Costume
La calma dei filistei
Quando Roberto Saviano scrive o dice qualcosa, non vale il contenuto di ciò che scrive e dice – che, essendo risaputo, non avrebbe alcun bisogno di esser detto e meno che mai scritto – quanto il fatto che lui ritenga, ogni volta, di avere qualcosa da scrivere o da dire.
Le cose che scrive sono sempre interscambiabili con le interviste che concede e, delle une come delle altre, si potrebbe agevolmente fare a meno a favore delle foto per cui posa, le quali bastano e avanzano per una descrizione esauriente dell’uomo e dell’intellettuale.
Il coming out di cui ci ha fatto dono in occasione del centenario della fondazione del PCd’I è esemplare:
“Se dovessi scegliere una parte sceglierei quella di Filippo Turati”.
Saviano ce lo dice, ma l’unico che avrebbe potuto non saperlo è il Rip van Winkle di Washington Irving, l’uomo che dormì per vent’anni sotto l’albero ombroso e, tornato al villaggio, si dichiarò fedele suddito di Giorgio III; ignaro che nel frattempo, in America, c’era stata la rivoluzione.
Ma “Le style est l’homme même”, come diceva il conte di Buffon e, per quanto poco stile possa esserci nella scrittura e nella retorica di questo celebre giovanotto, ce n’è pur sempre quanto basta a misurare l’uomo.
E’ questo, come dicevo, ciò che conta.
Ecco dunque il pensiero di Turati, che Saviano raccoglie come un fiore di campo e porge ai suoi fedelissimi lettori:
“Ogni scorciatoia allunga il cammino giacché la via lunga è anche la più breve perché è la sola”.
Rappresenta, questo apoftegma, una variante di quello che mamma rimette a figlio quando impara a portar la bicicletta e che, da grande, campeggerà sul suo cruscotto:
“Chi va piano va sano e va lontano. Quando guidi pensa a me”.
E’ grazie al formidabile combustibile politico fornito da queste perle di saggezza secolare che il progressista italiano politicamente progredisce sulle rotaie del progresso nazionale. Un progredire circospetto e tuttavia inesorabile che inevitabilmente ci condurrà, domani, più o meno dove siamo oggi.
Saviano, come ogni progressista che si rispetti, è infatti un flemmatico.
Neanche questa è una rivelazione.
Perché mai dovrebbe affrettarsi?
Per andare dove?
Cos’è, di preciso, che gli manca adesso?
Per quale ragione al mondo un cambiamento dovrebbe, per lui, rappresentare un miglioramento?
Non è forse vero che, in fin dei conti, per uno come Saviano, le cose potrebbero solo andar peggio di come vanno ora?
Quale altro tipo di sistema sociale potrebbe garantirgli i privilegi di cui gode in questo?
Fretta?
E perché mai?!
Non esistono “balzi verso una società giusta”.
Ha ragione. Perché è proprio questa, e nessun’altra, la società giusta per lui.
La sua strategia, perciò, e quella di procedere strisciando.
Più lentamente possibile.
Al disperso che avanza a piedi nel deserto cercando disperatamente un’oasi, Roberto Saviano, che quel deserto lo attraversa in camper super attrezzato con aria condizionata e frigorifero fornito d’ogni ben di dio, suggerisce serenamente di non cercare scorciatoie.
Non credo si possa dare una descrizione migliore di un filisteo: uno che a Cristo sul Calvario avrebbe caldamente consigliato di prendersela con calma.
Uno, insomma, come Roberto Saviano.
p.s.
a seguire ecco ciò che Saviano ha scritto di Turati e poi ciò che di lui (…di Turati, voglio dire…ma anche, profeticamente, di Saviano…) ha scritto Antonio Gramsci, un secolo fa. Come si vede più calma di così, negli ultimi cent’anni, non ce la potevamo prendere…
“Se dovessi scegliere una parte, sceglierei la parte di Filippo Turati. E se dovessi scegliere una frase sceglierei quella che pronunciò a Livorno nel gennaio del 1921 per scongiurare la scissione delle sinistre. Fu inutile, la scissione avvenne, rivoluzionari e riformisti iniziarono a scannarsi. “Ogni scorciatoia allunga il cammino giacché la via lunga è anche la più breve perché è la sola”. Questa frase ha dentro l’angoscia e la lucidità della verità politica al di là dello slancio romantico. Che solo percorrendo con tenacia la via delle riforme, tenendo nei mezzi della pratica politica il fine della società nuova che si vuol creare è possibile ottenere un vero cambiamento. Il Socialismo delle riforme di Turati e della Kuliscioff di Nenni e Modigliani, di Treves e di Matteotti fu da subito consapevole che non esistono i balzi verso un società giusta ma solo un percorso di avvicinamento. Capirono meglio e prima di tutti che le fucilazioni e le dittature proletarie avrebbero generato un mondo peggiore di quello che volevano abbattere. E infatti così fu.”
Roberto Saviano, 25 gennaio 2021
“…un monumento di ipocrisia democratica e di sfacelo morale…Filippo Turati era deputato al Parlamento durante la guerra. Durante la guerra, la classe operaia italiana fu privata di ogni suo diritto: fu privata della libertà di stampa, della libertà di riunione, della libertà di sciopero, della libertà di “andare e venire”; il Parlamento fu privato delle sue prerogative fondamentali, della sua sovranità; i militanti della classe operaia furono spogliati di ogni garanzia civile, le loro persone caddero in balia dell’arbitrio dei poliziotti e degli ufficiali; nelle trincee milioni e milioni di cittadini furono degradati da ogni attributo umano, furono abbandonati al capriccio di pochi uomini, avidi solo di far carriera. Perché in questo periodo, perché in quei cupi anni di reazione e di dittatura militarista, Filippo Turati non sentiva di essere il “difensore della classe operaia” dalle congiure del silenzio, dalle diplomazie segrete, dalle disoneste parole di bugie? Perché in quegli anni Filippo Turati non fece servire la sua tribuna parlamentare per accusare la classe borghese dei delitti che andava compiendo, per far conoscere la verità, per smascherare le ideologie fallaci, per mostrare di quanto sangue e quante lagrime grondassero gli uomini che erano al potere? …Questi uomini, non che essere storici, non che avere il minimo di preparazione critica che si domanda a chi esplora gli accadimenti umani, questi uomini mancano persino di quel minimo di intuizione e di senso di umanità che si può domandare a chiunque dignitosamente voglia far parte della società degli uomini…Muli bendati, è il giudizio più dolce che si possa dare di questi uomini. Ma perché mai pretendono essi di difendere la verità, che non si sono curati di ricercare e di difendere quando la borghesia schiacciava il proletariato col tallone insanguinato dei suoi generali? Questa pretesa rende spregevoli moralmente i Turati, i Pozzani, i Nofri, come moralmente spregevole era il padre Bresciani per chi nel Risorgimento lottava per emancipare l’Italia dal dominio degli stranieri e dei preti.”
A.Gramsci, L’Ordine Nuovo, 12 gennaio 1921
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