Diritti

Il fascismo? Non esiste! – parte prima

12 Maggio 2019

L’immediata reazione di difesa contro un’accusa che non piace, vuoi perché sia sconveniente, sia perché davvero ingiusta, o perché imbarazzante, o perfino perché si vuol dissimulare ciò che in realtà l’accusa ha ben centrato, e per molte altre sfumature più o meno sottili, è il negarla. Mai argomentarla, è pericolosissimo. Si può negare con veemenza, si può farlo con sufficienza scrollando le spalle, si può negare ridicolizzandola (che tu dici? Grullerello…), quasi per esorcizzare la terribile onta che l’accusa rende evidente, ossia Houston abbiamo un problema.

L’accusa di qualche cosa riconosciuta ancora come socialmente sgradevole è evidentemente un fastidio per la persona oggetto di quell’accusa, anche perché può venire utilizzata come marchio infamante per eliminare un avversario utilizzando disapprovazioni universali, ed evidenzia anche l’accusatore come colui (o colei) che sta dalla parte giusta della barricata, in questa continua partita di ping-pong tra bene e male che caratterizza la nostra cultura profondamente manichea.

Dall’altra parte, ossia da quella dell’accusato, che immediatamente tira su un recinto difensivo, c’è la paura del biasimo generale e quindi colui esorcizza l’accusa tacciando l’accusatore di stravaganza: tu mi dici che sono così? Ma figurati, sei un visionario, ciò che tu sostieni non esiste. Sempre senza argomentare. Questo atteggiamento vale per molte cose, dal cambio climatico all’olocausto, ma si esprime al suo meglio quando l’accusa si centra sul fascismo e sul conseguente antifascismo.

Oggi, a distanza di esattamente un secolo dal suo sciagurato manifestarsi, è più che mai in voga parlare di fascismo e dei danni che ha prodotto. E col proliferare di movimenti neo-fascisti ci si accorge che in realtà il problema esiste ed è reale, anche se il presente regime, di destra, lo minimizza, molti intellettuali (o presunti tali) insistono nel dire che oggi si è antifascisti in assenza di fascismo, quasi volendo ignorare che un atteggiamento o, meglio, una serie di atteggiamenti, che fanno parte della moltitudine di atteggiamenti fascisti, sono spesso presenti nei comportamenti dell’italiano medio e soprattutto dei politici che lo rappresentano.

Ma andiamo a vedere cos’è e perché il fascismo, o ciò che s’intende per fascismo, è un tabù e perché molti insistono nel dire che oggi non esiste.

Il razzismo non esiste?

Il fascismo storico, ossia quello del famigerato ventennio, nei termini in cui Benito Mussolini se lo inventò e lo definì, creando il Partito Fascista e un paese in cui fascista era perfino la Befana, è assolutamente vietato dalla Costituzione della Repubblica dopo il disastroso e mesto esito della Seconda Guerra Mondiale. Per fortuna. In un paese come l’Italia, dove il fascismo fu concepito, strutturato, sviluppato, e che servì anche da modello per imitazioni in paesi vicini e affini, con approfondimenti fatali, è fondamentale conoscerlo affinché non si ripeta l’errore, in una forma così forte meno che mai, ma anche in forme più blande perché potrebbero essere propedeutiche a fasi più intense e perniciose. E forse non ce n’è punto un gran bisogno, avremmo già dato.

