Diritti

In Australia le guardie saranno autorizzate a picchiare i rifugiati

17 Aprile 2015

C’è sempre quel periodo in cui l’immigrazione diventa il tema principale. Questo accade ormai da anni, a intervalli più o meno regolari. Da un lato la trasformazione geopolitica, dall’altro le esigenze elettorali, dall’altro ancora i timori inculcati e i conflitti sempre accesi in tema di competizione, quasi perdessimo tempo a vivere piuttosto che gareggiare l’uno contro l’altro per una supremazia che non c’è. Tutti elementi che fan divampare la questione immigrazione trascinandola verso l’inspiegabile e contorto pensiero dell’esclusività. Solo in Italia.

E quindi “solo in Italia gli immigrati hanno più privilegi”, ma anche “solo in Italia le cooperative lucrano sui migranti”, o “solo in Italia la stampa marcia sui reati degli stranieri”, e poi “solo in Italia c’è la tortura”, perché ce l’ha detto Strasburgo.

In questa girandola di emozioni e di visioni autarchiche, tutte rigorosamente “made in Italy”, inquadriamo la sicura istrioneria di un paese unico come il nostro in un’immaginario surreale e caricaturista, in cui Mare Nostrum è davvero solo nostro, e con esso problemi, collassi, malfunzionamenti, xenofobie, arretratezze, scontri sociali e malcontento generale.

Forse potremmo iniziare a pensare che il problema ci riguardi eccome, ma non per grazia divina o per scelta esclusiva. Forse dovremmo iniziare a pensare che il problema prima ancora che riguardarci ci includa, forse dovremmo iniziare a capire quanto ampi siano i suoi confini.

A proposito di confini infatti, una crepa interessante ci permette di vedere cosa succede altrove: per una volta lasciamo l’Europa, per una volta non guardiamo gli States. Questo è il turno dell’Australia, la terra lontana, il nuovo El Dorado del migrante “upper class” medio – ché si sa, a ogni migrante spetta il proprio El Dorado secondo ordine meritocratico.

In molti ormai abbiamo amici in Australia, partiti seguendo l’esodo degli ultimi anni: «Il fenomeno migratorio che nel 2013-14 ha visto arrivare in Australia più di 20.000 giovani italiani, supera costantemente da 2 anni la quota di italiani emigrati in Australia nel 1950-51». Questo a detta del Rapporto Italiani in Australia del 2014, presentato all’Istituto Italiano di Cultura di Sydney durante lo scorso novembre.

La terra dei canguri è meta inflazionata, soprattutto dai giovani. Il visto vacanza-studio offre infatti ampi margini temporali di permanenza, e questo sta portando a trasformare parte della migrazione temporanea in definitiva«Sono 1.608 i cittadini italiani che nell’ultimo anno sono stati sponsorizzati da aziende australiane. Non una semplice mobilità temporanea – si legge nel Rapporto- ma bensì un movimento migratorio permanente».

L’approfondimento però non vuole incentrarsi sull’esodo italiano in Australia, ma sulle politiche australiane in fatto di immigrazione. Ad alcuni di voi sarà sicuramente capitato di vedere in TV, per qualche minuto o in versione integrale, la serie-reality sui doganieri australiani all’aeroporto, e capire quali siano le restrittive disposizioni del sistema.

Quella, se pur “real”, è pur sempre televisione, ok. Questa che segue però è la realtà, quella realtà dove le telecamere e le luci della ribalta non sono proprio ben accette come in aeroporto. La Corte Suprema Australiana ha infatti proposto l’eventualità di dare maggiori “poteri” agli ufficiali in servizio presso i centri immigrazione. Le concessioni sarebbero quelle di poter usare metodi violenti qualora gli ufficiali lo dovessero “ritenere necessario”. Queste disposizioni dovrebbero e vorrebbero essere introdotte soprattutto nei confronti dei richiedenti asilo, verso i quali potrebbero essere consentite pratiche di violenza senza alcun limite, a discrezione del ‘torturatore’.

Inutile dire quanto questa notizia geli il sangue, anche perché il centro rifugiati situato nell’Isola di Nauru, in Micronesia, è già stato più volte al centro di sospetti e di scandali atti ad evidenziare abusi reiterati nei confronti dei rifugiati.

