello delle disuguaglianze sociali in crescita esponenziale, delle risorse planetarie al collasso, della catastrofe ambientale cronica e del futuro impraticabile.
Poi succede che un ragazzo, Lorenzo Parelli, muoia nel suo ultimo giorno di tirocinio in uno stabilimento metalmeccanico, una morte bianca in orario scolastico, ed ecco che persino l’abitudine all’idea di lavoro comoda al mondo mercificato riesce ad affacciarsi, da ospite scomodo, nel lato salottiero dell’idea di scuola cara a certa politica contemporanea, sciupando l’atmosfera di festa.
I ragazzi sono sgomenti. Le classi scendono in piazza per tutto lo stivale e le forze dell’ordine ne accolgono le istanze da copione antico, menando e ferendo.
“Blocco immediato dell’alternanza scuola-lavoro”, urlano gli studenti. Maledetto fu il giorno in cui la scuola-azienda si convertì in azienda-scuola, meditano gli insegnanti. Maledetto fu il giorno in cui il primato dell’economia sull’esistenza fu spacciato per una costante storica dal peso metafisico, sussurra qualche osservatore consumato dalla frustrazione in
qualità di unica forma di conforto.
Intanto, lo Stato in qualche modo dovrà pur giustificarsi. Dovrà pur chiarire ai genitori di Lorenzo che la morte del figlio è un danno collaterale all’interno di un sistema perfetto. L’eccezione che conferma la regola.
Dovrà chiarirlo ai suoi compagni di classe, ai suoi insegnanti, ai suoi coetanei. Dovrà indicare la direzione ineluttabile del mondo, anzi, dell’universo, per dirla con Santanchè, e precisare sapientemente, una volta per tutte, la logica spietata dell’incidente di percorso.
Lascerà intendere che l’alternanza scuola/lavoro-non-retribuito per i più andrà a coincidere con l’avvicendamento scuola/lavoro-non-retribuito e che le morti bianche sono passaggi necessari, fondatamente poco chiacchierati, affinché il paradigma del mercato-al-di-sopra-di-tutto possa esprimersi al meglio. I ragazzi devono saperlo, devono imparare, questo è educare, annuncerà con trasparenza.
Non si rifugerà, lo Stato, in un’autocritica generica, nelle mazzate poliziesche o in qualche indecoroso silenzio nella granitica certezza che l’ennesimo abominio perpetrato a danno delle nuove generazioni sarà digerito dall’oblio, d’abitudine, in tempi brevi.
Non si rifugerà, lo Stato, nella forza rimbecillente del fu quarto potere, solerte, con i suoi maratoneti, nel travestire balletti istituzionali da reality show, nel costruire gerarchie dei fatti balsamiche, in cui la dichiarazione sguaiata del politicante di turno precede per importanza la morte scolastica di un ragazzo e chi, nelle piazze, maledice e rivendica.
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