Nonostante l’immane catastrofe bellica, non fu mai fatto un vero processo al fascismo come successe invece al nazismo e un piccolo cuore fascista ha continuato a battere dentro il petto di molti italiani, che nel fascismo avevano trovato una ragione di essere, identificandovisi totalmente. E, spesso, in Italia, il concetto e il costume sono talmente radicati nella cultura da dar luogo a comportamenti e pensieri ibridi, con atteggiamenti molto prossimi a quelli fascisti anche in persone che si dicono di sinistra, Pasolini lo sperimentò sulla sua pelle. Ne parla, per esempio, Richard Wolin nella sua opera The Seduction of Unreason – The Intellectual Romance with Fascism From Nietzsche to Postmodernism, Princeton University Press, 2004, (La seduzione dell’irrazionale – L’idillio intellettuale col fascismo da Nietzsche al Postmodernismo), dove analizza la crescita del postmodernismo anti-illuminista, e la fascinazione subita da alcuni intellettuali che si dicono di sinistra ma si comportano e pensano come fossero di destra. Ho letto solo alcuni brani di questo libro che mi è parso interessante e che appena avrò tempo approfondirò. Wolin si sofferma anche a notare come in tempi di crisi come l’attuale, dove il terrorismo globale – che è usato strumentalmente dal potere – mette a repentaglio i diritti fondamentali e le libertà acquisite in anni di lotte democratiche, capita di sentire come a volte questi diritti di minoranze o categorie oppresse (donne, omosessuali, etnie diverse), che testimoniano la logica di una loro inclusione politica, vengano perfino messi in discussione, concludendo che non considerare questi potenziali significherebbe abbandonare totalmente una politica progressista. Tutto ciò Wolin lo scriveva nel 2004, quindici anni fa, e possiamo costatare come nei salotti televisivi nostrani si esibiscano come pagliacci in libera uscita intellettuali che captano e rifrullano concetti tipici di un pensiero fascista – tra cui proprio il disprezzo preconcetto per immigrati e omosessuali – accanto a lacerti marxisti e gramsciani vaganti nel loro vuoto pneumatico.

Non è così scontato capire perché poté nascere il fascismo e spesso a scuola, ossia ai giovani, la fenomenologia non viene spiegata bene o non viene spiegata affatto. Mussolini, che proprio un cretino non era, intuì il momento di scontento postbellico e soprattutto intuì che la monarchia dei Savoia era debolissima e inadeguata ai tempi, degna tutt’al più di un’operetta. Un’operetta tragica, viste le nefandezze compiute dai Savoia. Soprattutto casa Savoia era inadeguata a dare un’identità a un popolo che, a distanza di sessant’anni dall’unificazione non l’aveva ancora, un popolo che era composto da tanti popoli variamente parlanti, per la maggior parte inconsapevoli e di cui solamente un minimo spicchio aveva supportato la favola risorgimentale, anche credendoci. Mussolini l’identità gliela diede, anche perché quei tempi dopo la Grande Guerra, in cui antichissimi imperi erano svaniti, definendo nuovi stati sovrani e ridisegnando i confini, si mostravano propizi a un’idea di Nazione modellata sul famoso modello romantico e nutrito dal mito del Risorgimento, durato un secolo: proprio ciò di cui c’era bisogno per rinsaldare questi popoli, farli sentire un tutt’uno.

Le armi anche ai bambini, a Salvini piacerà ricordare

Il fascismo servì da forte legame (e vincolo) tra tutti gli abitanti del Regno d’Italia, catena che Mussolini riuscì a creare, rendendo partecipi tutti di un’avventura, un sogno, un avvenire luminoso e orgoglioso, in cui ci sarebbe stato non solo un regno nuovo ma addirittura un impero, modellato sull’antico Impero Romano, anche perché Roma era lì, coi suoi eredi, a reclamare il suo posto sul mappamondo. Il re c’era ancora ma era puramente decorativo, in realtà esisteva solamente il Duce. Concretamente era solo una grande narrazione, una recita retorica di un traghettamento verso una modernità vagheggiata ma contraddittoria perché intrisa di anticaglie, in questo caso solo anticaglie mal digerite, più concepite come soprammobili e souvenir che come concreta ispirazione e fondamenta per un futuro realmente moderno e oltre gli schemi. Un mondo novello in cui la tradizione era il filo conduttore, un ossimoro totale. Gli schemi, schietti e precisi come slogan pubblicitari, erano, anzi, le gabbie in cui bisognava farci star tutto, quasi un anticipazione del postmodernismo. Catalizzante, non c’è che dire, anche perché apparentemente innovativo. E ci cascarono quasi tutti, molti intellettuali soprattutto. Come ci cascano ogni volta che qualcuno in questo paese parla di sogni, vedi i vari cavalieri di cartapesta o le costellazioni e le sette leghe attualmente al governo: “Dormire, forse sognare. È questo l’ostacolo, perché quali sogni possano arrivare in quel sonno di morte una volta che ci siamo scrollati di dosso questo groviglio temporaneo deve farci riflettere.” Chissà come la penserebbe oggi Shakespeare in Italy. Sicuramente direbbe che c’è del marcio. Come dargli torto?

