Società

Italiani: popolo di stranieri!?

11 Aprile 2024

Il fenomeno della mancanza di natalità in Italia – la più bassa in Europa – è ormai un tema di grande preoccupazione per il nostro Paese che sta attraversando il cosiddetto “inverno demografico”. Secondo gli ultimi dati dell’Istat, la fertilità in Italia è in costante calo da diversi anni, con importanti ripercussioni sul sistema economico. Una combinazione di fattori sociali, economici e culturali contribuiscono ad aumentare questo fenomeno: l’aumento dei costi legati alla vita, l’instabilità economica ovvero la precarietà del lavoro, l’aumento dei costi legati alla maternità/paternità per sostenere un bambino, il difficile equilibrio tra vita lavorativa e familiare perché le pressioni quotidiane e il ritmo frenetico del lavoro possono rendere complicato per le coppie trovare il giusto equilibrio tra carriera e vita familiare. Il ruolo genitoriale è vissuto come limite ai progetti di auto-realizzazione, spingendo le coppie a rinviare e in seguito a dover rinunciare alla procreazione, oltre ai continui cambiamenti culturali e l’evoluzione delle “diverse forme” di famiglia con un aumento dei casi di unioni non coniugali e stili di vita alternativi. Un numero sempre minore di bambini significa una riduzione della forza lavoro futura perché sono un bene della società anche se, volendo confrontare la visione dell’Italia con quella della Francia, mentre in quest’ultima gli alberghi o i ristoranti accolgono a braccia aperte le famiglie con piccoli a seguito, da noi i bambini nei luoghi pubblici sono spesso visti come un disturbo e vengono mal tollerati. A contribuire a questo dato, si rileva la controtendenza dell’aumento del numero di cittadini stranieri presenti sul territorio italiano, sia come residenti regolari sia come richiedenti asilo: flussi migratori spesso motivati dalla ricerca di opportunità di lavoro e di una migliore qualità di vita, spingono molte famiglie straniere a stabilirsi in Italia perché il nostro Paese è percepito a livello di immaginario collettivo come luogo di benessere e di facili guadagni, immagine che spesso s’infrange di fronte a una realtà che si presenta già difficoltosa per gli italiani, dinanzi alla scarsa presenza di lavoro non sempre conforme ai propri desideri. L’aumento del numero di stranieri nel nostro Paese è evidente a partire dalle classi scolastiche, in cui sempre più bambini di altra nazionalità, lingua e cultura si iscrivono alle scuole italiane condividendo l’ambiente educativo, fenomeno che, se da un lato arricchisce la nostra società dal punto di vista culturale, presenta anche delle sfide e delle difficoltà da affrontare, perché il livello di istruzione di stranieri e italiani è caratterizzato da un forte dualismo e rappresenta una sfida per gli insegnanti, che devono adattare le proprie metodologie didattiche per rispondere alle esigenze di classi sempre più numerose ed eterogenee. Allo stesso tempo, l’integrazione dei bambini stranieri può essere complicata dalla presenza di pregiudizi e stereotipi da parte degli altri studenti e della società in generale. È quindi fondamentale promuovere una cultura dell’accoglienza e del rispetto della diversità per favorire l’integrazione e il successo scolastico di tutti gli alunni, italiani e stranieri. Abbiamo però ascoltato il ministro Matteo Salvini che, in una pausa dalla progettazione del ponte sullo stretto di Messina, ha affermato che occorre mettere un tetto al numero di stranieri nelle classi italiane a cui gli ha fatto eco il Ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, spiegando che “La maggioranza degli studenti delle classi deve essere italiana”. Come spiega un rapporto del Ministero, pubblicato lo scorso agosto, gli Uffici scolastici regionali «sono tenuti a facilitare una distribuzione equilibrata degli alunni con cittadinanza non italiana tra le scuole”, tuttavia sempre sottolineando le differenze esistenti in Italia, la stragrande maggioranza di alunni studenti stranieri è presente al Nord mentre si rileva il dato più basso in Sardegna, Basilicata e Puglia. Lo stesso Ministro Valditara sostiene