Partiti e politici
La forza malinconica delle sardine
Sono arrivato in piazza San Giovanni quando ormai gli oratori se ne erano andati, per cui ho colpevolmente mancato i temi lanciati dalle sardine nella loro manifestazione romana. Lungo la via Appia, gran parte della folla riprendeva la strada di casa, ma entrando nella piazza sono riuscito ad intravedere numerosi gruppi che non avevano alcuna intenzione di andarsene dopo appena un paio d’ore.
Tanti volti giovanissimi, molti immigrati e italiani di seconda generazione, ma anche tante persone che hanno vissuto i grandi movimenti di protesta del ’68, del ’77 e del 2001. Alcuni cantano “Bella ciao”, mentre si notano numerose bandiere che raffigurano stelle europee e arcobaleni, sia pacifisti che LGBT. Sbuca anche una bandiera rossa comunista. Sebbene le idee non siano chiarissime, si vedono generazioni che provano ad a immaginare un futuro migliore rispetto a quello che ci sta consegnando l’attuale classe politica.
Gli slogan e i volti lasciano ipotizzare letture che vanno ben oltre la semplice raffigurazione di una piazza contro l’ex ministro dell’interno, longa manus del PD, filo europea, espressione del politicamente corretto e della sinistra da salotto. Quando scorgo un cartellone femminista che chiede di consegnare il governo alle donne, riaffiora nella mia mente la commedia Lisistrata, con la quale Aristofane raccontava l’intervento delle mogli per porre fine a una guerra tra Atene e Sparta.
Pensandoci bene, credo che la discesa delle femministe non sia un fenomeno casuale. Malgrado la politica e i media parlino di grossolani rischi di ritorno al fascismo, la piazza sembra aver compreso la delicatezza della questione. L’Italia non si sveglierà sotto una nuova dittatura autarchica, ma in maniera più subdola, il paese potrebbe perdere alcuni diritti acquisiti con le precedenti stagioni di lotta, a partire dall’indipendenza delle donne e dalle unioni civili.
Pezzetti di sinistra connettono lo spirito libertario del ’68 alla società neoliberale odierna, fautrice di un disegno reazionario garantito dall’Unione Europea, che favorisce le élite borghesi contro il proletariato. Al contrario, la destra dipinge i diritti civili come genesi della temuta sostituzione etnica. L’aborto e la disgregazione della famiglia patriarcale rappresenterebbero l’antipasto fornito dalla borghesia dominante per favorire l’arrivo della massa di immigrati, in attuazione del piano Kalergi, bufala tanto di moda sui siti web.
Se la narrazione della destra è bislacca, quella della sinistra pare frutto di un’analisi sbagliata del fenomeno. Chi è sceso in piazza non manifesta a favore del capitale globale e non ha alcuna intenzione di preservare i vantaggi economici di un’élite borghese, di cui non si ritiene parte. Teme invece di perdere quei pochi diritti civili e sociali, conquistati dopo grandi battaglie, la cui applicazione, come nel caso della legge sull’aborto, è spesso piena di falle.
I diritti sociali e civili appaiono oggi in discussione non tanto a causa dell’odio salviniano, quanto di una politica che si diletta a incolpare il passato. Matteo Renzi ha scoperchiato il vaso di Pandora abolendo una misura di civiltà come l’articolo 18, con la scusa che le tutele dei genitori toglievano il futuro ai giovani. L’abolizione della 194 potrebbe essere allora presentata come misura necessaria a garantire un corretto andamento demografico e il ritorno a una famiglia coesa, a solo scapito di vecchie donne egoiste, incapaci di considerare il benessere collettivo.
Scenari possibili che agitano il sonno di generazioni, in modo da formare una malinconia legata al timore di perdere ciò che in realtà non si è completamente ottenuto, ma solo assaporato. Naufragio di quei pochi passi in avanti che il nostro paese ha vissuto e per questo c’è chi sente necessario tornare a scendere in piazza.
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