Religione

Imparare dall’Indonesia

6 Settembre 2024

Il 9 febbraio 2018 una polemica verbale oppose Giorgia Meloni al direttore del museo Egizio di Torino Christian Greco. Il direttore aveva stabilito un ingresso scontato alle coppie di lingua araba. Giorgia Meloni si era risentita perché a suo dire era una discriminazione contro i cristiani e chi professa altre religioni. In rete è ancora visibile un video in cui Greco si confronta con Giorgia Meloni ricordandogli che lui cercava di favorire cittadini di lingua araba e non credenti musulmani (sovrapporre le cose è sintomo di ignoranza), tant’è che in Egitto vivono due milioni e mezzo di copti, arabi cristiani.

Chissà dunque cos’avrà pensato la nostra presidente del consiglio vedendo in questi giorni Papa Francesco varcare la soglia della moschea Istiqlal della capitale indonesiana collegata alla Cattedrale cattolica di Nostra Signora dell’Assunzione, posta di fronte, da un tunnel sotterraneo, chiamato “tunnel dell’amicizia”, per facilitare gli spostamenti da un edificio all’altro e promuovere la convivenza religiosa.

In Indonesia vivono oltre duecentottanta milioni di persone, il 90% di fede islamica. E’ proprio questo il paese al mondo con la più alta percentuale di credenti musulmani.  Nessuno ha mai pensato di imporre la sharia e di costruire uno stato confessionale. Il motto nazionale indonesiano suona “Bhinneka tunggal ika” (letteralmente “Molti, ma uno”), a governare più di milletrecento tribù, ciascuna con cinquecento differenti gruppi etnici e linguistici, con sei religioni principali (islam, confucianesimo, buddismo, induismo, cattolicesimo, altre professioni cristiane) e varie altre credenze indigene legate agli ambienti tribali.

Vi è un elemento chiave nell’approccio dell’Indonesia all’armonia interreligiosa: è il concetto di Pancasila, il fondamento filosofico della nazione, stabilito dal padre fondatore del Paese, Sukarno, nel 1945, e che consiste in cinque principi: la fede in un unico Dio, l’umanità sociale, l’unità dell’Indonesia, la democrazia sociale e la giustizia sociale. E’ la base filosofica fondamentale dello Stato ed è anche integrata nella costituzione. Si tratta di pilastri che non solo guidano il governo della nazione, ma promuovono anche un’identità condivisa tra gli indonesiani, indipendentemente dalla loro provenienza religiosa o etnica.

Ad accogliere il papa all’aereoporto di Jakarta il 2 settembre ci ha pensato il ministro per gli Affari Religiosi Yaqut Cho-Il’ Qoumas.

Nella cattolicissima Italia non abbiamo nemmeno una legge per la tutela della libertà religiosa, nell’islamica Indonesia esiste nel governo un ministero dedicato al coordinamento nazionale della dignità e della libertà del pluralismo religioso.

Tutto risolto? Proprio per nulla.

Nonostante la natura prevalentemente aperta e inclusiva dei musulmani indonesiani, ci sono elementi all’interno della società che resistono all’integrazione delle culture locali e promuovono la divisione e parecchie discriminazioni.

La sfida all’intolleranza e al fanatismo è tutt’altro che vinta.

Ma la direzione è chiara e la visita del Papa l’ha resa ancora più esplicita.

A Milano tutti ricordano il presidente indonesiano dell’Inter, Erick Thohir.

Nel 2014 festeggiò la qualificazione all’Europa League della Beneamata con un tweet: “Grazie ad Allah siamo in Europa”.

E Stefano Bruno Galli allora capogruppo della Lista Maroni in regione Lombardia, diede fiato al trombone per sentenziare: “La gratitudine espressa da Thohir al dio (minuscolo, sic) dell’Islam suona come uno sgarbo nei confronti delle tradizioni civiche dei milanesi e dei lombardi”.

Certo che eravamo nel 2014. Oggi andiamo in tutt’altra direzione.

Infatti Giorgia Meloni oggi è presidente del Consiglio e Vannacci, deputato europeo della Lega, è stato eletto dagli italiani con una valanga di voti.

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