La storia del fascismo storico si può studiare benissimo su un’infinità di manuali, più o meno fedeli alla Storia, ma comunque con dei fatti ben documentati, come le leggi razziali, le stragi coloniali, i delitti Matteotti e Rosselli, il carcere o il confino per i dissidenti e gli omosessuali, e tutta una serie di nefandezze che allora erano presentate agli italiani come una priorità e una necessità. Utilissimi sono, per comprendere come la propaganda fosse indottrinamento fin dalla più tenera età, i manuali scolastici di Storia del ventennio, molto diversi dagli attuali, basati su messaggi semplici e con vocabolario povero e ripetitivo, per inculcare la visione fascista, l’unica possibile, al giovane studente. Io ne avevo letti alcuni nella biblioteca domestica, ruderi sopravvissuti al fine di una memoria – in pessima carta autarchica, quindi in via di dissolvimento progressivo –  custoditi da mio padre che su quei testi aveva studiato in gioventù e che quindi sapeva (ma lo scoprì dopo) quanto fossero manipolati.

Aritmetica fascista

Questa breve introduzione serviva solo per puntualizzare sommariamente e per dare un minimo d’informazione a chi non ce l’ha (e sono in molti a non averla), senza pretesa di essere esauriente.

Quel fascismo, il fascismo storico, è assai difficile che torni, anche perché le condizioni politiche globali oggi sono parecchio diverse e quindi i movimenti e i partiti che in Italia sono accusati di essere fascisti non hanno la benché minima statura né intellettuale né politica per esserlo. Sono solo delle parodie del fascismo storico, o parodie tout court. Infatti moltissimi, anche persone che di destra non sono, dicono che il fascismo non c’è e quindi l’antifascismo è un orpello inutile.

È verissimo. In realtà c’è, ed è bello consistente, un neo-fascismo e quindi si dovrebbe parlare con più proprietà di un oltremodo necessario antineofascismo.

Umberto Eco, nel 1995, tenne una lezione sull’argomento del fascismo sempreverde alla Columbia University, che fu pubblicata nel 1997, col titolo Il Fascismo eterno, nella raccolta Cinque scritti morali. Ristampato recentemente, merita una lettura e una rilettura, perché mostra esattamente cosa Eco, da intellettuale attento, aveva intravisto e previsto, stilando una serie di punti per riconoscere immediatamente il fascismo, o il neo-fascismo che dir si voglia, che comunque si nutrono entrambi di un Ur-fascismo, un fascismo primigenio ed eterno. E, essendo eterno, negare che ci sia vuol dire nasconderlo, dissimularlo, camuffarlo per renderlo edibile ai più. È come il cambiamento climatico, è stupido negare una cosa che esiste da sempre e non solo da oggi.

