Società
Italiani topi d’Europa
Sono tempi oscuri, impregnati di follia. Se non fosse tutto così tragico, ci sarebbe da piegarsi in due dalle risate tanto è, in questi giorni, il robusto e sfaccettato condensato di delirio. Individuale e collettivo.
Il Coronavirus non si mangia i polmoni. Degli italiani, il Coronavirus si mangia soprattutto il cervello.
Nessuno vuole sminuire, ci mancherebbe. Ma ciò che mi ha lasciato a bocca aperta, costringendomi a sbavare dal tanto stupore, è la pazzia che nel nostro Paese trasuda da questa vicenda. Che mi fa pensare che siamo diventati, nostro malgrado, le cavie da studiare per gli altri Stati.
Mi figuro, infatti, in questo momento analisti strategici, epidemiologi, ministri stranieri che stanno osservando e compulsando – numeri e dati in una mano e birra o whisky nell’altra – tutto quanto accade nel Belpaese. Sghignazzando da un lato e dicendo: “Guardiamo bene cosa fanno questi idioti, prendiamo i dati e di conseguenza attrezziamoci per non fare le stesse, esagerate e ipertrofiche, castronerie”.
Siamo, a mio avviso, un grande esperimento sociale a poco prezzo per il resto del mondo.
Quali le cause?
Innanzitutto la politica. Il vuoto assoluto riempito di vuoto spinto. Penso che mai, come in questi giorni, sia emersa l’indegnità di questa mandria di corti di senno, irresponsabili, inadeguati e cialtroni. In un momento in cui si sarebbe dovuto attivare un corale richiamo a un senso di responsabilità nazionale, da cui sarebbe derivato un rassicurante “senso della misura”, è partita la gara – folle, non trovo nessun altro aggettivo – a sciacallare sui social network di qualsiasi notizia catastrofica in potenza. Ed ecco il solito, disgustoso, a sciacallare; con altri a rispondergli che lo sciacallo è lui. E via con un concerto di misure roboanti, paracatastrofiche, prese senza concerto tra livelli istituzionali ma – anzi – in una sorta di infantile gara a chi la sparasse più grossa per evitare di farsi infilare dallo sciacallo più sciacallo degli altri. Uno spettacolo ignobile in cui si fa fatica a rintracciare un flebile sussulto di autorevolezza. La morte, definitiva, della politica.
Poi arriva la “libera informazione”. E qui siamo alla dissenteria cognitiva. Giornali una volta riferimento della borghesia o del progressismo divenuti sgrammaticati bollettini di sventura. Giornali della destra più becera che son riusciti a scavare ancora un po’ il fondo maleodorante in cui sguazzano da sempre. Titoli catastrofici, notizie urlate senza verifiche, contatori delle vittime o dei contagiati aggiornati minuto per minuto, contraddittorietà continua, spazio a narcisisti che si sentono novelli figli di un dio scientista, repressi omuncoli che fanno maratone televisive avendo polluzioni per ogni tragedia e via dicendo. La considerazione mesta è che – a parte forse solo una testata confessionale – non esiste più uno straccio, manco sgualcito, di autorevolezza giornalistica. Un disastro.
E poi ci sono, per l’appunto, gli italiani. Vittime di loro stessi. Popolo che si è fatto fottere i progressi che, con fatica, erano stati costruiti nel dopoguerra. Da un lato la demolizione sistematica della scuola pubblica e dell’Università sta portando a regime il disegno di analfabetismo funzionale di massa. Con il risultato che nessuno capisce più le basi elementari delle cose e svaligia supermercati come se non ci fosse un domani alle prime notizie di cautela.
Dall’altro lo smantellamento del Sistema Sanitario Nazionale, attraverso inefficienze, clientele, occupazione della politica in luoghi in cui dovrebbe stare solo la competenza scientifica e professionale e tagli continui, ha messo a nudo la fragilità del sistema di cura collettiva. Chi c’era in prima fila in questi giorni? Soprattutto i grandi e gloriosi presidi di sanità pubblica in un drammatico ed eroico affanno. Punto.
Siamo dei topi da grande laboratorio. In primis per quanto già detto: in Italia si sparano tamponi à gogo spargendo terrore? In Germania, per prendere un esempio a caso, si serviranno della nostra dabbenaggine e faranno di necessità, virtù. Prendendo misure più proporzionate. Non dobbiamo uscire dall’Europa. Noi italiani dovremmo uscire da noi stessi.
Ma c’è un altro aspetto, a mio avviso inquietante, della nostra idiozia collettiva. Lo chiamo con una sigla, P.T.R.: ossia Prove Tecniche di Regime. Insomma, se io fossi un aspirante dittatore, trarrei da questa follia psicosociale una grande ispirazione. Per ridurre il popolo a una mandria di pecoroni non serve più manco la minaccia del terrorismo. Per narcotizzare un popolo e ridurlo a fare tutto quello che si vuole faccia, basta instillare la paura irrazionale di un’influenza. Città pulsanti come Milano si trasformano d’incanto in luoghi da coprifuoco.
La sedazione sociale in Italia, in fondo, è un gioco da ragazzi: basta mettere assieme uno scienziato populista e disagiato, un sistema informativo servo di padroni senza principi e analfabeta, i social network e una classe dirigente mediamente decerebrata. La paura diventa ansia e l’ansia panico. Il popolo si spegne in un clic: lo si può fottere come pare e piace.
Non sto pensando a un complotto, sia chiaro. Non penso a nessun grande fratello. Penso solo a un grande bordello. Ma se un insegnamento, da questi pazzi giorni, lo si può trarre, è che così – italiani – non possiamo andare avanti. Cambiare, davvero, o morire. E non per un virus.
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