Governo

Il nuovo che arretra

26 Settembre 2023

Ho rivisto in questi giorni un film considerato forse minore tra i capolavori di Fellini ma che invece a me sembra uno dei più visionari e più proiettati nel futuro di quanto lo stesso autore potesse immaginare.

Si tratta di Prova d’orchestra, del 1979, grande allegoria di un periodo di sbandamento del nostro paese, che non capiva più dove stesse andando, tra innovazioni di costume e terrorismo, tra antiche gesta risorgimentali e una giovane Repubblica di appena trent’anni che scopriva la libertà fuori dagli schemi.

L’orchestra dà il suo meglio se è condotta da un direttore, il quale ne coglie gli equilibri tra le sezioni e interpreta la partitura dell’autore che l’ha scritta, in un gioco di bilanciamenti e di scambi che a chi ascolta appaiono come un miracolo. Spesso, all’interno della stessa orchestra, quest’equilibrio sfugge, proprio perché si vive il tutto dall’interno. Io ho lavorato in passato nei cori della RAI e di alcuni teatri e la visione d’insieme che può avere l’ascoltatore, l’artista sul palcoscenico non ce l’ha. Il direttore deve proprio coordinare il tutto affinché la magia dell’esecuzione sia completa.

Ora, in quel film, la prova dell’orchestra, un organico composto da anziani e giovani – i più anarchici che non vogliono riconoscere il potere del direttore -, a poco a poco si trasforma in un caos. Ma a fare da sottofondo misterioso a questo caos, in un locale antico e, forse, pericolante dove si fanno le prove, è un rumore sordo e grave che si sente di tanto in tanto.

Questo rumore è un’enorme, felliniana, palla di ferro che serve per demolire le costruzioni. E arriva il punto, quando il parossismo del caos interno alla prova è giunto al massimo, in cui la palla di ferro sfonda il muro della sala prove e provoca morti e feriti. La povera e dolce arpista ci rimette la buccia. Aveva detto “Ma dove va la musica quando non suoni più?”.

Tutti restano scioccati per l’evento e si ritrovano smarriti perché hanno sottovalutato quei tremori e quei rumori gravi e sotterranei, non capendo cos’era, per poi accorgersene troppo tardi. Il crollo è la metafora dell’inabissamento di tutto ciò che, anarchicamente, ha voluto prendere il posto della necessità di un ordine per dar corpo alla bellezza, anche perché se non c’è chi suona la partitura resta muta, solo geroglifici sulla carta riservati agli iniziati che li comprendono.

Era il 1979. A rivederlo oggi non sembra poi così datato. Ritroviamo le stesse anarchie, la stessa mancanza di rispetto, la stessa supponenza di molti italiani che urlano, si dimenano, parlano sugli altri, insultano, proclamano e rivendicano con orgoglio la propria ignoranza, la quale, nel frattempo, è stata sdoganata dai media che ormai hanno reso gli ignoranti dei veri maîtres-à-penser: filosofi imprevedibili fino a qualche anno fa, che pretendono il loro momento di gloria pubblica, soprattutto raggiungendo i posti del potere, quelli del direttore che dovrebbe coordinare l’orchestra per dar luogo al miracolo della bellezza.

Sentire gli urli di Salvini, la voce sgraziata di Meloni, le considerazioni dei suoi ministri (ma ministri de che?), la perenne campagna elettorale che manda in caciara qualsiasi cosa, esattamente come gli orchestrali del film di Fellini, copre il rumore di fondo della palla di ferro che sta per arrivare per distruggere tutto.

Il rumore si avvertiva, anche prima, adesso sta diventando un crescendo sempre maggiore, con i migranti che si moltiplicano esponenzialmente, i risparmi che si assottigliano sempre più, le opere pubbliche che non vengono mantenute, ponti Morandi che crollano, territori che scompaiono per inondazioni a causa degli abusi che su quei territori sono stati commessi, giovani generazioni irrecuperabili e imbestialite che usano i telefoni per riprendere gli stupri commessi e postarli sui social, anziani impauriti che non sanno come difendere i pochi soldi delle loro pensioni davanti agli aumenti del costo della vita, disabili che, ancora più impauriti, si vedono rimandare di mesi le cure che spetterebbero loro, vivendo in continua emergenza, investitori che si vedono cambiare le regole durante il gioco, ipocrisie perenni della politica, una maggioranza che fa finta di niente e preferisce occuparsi delle minuzie senza affrontare i veri problemi e urla slogan di triadi come diopatriaefamiglia in un paese dove le famiglie, soprattutto quelle dei politici al potere, divorziano, un’opposizione inerte che litiga, che dice io sono meglio di te, bulli fiorentini che vogliono emergere e che fondano partitini che possono appoggiare ora questo ora quello, a seconda delle opportunità (o meglio dire opportunismi), pur di conservare le poltrone, e la palla di ferro, inesorabile che continua a battere sempre più forte sui confini della nazione.

L’Italia del 2023 non è più quella del 1979, certamente, ma il carattere litigioso e individualista dell’italiano medio, fondamentalmente egocentrico e autoreferenziale, è sempre quello, sedotto e fertilizzato dal potere di turno, più intento a raccontare barzellette nello stile berlusconiano, complete di lustrini e cosce femminili, piuttosto che la realtà nuda e cruda, la quale, certamente, è più triste del mondo dorato delle cene eleganti ma da cui non si può prescindere.

Il racconto di un’Italia secondo la Venere del Botticelli,  rapita dalla sua conchiglia agli Uffizi, nella sua nudità perfetta e rivestita con stracci alla moda per vendere l’eredità del Paese ai visitatori è un’altra perfetta metafora per le bugie istituzionali. E non a caso è stata inventata da quella bugiardona della Saint in what, avallata dall’amica che la difende ma che adesso ha qualche difficoltà nel continuare a supportarla, dopo che le gambe delle bugie non sono state abbastanza lunghe per sfuggire alle reti della magistratura.

È bastato solo un anno del “nuovo” governo per accelerare il processo, già avviato da tempo.

Tutto così. E quegli orchestrali innamorati del proprio preziosissimo strumento, dell’arte e della fedeltà alla partitura, impotenti, fanno come gli anziani dell’orchestra felliniana, si mettono di lato e subiscono. Gli altri, nutriti dalle arroganti bugie, continuano a vociare e a dare il consenso ai mistificatori, senza rendersi conto del pericolo incombente. Finché la palla di ferro non abbatterà, presto, il muro dell’Italia, trionfalmente.

Il “nuovo” che arretra.

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