Eco identifica l’Ur-fascismo attraverso quattordici archetipi, ne basta solo uno per trovarsi in presenza di un autentico fascismo, non il medesimo di Mussolini ma un cugino prossimo. In realtà poi non c’è mai solamente un archetipo a manifestarsi, perché un archetipo se ne tira dietro altri, che fanno capo, ad ogni modo, a una cultura europea che si è affrancata dalle monarchie assolute in buona parte solo dopo la Rivoluzione Francese del 1789. Questi elementi di fascismo si ritrovano in vari regimi, soprattutto monarchici, da secoli e secoli. La polizia asburgica era paragonabile alla polizia fascista per metodi e per ferocia, non c’era spazio per i dissidenti, l’unica visione possibile era quella del potere di allora, fosse il Kaiser o il Duce. E siamo poi così certi che i sovrani celebrati attraverso i secoli come illuminati o quanto meno saggi non fossero in realtà sanguinari quanto non lo siano stati i gerarchi fascisti e nazisti? Federico II di Svevia, lo stupor mundi, faceva esperimenti scientifici sui prigionieri, per esempio, che in genere morivano in seguito ai medesimi. Né più né meno degli scienziati nazi. Ciò che doveva essere il Principe machiavellico non era proprio il ritratto della tolleranza e del disinteresse. I sovrani assoluti d’Europa autorizzarono stragi religiose e genocidi, tali e quali ai nazisti. E di certo la Rivoluzione Americana, salutata come il sole dell’avvenire, e la conseguente Costituzione degli Stati Uniti d’America, non aveva abolito la schiavitù, anzi, l’aveva regolamentata, e fu reintrodotta pure da Napoleone dopo essere stata abolita in precedenza. E non scordiamo che l’apartheid, ossia il razzismo verso i negri, in Sudafrica, e, negli U.S.A., verso etnie diverse dall’americano bianco, ha caratterizzato buona parte del XX secolo postbellico, in diversi stati. Per non parlare del genocidio di milioni e milioni di congolesi attuato da Leopoldo II del Belgio o di quello degli armeni nell’Impero Ottomano ormai al tramonto. O dei genocidi operati da Vittorio Emanuele II nel Regno delle Due Sicilie, sempre taciuti dai manuali di Storia in uso nelle scuole del Regno d’Italia, o quelli più tardi, a fascismo inoltrato, nelle nuove colonie d’Africa sulle popolazioni locali.

Sono tutti archetipi di fascismo, anche se non si possono chiamare propriamente tali, ma fonti d’ispirazione per una cultura repressiva, razzista e omicida come il fascismo storico fu.

Questo neo-fascismo postmoderno è, appunto, più insidioso, meno facile da scovare, più mascherato nell’immenso palcoscenico politico dove ci si fa un vanto di non essere né di destra né di sinistra – ignorando assolutamente tutta la nostra Storia e la struttura stessa del parlamento, dove a destra e a sinistra dell’emiciclo, viste dal seggio della presidenza, siedono persone che seguono ideologie differenti -, prendendo un po’ di qua un po’ di là idee senza una connessione, solo frammenti che fanno comodo per costruire un gazebo temporaneo di scempiaggini utili a usare il potere, almeno per un po’.

Ormai il neo-fascismo non ha più bisogno di un posto al sole né di un impero coloniale, non ha più bisogno della perfida Albione o di adunate in camicia nera, nonostante, di tanto in tanto, un manipolo dei più fedeli all’idea si ritrovi in costume col braccio disteso a romanamente salutare. Viene bonariamente classificato come folclore.

Il neo-fascismo è sottile, s’insinua nelle menti di cittadini meno attrezzati intellettualmente di altri, di persone che non hanno dei gran mezzi critici a disposizione né cultura, che non hanno, cioè, modo di poter riflettere su temi sociali, storici, ideologici in maniera non superficiale perché non ne sanno e non ne capirebbero nulla. Il neo-fascismo, subdolamente, s’innesta sulla rabbia dei dimenticati, se ne nutre, li coccola. Si fa promotore d’iniziative sociali a favore delle famiglie, rigorosamente italiche, e mostra loro che gli stranieri sono invasori che vogliono portar loro via il lavoro, le case, quel poco di sanità che ancora funziona, le donne – gli stranieri, per loro, sono principalmente dediti allo stupro e alla malvagità -, trovando terreno fertile, perché avere un colpevole visibile arresta lo smarrimento e incrementa ulteriormente la rabbia, che si concentra su chi viene demonizzato, infamandolo e perseguitandolo.