Durante le scorse settimane si sono registrati disordini al centro di prima accoglienza di Darwin, dove gli immigrati hanno acceso forti proteste nel vano tentativo di evitare il trasferimento a Nauru, passando anche attraverso atteggiamenti autolesionisti.

Il senatore dei Verdi Hanson-Young, ha riferito che durante gli scontri della settimana scorsa «una donna incinta avrebbe tentato il suicidio per ben due volte nell’arco di un giorno», mentre un portavoce del DASSAN -Darwin Asylum Seeker Support and Advocacy Network- ha specificato come ci siano stati ben 25 casi di autolesionismo nella sola giornata di mercoledì 8 aprile, come documentato parzialmente da questo video trasmesso dall’emittente ABC. Nel video si scorge un gruppo di “asylum seekers” raggruppati su una scala, mentre una donna giace a terra urlando. Tutto questo per evitare di finire sull’Isola di Nauru o a Manus Island, in Papua Nuova Guinea, dove lo scorso febbraio un immigrato iraniano di 23 anni, Reza Barati, fu trovato morto in seguito a un violento pestaggio, generando forte indignazione da parte dell’opinione pubblica.

La violenza che regna nei centri di Manus Island e Nauru, dove un rifugiato può rimanere -secondo la vigente normativa australiana- anche anni, ha portato negli scorsi mesi la comunità australiana a protestare vivacemente con manifestazioni congiunte in tutto il paese, contro la rigida normativa del governo che più volte è stato accusato di usare metodi poco ortodossi, mentre diverse sono ormai le segnalazioni di tortura.

Stephen Charles, ex giudice della Corte d’Appello di Victoria fino al 2006, in una sua intervista al Guardian si è detto molto preoccupato della tendenza legislativa australiana in questione di diritti umani e di immigrazione: «Lo vediamo negli Stati Uniti, dove man mano casi simili hanno portato sempre all’assoluzione dei responsabili» ha tetto Charles, «queste modifiche alla legge sui migranti entreranno in vigore per autorizzare le guardie a picchiare a morte i rifugiati politici, semplicemente basandosi sulla loro ragionevolezza nel credere che sia necessario … fare così».

Il presidente della Commissione dei Diritti Umani australiana, Gillian Triggs, ha puntualizzato come sia «molto difficile dimostrare un intento personale di malafede di un ufficiale in servizio che agisce durante il proprio lavoro».

Insomma, immigrazione e tortura problemi “solo per noi”? Non proprio. L’idea è che il flusso migratorio a cui stiamo assistendo sia il frutto di un grosso cambiamento globale e non di piccoli traumi nazionali, come magari poteva avvenire un tempo. Perché se è vero che l’ondata immigratoria nelle nostre parti ha portata eccezionale, è altrettanto vero che gli italiani emigrano in Australia più che negli anni del dopoguerra, ed è altrettanto vero che la tortura è qualcosa dal sapore certo osceno, ma anche globale e radicato, anche e soprattutto in paesi civili.

In data 9 marzo 2014, in seguito all’indagine del portavoce ONU Juan Mendez sulla situazione dei diritti umani in Australia, lo Human Rights Law Centre ha diffuso un comunicato stampa in cui per voce del suo direttore legale Daniel Webb spiegava che  «La Convenzione proibisce la tortura e vieta di sottoporre le persone a trattamenti crudeli, inumani o degradanti», aggiungendo come la relazione Mendez confermi che «lasciando le persone chiuse fino a tempo indeterminato in condizioni spaventose su un’isola remota, l’Australia non riesce a soddisfare questo standard di base». Webb ha inoltre ricordato che «L’Australia ha firmato la Convenzione contro la tortura 30 anni fa. Lo abbiamo fatto perché, come nazione, abbiamo concordato con gli importanti standard minimi di trattamento è garantita. Eppure eccoci qui 30 anni dopo -prosegue Webb- mentre violiamo consapevolmente tali norme e causiamo gravi danni alla nostra reputazione».

E pensare che laggiù non c’è neanche la Corte di Strasburgo.

 

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