che “ Se si è d’accordo che gli stranieri si assimilino sui valori fondamentali iscritti nella Costituzione ciò avverrà più facilmente se nelle classi la maggioranza sarà di italiani, se studieranno in modo potenziato l’italiano, se nelle scuole si insegni approfonditamente la storia, la letteratura, l’arte, la musica italiana, se i genitori saranno coinvolti pure loro nell’apprendimento della lingua e della cultura italiana e se non vivranno in comunità separate». Infatti le diverse collettività in Italia, cinese, filippina, araba risultano molto chiuse al loro interno e sono rare le occasioni di scambio ed incontro esterno pur parlando bene l’italiano. Assistiamo a sempre nuove modifiche nella progettazione scolastica che certamente potrebbero arricchirsi delle reciproche differenze, grazie alla cura quotidiana che si ha nell’assicurare sempre più solide competenze disciplinari per tutti, sia nell’accoglienza di alunni stranieri sia nella cura della relazione educativa ma, siamo sicuri che l’Italia sia pronta ad essere definita un paese per stranieri oltre che non essere un paese per giovani visti i cali di natalità? Dobbiamo rispondere sinceramente e con un grande sforzo di onestà intellettuale alla domanda: siamo disposti ad accogliere a pieno titolo nel nostro Paese, nella nostra società, nella nostra quotidianità, nella nostra vita persone diverse da noi per lingua, credo religioso e tradizioni culturali definiti italiani per nascita o “per acquisizione”? Potrà realizzarsi una completa integrazione? Spesso ascoltiamo nei dibattiti televisivi frasi che lasciano sgomenti…gli stranieri vogliono acquisire la cittadinanza italiana ma non diventare italiani. Sebbene viviamo in un contesto storico e sociale dinamico in continuo mutamento e rimescolamento, si continua a pensare la composizione della popolazione in termini dicotomici: gli italiani da una parte, gli stranieri dall’altra. Basti pensare ai luoghi di associazionismo, nelle occasioni di incontro e di aggregazione, quanta disponibilità per ambedue le culture c’è di partecipare relazionandosi attivamente e favorendo un pieno processo d’integrazione? Dovremmo abrogare definitivamente l’uso di quel noi e loro che fino ad ora ci ha distinti e separati peccato che a volte persino i proverbi e i modi di dire ci hanno trasmesso, in genere attraverso la tradizione orale, quella saggezza popolare che ha rappresentato per secoli il senso comune ovvero il buon senso della cultura popolare. Una cultura prevalentemente rurale, la nostra, dato che l’Italia è sempre stata un Paese a prevalente vocazione agricola e proprio alla più antica tradizione rurale dobbiamo il detto “MOGLIE E BUOI DEI PAESI TUOI” nel quale l’una e gli altri rappresentano una fondamentale scelta di “futuro”, si direbbe una scelta “a chilometri zero”.  La sola idea di poter sposare una persona di un Paese straniero non è ancora contemplata se si pensa che persino contrarre matrimonio in un paese o città differente, rende di fatto, il povero bue della valle accanto, uno straniero. Dobbiamo quindi imparare una nuova grammatica e una nuova estetica dell’italianità, acquisire pienamente il fatto che si può essere italiani con la pelle scura, con gli occhi a mandorla, con il velo, il turbante e con un cognome irto di consonanti. La mancanza di natalità in Italia e l’aumento del numero di stranieri presenti nel Paese sono fenomeni strettamente correlati che pongono delle sfide e delle opportunità per la nostra società. Certamente il cammino per arrivare ad una piena integrazione sarà lungo e tortuoso e troverà ostacoli d’ogni tipo lungo la strada stretta e disagiata. Forse tali approcci relazionali appariranno tra qualche decennio come lontani ricordi, intanto davanti a questo sconvolgimento epocale che si sta verificando nel mondo intero, queste tematiche lasciano pensare… ma imparare a convivere e a confrontarci con le differenze è fondamentale quanto affrontare la realtà con lungimiranza e apertura, per rimanere veramente fedeli alla nostra identità di esseri umani e di cittadini del mondo.

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