Cinema
La dolcissima “Malafemmena” di Totò
È dello stereotipo la vulgata secondo cui la canzone “Malafemmena” sia stata scritta da Totò per Silvana Pampanini.
Non è così: la vera musa ispiratrice e destinataria di questa lirica d’amore era Diana Bandini Lucchesini Rogliani, la donna che Totò sposò e dalla cui unione nacque Liliana.
Effettivamente Totò durante le riprese del film “47 Morto che parla”, che ebbe come protagonista femminile la Pampanini, si innamorò di quest’ultima e la corteggiò insistentemente.
L’amore non sbocciò e si diceva, negli ambienti dello spettacolo, che per la forte delusione Totò le dedicò questa canzone.
La circostanza non poteva corrispondere al vero, perché nei versi è chiaro il riferimento ad un amore vissuto e fortemente passionale, seguito da un tradimento: non poteva, dunque, la bellissima canzone essere ascritta alla Pampanini, anche se quest’ultima, per civetteria, se ne appropriò, pur non avendo intrattenuto alcuna relazione con Totò.
L’effettiva destinataria era Diana, una quindicenne di cui Totò si innamorò a prima vista: aveva rispetto a lei diciotto anni in più ed era girovago per l’Italia, impegnato in spettacoli comici nei diversi teatri della penisola.
Si racconta che a Firenze, dove si trovava per la commedia “Follie d’estate”, ogni volta che si recava a piedi a teatro, nel breve tragitto dall’albergo cui soggiornava, era colpito da un manifesto nel quale era raffigurata una procace fanciulla dal viso perfettamente ovale, seno prosperoso, fianchi opimi, gambe turgide e bocca carnosa, cui porgeva con il braccio una bevanda.
Totò ogni volta che transitava sul quel marciapiede sostava pochi minuti, come se salutasse l’effige, con la chiara propensione di incontrare una donna dalle medesime fattezze.
E così fu.
Alla manifestazione teatrale delle “Follie d’estate”, Totò invitò il suo amico Raniero offrendogli un palchetto.
Era accompagnato da sua moglie Elena e dalla sorellastra Diana, rinchiusa in un collegio di suore, ma per l’occasione libera per la prima volta di assistere ad uno spettacolo teatrale.
Alla sua vista Totò ebbe un trasalimento, fu colpito dalla sua avvenente bellezza ed, incurante anche della sua giovanissima età, disse trafelato e sicuro di se’ al caro Raniero: ”questa signorina sarà la donna della mia vita.” “Signorina Diana, stasera reciterò per lei”.
Diana era come stordita e compiaciuta di quest’improvviso corteggiamento, non avendo giammai incontrato prima di Totò alcun uomo, essendo vissuta nel seno di un collegio di suore.
Furono invitati a cena successivamente allo spettacolo e Totò le sfiorò varie volte la mano,con un assenso della giovanissima che oramai aveva compreso chiaramente di aver colpito il cuore del suo assiduo corteggiatore.
Dunque Totò, come racconta nel bel libro Liliana De Curtis con Matilde Amorosi ”Malafemmena , il romanzo dell’unico, vero amore di Totò“ (vedi anche Lorenza Fruci Malafemmena la canzone di Totò prefazione di Renzo Arbore, Donzelli editore) fu vittima di Cupido che assurge alla forma partenopea de “o’lampo n’pietto” il lampo, il dardo della freccia di Cupido che trafigge nel cuore l’innamorato, quando si compie l’evento magico dello scambio languido e soffuso degli sguardi anelanti amore.
Dal carezzevole sguardo di Diana Totò sentì “o’lamp n’pietto”, quel colpo al cuore sintomatico di grande turbamento emotivo che gli faceva intendere che qualcosa di importante stava per accadere nella sua vita.
La sua estrema sensibilità gli preannunciava così che il destino lo stava per travolgere con avvenimenti lieti o dolorosi ai quali non si poteva opporre.