Questo è uno dei cardini del neo-fascismo, ripreso tale e quale dall’antico fascismo: l’idea di una patria, una famiglia, un’identità culturale (e religiosa). A questo si riferiva il cartellone brandito da Monica Cirinnà l’8 marzo 2019, che recitava “Dio, patria e famiglia, che vita de merda”, con piccola sfumatura di romanesco che dà quel tono burino che si addice al motto. Certo, la famiglia poi deve necessariamente essere quella “naturale”, unica detentrice della vita, unica possibile immagine, secondo la visione neo-fascista, di un nucleo costitutivo di una comunità, con dei ruoli precisi e definiti, soprattutto della donna, come una società primitiva tribale. Uno schema semplice.

Ieri e oggi

Gli stranieri sono invasori, secondo i neo-fascisti, aggressori e portatori di disturbo perché latori di culture diverse da una supposta cultura nazionale italiana. Che poi quale sia codesta cultura nazionale sarebbe il caso di chiederla proprio ai neo-fascisti, che in fatto di cultura hanno gravi lacune, sia nazionale che internazionale. Ovviamente il neo-fascismo che fa leva sul nazionalismo, ossia sul concetto di appartenenza a una nazione, con una sua lingua, una sua religione, una sua cultura che possa essere in qualche modo considerata patria, e sulla sua esaltazione, s’indirizza a coloro che in maggioranza conoscono a stento l’italiano e che in un’Europa multiculturale e multilingue si sentono disorientati, indifesi, incompresi, impauriti, come se un’Unione Europea volesse loro togliere dei diritti e danneggiarli (cosa che viene propagandata dai vertici neo-fascisti senza alcuna base), come se l’euro, anziché essere una garanzia per tutti fosse una calamità. Nessuno narra loro che se non ci fosse l’euro ma una lira o qualcosa di simile, slegata dalla moneta comune, le cose per loro andrebbero assai peggio perché tutto è legato a doppio filo con quella valuta, e anche i servizi fondamentali verrebbero a costare molto di più, per via delle grandi importazioni che l’Italia è costretta a fare, soprattutto in campo energetico e per buona parte anche in quello tecnologico. Le esportazioni non interesserebbero quei poveri, quindi i supposti guadagni di chi esporterebbe a prezzi concorrenziali con una moneta meno cara non li riguarderebbero. Questo è solo un minimo aspetto della politica monetaria, la faccenda è assai più complicata e non è qui la sede per affrontarla.

Il neo-fascismo è talmente potente da modificare i confini della terra da difendere. Perfino partiti separatisti come l’ex Lega Nord, che ambiva a una secessione padana dal resto della penisola, perché noi siamo i meglio, noi qui, noi là, noi siamo moralmente superiori, da noi, NOI, NOI, si lavora a Roma si ruba, terroni a casa loro LORO LORO, eccetera eccetera, in nome del nazionalismo e quindi del sovranismo cambiano radicalmente confini, e la terra da difendere include paradossalmente quelle parti del paese prima disprezzate ma che, essendo assai più popolate delle tre principali regioni settentrionali, sono uno sterminato bacino di voti e quindi di soldi. Lega e basta sarà il nuovo nome, sempre col guerriero di Legnano nel blasone (e nel bavero della giacca di Salvini, sotto forma di spillina), fronzolo superstite di un epico e glorioso passato fatto di sacre cerimonie celtiche con sacre ampolle ripiene di sacra acqua sorgiva del sacro fiume Po. Prima gli italiani!

 

(1-continua)

 

© Massimo Crispi 2019

Commenti

Devi fare login per commentare

Accedi

Gli Stati Generali è un progetto di giornalismo partecipativo

Vuoi diventare un brain?

Newsletter

Ti sei registrato con successo alla newsletter de Gli Stati Generali, controlla la tua mail per completare la registrazione.