Società
Il Piemonte sta dando un calcio al merito e alla competenza
Le recenti uscite degli esponenti della nuova Giunta e Consiglio regionale del Piemonte che sono discriminatorie per i lavoratori e le aziende italiane non piemontesi fanno rimanere basiti. La storia di questa regione è fatta di faticosa ma feconda integrazione.
Da figlio del Sud negli anni ’90 inseguivo il mito di Torino per lo studio universitario e il confronto con una mentalità profondamente diversa.
Oggi come testimoniano periodici studi del Comitato Rota che analizza le traiettorie di sviluppo urbano dell’area metropolitana torinese l’attrattività del Piemonte è cambiata. Si viene a studiare al “Poli” dal Sud ma anche da più lontano e oltre frontiera (circa il 9% degli studenti sono stranieri).
Non credo che le ragioni, in una società più globalizzata come l’attuale, siano cambiate rispetto a 30 anni fa. Si emigra non tanto per avere migliori professori, ma per confrontarsi con una realtà diversa, per una sfida prima di tutto personale rispetto ai propri obiettivi di vita ma anche per acquisire una mentalità diversa. Per avere delle opportunità di crescita personale.
Ai miei tempi dopo la laurea si fuggiva da Torino. Non era una città così attraente dal punto di vista della qualità della vita e delle opportunità. Ma diciamolo pure, alcuni aspetti della cultura piemontese dopo un percorso di studio di quattro o cinque anni magari non erano digeriti. Si percepiva già allora un atteggiamento di chiusura nonostante qualche professore di meccanica razionale facesse – quasi a mo’ di ripicca – lezioni esclusivamente in dialetto salentino.
La vicina Milano appariva culturalmente più aperta e ricca di opportunità.
Torino è profondamente cambiata. E’ molto cambiata anche la sua classe dirigente dopo un ciclo virtuoso di quasi tre decenni di cambiamento.
Mi è capitato di insegnare presso gli atenei torinesi e ho scoperto che i nuovi italiani e gli stranieri spesso, oltre che più preparati, hanno più rispetto delle istituzioni e della nostra stessa lingua. Ancora oggi la spinta di chi emigra per avere opportunità di vita migliori è talmente forte che vince i pregiudizi.
Chi emigra fa forza solo sulla propria volontà e capacità, non ha reti di relazioni locali, un cognome che apre le porte. Non ha nulla ed è una forza inarrestabile che dove trova un muro lo abbatte, o più semplicemente viste le condizioni prende un’altra strada in un luogo migliore.
Un gioco interessante sarebbe vedere cosa hanno fatto nella loro vita chi ci rappresenta. Se nella loro vita hanno dovuto confrontarsi solo con le proprie capacità, senza aiuto alcuno.
Nelle ultime settimane come cittadini stiamo scoprendo il valore della Giunta regionale neo eletta e alcune polemiche su decisioni alquanto pellegrine dei primi cento giorni mettono la curiosità di capire chi è chi ci amministra.
I curricula dei nuovi amministratori regionali dicono tutto: mediocri, non supererebbero concorsi e non sarebbero assunti da nessuna azienda. L’assessore al bilancio (mica quisquiglie, è l’analogo di un amministratore delegato di una azienda con qualche migliaio di dipendenti) per esempio, è un ex calciatore che pubblicamente ha detto nelle settimane scorse che bisogna promuovere “cluster olistici tridimensionali” davanti ad imprenditori dell’aerospazio, confondendo, evidentemente, alcune basi di geografia economica con quelle di un corso per massaggi.
Forse come calciatore soffriva spesso di crampi.
Ecco, siamo davanti ad una classe dirigente inadeguata che supera ampiamente il divario tra Nord e Sud e sfonda la dimensione del ridicolo.
Nelle società tribali la chiusura all’esterno serviva a far sopravvivere la tribù. Da Cristoforo Colombo in poi le società chiuse in se stesse soccombono. E questo l’imprinting ideologico del nuovo sistema di potere regionale: senza costruire muri, prima i piemontesi.
Mi chiedo se una regione, che si è sempre fatta vanto della propria capacità di innovazione (che richiede competenze, quindi cervelli, e i neuroni non hanno un marchio di provenienza) e di buona e lungimirante amministrazione pubblica, possa affidarsi a queste mani.
Una volta le varie parti politiche avevano delle classi dirigenti e dei loro riferimenti nella società, nei ceti professionali e produttivi da cui attingere per ruoli direttivi. Evidentemente sono tutti in panchina e rimangono in campo i calciatori di serie C.
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