Scuola
La letteratura e i guardiani del tempio
“Quando ho saputo dell’onore che mi facevate, la mia reazione è stata quella di dirmi “ma no, è troppo, non dovevano!”. La voce che risuonava in me non era quello dell’uomo che sono diventato e che oggi vi ringrazia”.
La lettura ci mette in contatto con noi stessi, con quello che siamo, fa venire fuori mondi sommersi, indicibili, di cui neppure eravamo a conoscenza. Penetra negli strati del nostro essere, come faglie di terra che vengono esaminate per comprendere la struttura, la composizione geologica; è capace di scandagliare in profondità, analizzare il nostro vissuto, le nostre ansie, paure. Ci mette sotto sopra il mondo.
Si legge per capire se stessi, ma anche per entrare in relazione con gli altri, per cercare di entrare nel mondo di chi vive realtà diverse dalla nostra, per scoprire ciò che accomuna l’essere umano pur nella sua diversità. La lettura è inclusione, attività corale, capacità di andare al di là dell’apparenza, sapersi aprire all’altro nella propria fragilità. Nascondere debolezze, inettitudine, ponendo un tappo al magma umano che sale le viscere e ci fa venire fuori, è rubare pezzi dell’altro senza compenetrarsi. La relazione ha bisogno di due o più persone, occultarsi, restando fuori il cerchio dell’autenticità, essere incapaci di parlare di sé, porre bastioni alla fortezza arroccata dietro cui ci difendiamo, vuol dire prediligere il pettegolezzo, sottrarre persino a noi stessi la miseria delle nostre vite.
Vivere è apertura al mondo, e siamo il mondo nella misura in cui lasciamo che esso si accomodi nel nostro. Possedere una bella casa trattando perennemente gli invitati come ospiti significa restare straniero all’altro, frapporre un diaframma tra il mio vero io e quello ostentato.
Chi legge forma una banda, una comunità che trova nello scoprirsi reciprocamente la realizzazione di una comunione di anime. Chi legge ha memoria, ricorda, una parola la cui etimologia ci dice che più che un muscolo da allenare, si tratta di una facoltà che coinvolge il cuore. Una corda cui ci si può aggrappare quando si ha bisogno dell’altro, che non stringe i suoi fili per soffocare, ma che cinge per sostenere.
È idiozia ricordare pagine studiate a memoria senza che se ne sia tratto il minimo vantaggio umano. Lo studio eleva non solo le nostre facoltà mnestiche, ma quelle più propriamente umane. É come una leva: può essere vantaggioso, svantaggioso, indifferente. É vantaggioso quando la forza motrice riesce a superare la resistenza. Appropriarsi delle pagine più belle della letteratura, della filosofia per fregiarsi di un titolo è roba da medioevo. Il professore è colui che, dismessi gli abiti consunti di una tradizione che lo poneva in cattedra, consente il dispiegarsi del potenziale di ciascuno, essendo sostegno, non freno. Conoscere a memoria i propri alunni significherà, allora, essere trampolino di lancio, non blocco, giocare con lui il tutto e per tutto, lealmente.
La poesia che oggi sembrerebbe anacronistica, sembra quasi in malafede perché il progresso in campo medico o in qualsiasi campo si è verificato sempre per colluttazione, antitesi, lotte, corsa a far meglio. Sembrerebbe che la legge del più forte, di quello più scaltro, di chi ha imparato a fregare, abbia la meglio. Il capitalismo ce lo ha insegnato, abbreviare i tempi di produzione non sacrificando la qualità del prodotto; l’automatizzazione ha sottratto il lavoro a molte persone. Competere con le macchine è difficile, e così capita che si faccia a meno delle leggi che tutelano la sicurezza sul lavoro, che un orditoio tranci un corpo. Perché è questo che siamo, corpi senz’anima, addetti alla produzione o meglio alla produttività.
E così per soldi una pastora viene uccisa, Agitu, che si levava all’alba per prendersi cura delle sue pecore, che era dedita alla produzione alimentare nel rispetto di quelle che considerava le sue creature. Usava le sue mani, Agitu, praticando metodi ancora tradizionali, non forzando la produzione, chiedendo il giusto, aspettando il tempo giusto, senza pressare, senza alterare. Non le interessava accumulare ricchezze, le interessava poter vivere dignitosamente, facendo della sua passione il suo lavoro, potersi riscattare e guadagnare indipendenza, sottraendosi ad un destino che l’avrebbe voluta sottomessa.
Non è poesia Agitu? Non è poesia essere capace di comprendere e parlare a un animale? Stabilire empatia con lui? È una poesia di colore, come quella di Amanda Gorman, che nasce dalle viscere, dall’animo, dalla passione. Dalla voglia di cambiare e di credere nel cambiamento.
Sembra demagogia, un arcaismo, perché andare controcorrente sembrerebbe non stare al passo coi tempi, ma se:
Se aiuto l’altro senza pretendere
Se mi emoziono quando una mano vedo tendere
Se ciò che mi è lontano è il mio vicino
Se lo incontro ogni giorno sul mio cammino
Se non corro spedita e sembro una lettera mai imbucata
Se procedo accanto agli altri sulla mia strada
Se ciò che è mio è di tutti
Se metto in comune
scegliendo un’insegna coi suoi lutti
Peripezie fallimenti e rovine
Se traggo forza dalle mie spine.
Se non vendo il mio fratello
Al mercato delle pulci
Guardo e irrido il prepotente
Con tutti i suoi sorci.
Se spero ancora in un mondo più umano
È perché ci sei tu che mi hai insegnato
a credere nell’esistenza di un pianeta più sano.
Foto: REal faBBRICA della porcellana di napoli
1771-1806
filippo Tagliolini
Fogliano di Cascia 1745-Napoli 1809
ARRIA e Peto
1790 circa
Collezione Borbone
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