Germania

Il Tavecchio dei Tedeschi

16 Novembre 2017

Circa tre lustri fa, il Presidente della federazione calcistica tedesca (DFB) era una specie di Tavecchio. Si chiamava Gerhard Mayer-Vorfelder ed era un potente politico della vecchia CDU di Helmut Kohl. Come Tavecchio, aveva una visione piuttosto elastica del politically-correct, ma siccome era un po’ più colto (non che ci voglia molto) invece di “Optì Pobà”, disse qualcosa di addirittura un po’ più grave; commentando in un’intervista il trionfo del ’98 della nazionale francese multiculturale, dichiarò qualcosa come “se noi avessimo mantenuto le colonie (!), faremmo giocare lo stesso solo giocatori germanici“. Disse proprio Germanen; nella Germania di oggi basterebbe questo per vedersi imporre le dimissioni.

A quel tempo il calcio tedesco era bruttarello, la gente non vi si appassionava, e in federazione ci si rese velocemente conto che il secondo posto dei mondiali di Corea-Giappone (2002) era arrivato solo grazie ai miracoli di Oliver Kahn e a qualche botta di culo. Si comprese che era necessario un rinnovamento strutturale e culturale, anche perché non ci si poteva avviare verso i Mondiali in casa in quelle condizioni. A Mayer-Vorfelder, nonostante fosse ancora potentissimo, venne affiancata una persona per bene, Theo Zwanziger, che diede inizio ad un grande cambiamento.
Nel frattempo tutto il Paese stava cambiando.
Il governo rosso-verde di Schröder-Fischer, pur tra mille difficoltà, approvava la Zuwanderungsgesetz (legge sulla migrazione) e lo ius soli (!).

Nell’autunno del 2004, dopo il disastro degli Europei in Portogallo, la nazionale venne assegnata a due ex-calciatori conosciutissimi in Italia, in particolare a Milano. Jürgen Klinsmann divenne allenatore e rivoluzionò allenamenti, ritmi, schemi, priorità. Introdusse fisioterapeuti, preparatori atletici californiani e si liberò dei mammasantissima della Federazione, spesso legati al Bayern di Monaco; si prese come secondo l’allora sconosciuto Jogi Löw, concedendogli enorme spazio nelle scelte tattiche. Klinsmann impose inoltre Oliver Bierhoff come manager e organizzatore dei Mondiali. A 36 anni. (Per inciso qui è bene ricordare che nel 2014 il nostro Paese ha nominato presidente del Comitato Organizzatore delle Olimpiadi Roma un certo Luca Cordero di Montezemolo, già presidente di tutto e che avrà 75 anni nell’anno olimpico).
Il rinnovamento però, non si fermò sul campo, dove Klinsmann, ai veterani Ballack e Lehmann (non Kahn) affiancò molti giovani giocatori, a cominciare da Schweinsteiger e Podolski; la Sommermärchen (la fiaba estiva) del 2006 si spezzò solo in semifinale, per il capolavoro di Grosso e di Pirlo. (A proposito: quest’ultimo, in Germania, è visto semplicemente come IL calcio).

Il rinnovamento venne infatti accompagnato da una quantità enorme di attività e progetti intorno al campo, che continuano ancor oggi e coinvolgono federazione, nazionale e squadre di club. Vale la pena di elencarli alla rinfusa, senza dimenticare che subito dopo il Mondiale Meyer-Vorfelder, il Tavecchio tedesco, andò finalmente in pensione.
La fondazione di 390 scuole calcio e 28 accademie, con il coinvolgimento di 14.000 ragazzini; da lì vengono Müller, Özil, Neuer, Khedira, Götze, Reus, Kroos e tanti altri.
La lotta serrata all’estremismo di destra (il Dortmund, per dire, spende qualcosa come 300.000 euro l’anno per progetti specifici)
Il sostegno all’universo femminile nel calcio: la nazionale e i club acquistano rilevanza e dignità (partite in televisione, sponsor, sussidi – eh sì, anche sussidi). Oggi la nazionale femminile fa 30.000 spettatori a partita, ci sono donne telecroniste e da quest’anno un arbitro donna in Bundesliga.
Le campagne sulla depressione (dopo il suicidio del portiere Robert Enke nel 2009) e per il coming-out degli omosessuali (questa, ancora con poco successo a dire il vero).
La cultura dello stadio, per altro in modo diverso dal celebrato modello inglese, dove il problema della violenza è stato affrontato portando i biglietti a 70 sterline. In Germania si mantengono invece i settori con i posti in piedi (sui 15 euro) e si può continuare a bere birra e Glühwein (vin brulé), giacché lo stadio non è un museo e deve essere aperto a tutti gli strati della società. Nell’ultima stagione 17 stadi su 18 nella Bundesliga hanno registrato una vendita media di biglietti superiore al 90%!
La selezione degli stranieri in campionato. Sono grosso modo la stessa percentuale della Serie A ma mentre in Italia i grandi club si affidano soprattutto all’usato sicuro (sudamericani sui 30 anni), in Bundesliga arrivano soprattutto ventenni polacchi, marocchini, francesi, turchi, coreani, albanesi, ghanesi, italiani (questi ovviamente ignorati dalla FIGC): la multiculturalità della Bundesliga, insomma, non è artificiale, ma riflette la multiculturalità della società stessa.
L’impiego dei giovani, in campo. Lasciando perdere il Bayern, mondo a sé stante, Lipsia e Dortmund mandano regolarmente in campo degli “undici” con 22-23 anni di media. Quelli che poi vanno a giocare in Nazionale.
L’attenzione fuori dal campo. Per quanto a qualcuno possa sembrare un atteggiamento buonista, le società mandano a scuola i ragazzini delle giovanili. Oggi nella Bundesliga la percentuale di calciatori con maturità liceale è superiore a quella della media del Paese. Visto che uno su mille ce la fa e visto che, anche chi ce la fa, deve poi firmare contratti milionari circondato da squali, beh, non è una cattiva idea.

Si potrebbe continuare. Credo che valga la pena infine ritornare alla questione della multiculturalità: gli effetti dello ius soli dopo 13 anni di approvazione della legge sono evidenti. Nel calcio tedesco e nella società tedesca. Özil, Boateng, Khedira, Tah, Rüdiger, Gomez, Gündoğan, Mustafi, Sané hanno la faccia dei compagni di scuola dei nostri figli. A Gauland, leader del partito di destra AfD, che in un dibattito televisivo lamentava come in alcuni quartieri quasi “non si vedono tedeschi”, Angela Merkel ha semplicemente risposto: – ma Lei come fa a saperlo? Sa per caso riconoscere un tedesco dalla faccia? Dal colore della pelle?

Credo si possa davvero concludere che i successi della nazionale tedesca sono figli di questa realtà. In Italia si cominci quindi a cacciare Tavecchio, dare responsabilità a dirigenti che a calcio abbiano giocato ed approvare lo ius soli. Poi vediamo.

P.S. Siccome è pur sempre una partita di calcio e la palla è rotonda, se 3 anni fa Götze non avesse fatto quel capolavoro ai supplementari (a 21 anni!) e ancor prima, nel secondo tempo Higuain non si fosse stupito del regalo di Kroos e avesse centrato la porta, la Germania di Löw sarebbe ancora a zero títuli. Ma questo – paradossalmente – non conta così tanto.

 

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