Così scrive nel suo diario Diana quando la sera ritorna in collegio dalle sue suore: ”stanotte non ho chiuso occhio ed all’alba mi sono messa a piangere, per essere rinchiusa in un posto che non mi piace, mentre fuori mi sta aspettando Totò… Non voglio rinunciare al mio sogno e prego la Madonna di aiutarmi. Non posso dimenticare il calore della bocca di Totò sulla mia mano e suoi occhi che mi fissano, come se volessero entrare dentro di me. Ci è riuscito perché io lo sento presente nel mio cuore e nella mia mente in cui fa da padrone…Ho portato in collegio il vestito rosa che avevo addosso a teatro e l’ho nascosto nell’armadio. Ogni tanto me lo guardo per rivivere le emozioni del mio primo incontro con Totò. Giuro di essere sua per sempre”.
Totò che era un galantuomo chiese la mano della fanciulla alla di lei madre, ma ebbe un netto ed ingiustificato rifiuto: gli fu detto che un saltimbanco ed un guitto non fosse un buon partito.
Ma Totò ordí un rapimento con la complicità della fanciulla che scappò dal collegio delle suore.
Fu un’intesa dominata dall’amore assoluto: Totò aveva sempre desiderato una donna che fosse sua dalla prima notte d’amore e che lui avesse il privilegio di deflorarla: cosa che fu un delirio d’amore per entrambi.
Ma era gelosissimo e possessivo e fu questo veleno a rovinare questa storia d’amore.
Non sopportava neppure che Diana fosse guardata ed osservata dagli altri. Diceva che anche con il pensiero la donna avrebbe potuto tradire e Diana, che lui chiamava nelle notti erotiche Mizuzzina, doveva vivere solamente per lui.
Una gelosia che diventava persecuzione, violenza: ottenebrato, Totò la rinchiudeva anche per giorni interi nelle camere d’albergo. Voleva sapere con insistenza se in passato avesse mai guardato un ragazzo, se si era lasciata toccare e persino quali sogni facesse.
Le diceva ossesso, timoroso e sospettoso: ”giurami che non ti farai baciare da nessun uomo, tranne che da me”.
Nacque Liliana, nome che le fu attribuito in ricordo di un grande amore di Totò per Liliana Castagnola, una giovane attrice fidanzata di Totò che, perché non volle sposarla, si avvelenò per amor suo. Da questo rimorso Totò fu perseguitato per tutta la vita e perciò alla figliola volle dare questo nome, in ricordo di una fidanzata che morì d’amore per lui.
A Diana, come Totò figlia di padre ignoto, le diede anche un cognome, perché alla bisogna così avveniva per i figli nati fuori dal matrimonio: Rogliani.
Ma, consapevole della sua ossessione, volle sentirsi un uomo libero ed approfittò della opportunità di ottenere dalla Bulgaria il divorzio da Diana.
Appena fu convalidato in Italia, Totò si sentì libero di amare le “passanti”, ballerine compiacenti che si donavano al galante capocomico.
Fu un giorno che Diana -che continuava a vivere con lui, nonostante il divorzio concesso- si ribellò a questa condizione di “marito fidanzato “ e fu inesorabilmente cacciata via da casa.
Furono anni terribili per Diana che, non potendo più sopportare i tradimenti di Totò, capitolò ai corteggiamenti di un avvocato, tal Tufaroli che fu il suo secondo marito.
Nonostante che Totò ebbe una lunga relazione con Franca Faldini, tra l’altro attrice anche nei suoi film, il grande amore della sua vita fu solo Diana, cui con grande signorilità Totò le riconobbe i diritti d’autore della sua canzone a lei dedicata, “Mizuzzina “, come è scritto nello spartito musicale registrato alla SIAE.
Con quel ricavato, oltre 8 milioni di lire, fu possibile comprare una casa per Diana e Liliana a Roma.
Così scrive Diana nel suo diario:”Totò è l’unico uomo con il quale sono stata felice nel bene e nel male, perché lo capisco solo adesso, anche le lacrime che ho pianto per lui erano benedette, perché davano un senso alla mia vita. Nell’ascoltare Malafemmena mi commuovo sempre e vengo assalita dalla rabbia per non aver lottato abbastanza per la nostra felicità.Che canzone stupenda! Grazie mio unico grande amore di avermela dedicata! Peccato che la mia faccia d’angelo sia segnata da rughe, ma per te io lo so sarò sempre a cchiu’ bella femmena “.
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