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Il canto d’amore di Vinicio Capossela e Raffaele Salvante per le terre dell’Osso
Tutte le volte che si conclude un’edizione dello Sponz ho una strana sensazione, un misto di brividi e di incanto. E’ come la sensazione di dover rinunciare a qualcosa per un periodo di tempo abbastanza ampio, sicuramente un anno. Ragionando in termini emotivi un anno è lunghissimo. Poi però fortunatamente la giostra riparte e si torna alla gioia della festa. La ritualità è uno degli elementi fondanti della civiltà contadina, è ritmo interiore che per le persone che abitano la campagna è un dato acquisito e che invece per uno di città, come me, che alla campagna appartengo solo per una piccola porzione di tempo e dell’anno, quel ritmo è una novità assoluta che desta ancora, dopo più di dieci anni di frequentazione, meraviglia e stupore. E lo Sponz a tutte queste cose, che già c’erano, non ha fatto altro che aggiungere ulteriore sapore e sostanza, riuscendo nel difficile compito di dare loro un’organizzazione, una direzione e una forma.
Due elementi ho trovato particolarmente significativi nella domenica in cui la nona edizione dello Sponz ha calato il sipario. Un post su Facebook di Franco Bassi, direttore organizzativo dell’evento, in cui parlava del canto d’amore di Capossela per la sua terra e l’ultimo appuntamento in calendario sul palco B dello Sponz, dedicato ai 40 anni del periodico ‘Il Calitrano’ e al suo fondatore Raffaele Salvante. A fare da sottofondo sempre la musica che non finisce, che si rinnova fino all’alba e la sorpresa di partecipare sempre a qualcosa di nuovo che il cantante della Cupa riesce a pescare dal cilindro, e ammetto che è bravissimo a creare contesti sempre diversi per tutte le creature musicali che come un sacerdote greco sa evocare sul palco. Perché non c’è Sponz senza l’agitazione felina del sabato sera, la festa delle anime vagabonde che procedono insieme fino all’alba, quella dentro cui il solstizio feroce dell’estate si ricompone dando alle acque un nuovo corso, e una direzione di navigazione, in attesa del prossimo viaggio che non sappiamo che forma avrà, e procediamo per mesi interi solo nella certezza che si farà, come l’estate, che passati nove mesi nella pancia della terra tornerà fuori.
Vinicio Capossela mette un bel carico di immaginazione in tutto quello che fa. E insieme alle doti musicali sembra avere maturato anche una certa affinità con il dono della profezia. E a me vengono i brividi se penso alla successione perfetta delle ultime tre edizioni dello Sponz. Nel 2019 c’era la pest, la peste, e tutti procedevano mascherati, tapparsi la bocca era già di moda in quel grande carnevale celebrato sottaterra che precedeva la fine dell’estate. Nel 2020 è stata la volta di ‘Acquà’, un gioco di parole in cui l’acqua la faceva da padrone, l’acqua delle valli del Sele, quella che lava tutto, e porta via anche la peste. In realtà la peste del coronavirus ancora non era finita, e abbiamo vissuto tutto il 2021 con varie restrizioni, e insieme con una sguardo a quando torneremo pienamente noi. Quest’anno è toccato alle aree interne, le terre dell’osso, l’appennino benedetto da cui nasce tutta l’acqua che in questi mesi è servita per celebrare un nuova battesimo primordiale con la terra e per purificare nuovamente tutto.
Io non so dove prenda Vinicio tutto queste cose. La mia immaginazione è un sacchetto che fa abbastanza presto a svuotarsi . Mi esercito per tenerla allenata, ma tutte le volte che mi trovo davanti alle architetture dello Sponz, e intendo sia quelle elementari, fatte di proposte di incontro e musicali, che quelle in termini di ambientazione, devo ammettere che c’è qualcuno come lui in grado di andare ben oltre quel piccolo sacchetto che a me tocca riempire ogni sera. A volte penso che l’origine di tutto sia un po’ nel posto dove uno è nato, o dove comunque i suoi hanno avuto i natali, in quella ‘radice portabile’ di cui una volta lo stesso Vinicio ha parlato. Paragonando il tutto alla mia storia mi è venuto da pensare che prima di conoscere mia moglie, originaria di Calitri, io mi sono sempre mosso da una città medio-grande, Livorno, verso città più grandi: Roma, Napoli, Genova, Parigi, Barcellona. E che mai per me era stato il contrario. E da quando ho fatto all’inverso ho scoperto un mondo di per sé letterario, senza bisogno di finzione alcuna.
C’è un canto d’amore che mi risuona nella testa. E quando penso a Vinicio, a tutto quello che ha immaginato per la sua terra, non riesco a non pensare anche a Raffaele Salvante, fondatore del Calitrano e del Centro Studi Calitrani. Ho la fortuna di poterlo chiamare zio, uno zio reale, acquisito dal lato di mia moglie, e di cui a grandi linee conosco la storia, e sarebbe molto lunga da raccontare. Basta però ricordare il suo nome per richiamare alla mente tutta la passione come una persona può avere per la sua terra. In 40 anni Raffaele ha raccontato in lungo e in largo Calitri, le sue tradizioni e i suoi personaggi, fondando un giornale con l’idea precisa di tenere uniti tutti coloro che da Calitri erano andati via. E’ un monito contro lo spopolamento il periodico da lui fondato. E insieme è anche la storia di qualcuno che ritorna, e tornando cerca in maniera costruttiva di fare qualcosa per quella terra a cui è sempre stato legato. Domenica allo Sponz si è parlato anche di lui. Domenica mattina salutandolo ho provato la stessa sensazione di quattro anni fa, quando ha celebrato 80 anni e sono stato al suo compleanno, a una festa che parenti e amici hanno organizzato per celebrarlo.
E’ il senso intimo della festa ciò che unisce Vinicio Capossela e Raffaele Salvante. Una festa popolare, fatta per tutti, in cui ognuno ha il suo posto. Allo Sponz basta alzare la mano per trovare il modo di rendersi utili, giuro da assiduo frequentatore che chiunque arrivi sarà sempre bene accolto. E nel Calitrano pure, è un mezzo per raccogliere foto, poesie, testimonianze, ricordi, come una di quelle grandi cassapanche di una casa di campagna. Lo sguardo di Vinicio e Raffaele è lo stesso, è quello di chi ha individuato un’ideale e per esso si spende giorno per giorno, mettendoci sempre del suo. Zio Raffaele può essere orgoglioso di quanto ha fatto finora, e può essere orgoglioso di Calitri. Vinicio idem, e lo dico limitandomi solo allo Sponz che ritengo la ciliegina sulla torta di una carriera mai giocata sul compromesso. Sono due combattenti civili Vinicio e Raffaele, e Calitri e l’Irpinia li hanno in dote. Non si accende una lampada per metterla sotto il moggio, nessuno di loro due lo ha mai fatto. E c’è un canto d’amore che mi risuona nella testa. E’ quello di Vinicio Capossela e Raffaele Salvante per le terre dell’osso.
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